Due importanti pubblicazioni in Sociologia dei Disastri

L’anno scorso Alfredo Mela, Silvia Mugnano e Davide Olori hanno lanciato un progetto editoriale che intendeva fare il punto sulla sociologia dei disastri italiana. Da quella call for papers sono nate due pubblicazioni: il numero monografico 111/2016 della rivista “Sociologia Urbana e Rurale” [qui] e il volume collettaneo “Territori Vulnerabili. Verso una nuova Sociologia dei disastri Italiana” [qui], entrambi editi dalla FrancoAngeli di Milano.
Ulteriori informazioni sono qui.

In quest’ultimo c’è un mio saggio sul rapporto tra noi e Isso: “Al di là dello sviluppo, oltre l’emergenza: il caso del rischio Vesuvio“.

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Ne ho scritto su Fb in vari profili: sul mio profilo personale, sul gruppo Ass. Nazionale Disaster Manager e sul gruppo DICAN.

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Qualche mese fa ne avevo dato un’anteprima QUI.

La crisi è un’occasione per imparare

2 febbraio 2017

Le crisi, per quanto devastanti e logoranti, sono dei momenti che svelano e, pertanto, che insegnano. Le crisi, in altre parole, possono rivelarsi anche delle opportunità, ad esempio per chi ha responsabilità di governo, che potrebbe cogliere l’occasione della crisi – poniamo, un terremoto – per comprendere come aiutare meglio, come intervenire prima, come essere più efficiente, come prevenire, come mitigare, come cambiare talune condizioni per evitare che in futuro si ripresenti l’evento nefasto. E’ soprattutto su questo piano che agiscono le scienze sociali che si occupano di rischi e di disastri. Ora, nelle ultime 24 ore, ho incrociato almeno tre articoli che rendono manifesta la necessità di trasformare la crisi in un insegnamento.

Il primo articolo riguarda l’arresto di Enzo Rendina, un abitante di Arquata del Tronto che ieri, rifiutandosi di evacuare il suo paese raso al suolo dalla scossa del 24 agosto scorso, è stato arrestato. Ecco, per voi questo è il modo di relazionarsi ad una persona traumatizzata, che ha perso tutto e a cui non resta che il legame coi propri luoghi?

Il secondo pezzo, sebbene scollegato dalla notizia precedente, è, in un certo senso, una risposta all’arresto riportato qui sopra: una lettrice di “Info Aut” ha inviato una lettera al sen. D’Anna, il quale aveva definito i terremotati «troppo pretenziosi». Tra l’altro, vi è scritto: «Mi pare comprensibile anche il perché le persone non siano disposte a “deportazioni forzate” in luoghi sconosciuti e poco ameni, abbandonando la propria casa, i propri luoghi, la propria vita. Se i politici avessero una minima preparazione “culturale”, non avrebbero difficoltà a capire cosa significa, dopo un trauma che ha distrutto tutti gli affetti materiali ed emotivi, non avere più riferimenti, sentirsi persi, umiliati, traditi, devastati. Ma nonostante questo determinati a non cedere al vuoto, attaccandosi all’ultimo appiglio di umanità, ripartire dai cocci senza abbandonate il proprio “luogo culturale”, per dare un senso alla propria esperienza, seppur traumatica, e andare avanti».

Il terzo testo, infine è un post di Nicola Casagli, professore ordinario di Geologia applicata all’università di Firenze, che, nei giorni dei soccorsi all’albergo Rigopiano, è stato chiamato dalla Protezione Civile per installare un radar che monitorasse le valanghe e proteggesse i soccorritori che stavano intervenendo. Nel suo resoconto il professore racconta i problemi che ha avuto e come la burocrazia italiana sia diventata, anche in quell’occasione, un ostacolo al suo lavoro.

L’angoscia territoriale e la crisi della presenza colpiscono gli individui, ma sono fenomeni sociali e possono essere superate e riscattate solo in maniera collettiva: costruendo un umanesimo moderno, diceva Ernesto de Martino, ovvero ascoltando, incontrando, coinvolgendo, “sentendo”.

I riti in emergenza

I “riti in emergenza” sono dispositivi folklorici utili a riassorbire lo shock causato da un disastro e, allo stesso tempo, a tenere insieme la collettività dopo un trauma. L’esperienza di un medesimo modo di sentire, durante una crisi profonda, permette ai membri di una specifica comunità di pensare alla loro identità collettiva e di esprimerla secondo procedure che sono, appunto, culturali. Entro l’ampia categoria dei “riti in emergenza” vi sono molteplici tipologie rituali, spesso molto differenti tra loro: da quelle penitenziali e simboliche a quelle formali e propiziatorie, prendendo spesso la forma della processione, delle preghiere collettive o dei digiuni.
Come ho scritto altrove, i “riti in emergenza”

«sono, al contempo, cerimonia liturgica e manifestazione di socialità volte al contenere l’angoscia: un tentativo di dominare ciò che è indomabile, ma anche una modalità per esprimere il senso di shock, la rabbia, l’incredulità e il dolore. In altre parole, i riti in emergenza sono il modo in cui i sopravvissuti cercano conforto stringendosi gli uni agli altri al fine di restare uniti e vincere la disperazione e la disgregazione».

Ne ho studiati vari casi per quanto riguarda il Vesuvio, specie in occasione dell’eruzione del 1631, ma particolarmente noto, tra le esplosioni recenti, è il rito riportato da Norman Lewis in “Napoli ’44“, in cui descrive una singolare processione volta a fermare la colata lavica (di cui, tuttavia, nelle modalità esposte, non si hanno altre testimonianze):

«Su tutto dominava, un po’ per le dimensioni stesse e un po’ per la quantità di persone che ne sorreggevano il basamento fronteggiando l’eruzione, l’effigie di san Sebastiano. Imboccando una stradina laterale, tuttavia, ho scoperto un’altra statua, anch’essa circondata da molti devoti e coperta da un lenzuolo bianco. Uno dei carabinieri che perlustravano i dintorni a caccia di sciacalli mi ha detto che si trattava della statua di san Gennaro, fatta arrivare di nascosto da Napoli come ultima risorsa qualora tutto il resto fosse fallito. L’avevano coperta con un lenzuolo per evitare di offendere la confraternita di san Sebastiano e il santo stesso, che avrebbe potuto risentirsi per quell’intrusione nel suo territorio. Solo come estremo rimedio avrebbero portato allo scoperto san Gennaro, implorandolo di fare il miracolo. Il carabiniere non credeva che sarebbe stato necessario, perché secondo lui era evidente che la colata stava rallentando».

Presentati spesso come manifestazioni superstiziose, esternazioni dell’irrazionalità o dimostrazioni dell’impreparazione napoletana, in realtà, come osserva Jean Cazeneuve, i riti «quanto meno appaiono ragionevoli, tanto più rivelano la loro necessità». I “riti in emergenza” sono sia una forma di culto che un’espressione collettiva attraverso cui la comunità può riconoscersi in un percorso spaziale, come nelle processioni, e interiore, come nelle preghiere e litanie. Naturalmente, tali pratiche rappresentano anche di più, perché spesso rivelano un vero e proprio uso politico del disastro: osservarle significa aprire una finestra critica sulla dialettica che una determinata comunità ha saputo e voluto impostare con se stessa e col proprio ambiente. Dai resoconti d’epoca di determinate eruzioni vesuviane, ad esempio, tali riti sono esplicitamente approvati, se non sollecitati e organizzati, dalle gerarchie ecclesiastiche, tuttavia non mancano casi in cui i promotori sono stati gli amministratori e i politici (o, per la precisione, gli aristocratici), con una evidente strategia volta a radicarsi presso il popolo.

Gli ultimi mesi di scosse sismiche nell’Italia Centrale sono stati drammatici e spossanti, per cui le varie forme di religiosità emerse durante questo periodo andrebbero considerate sotto diversi punti di vista. Di seguito farò una breve carrellata di casi che mostrano la polisemicità del fenomeno.
All’indomani del terremoto del 30 ottobre 2016 molti abitanti di Ascoli Piceno si sono raccolti spontaneamente davanti alla cattedrale di sant’Emidio, rimasta chiusa per precauzione, per celebrare comunque la messa davanti al tempio di colui che è considerato il protettore dai terremoti. Lo stesso è accaduto a Norcia, dinnanzi alle macerie della basilica di san Benedetto. In quei giorni ne scrissi qui.
Nello stesso periodo, però, il ricorso al sacro non è emerso solo in modo “istintivo” o “impulsivo”, perché anzi è stato manifestamente sollecitato da figure specifiche, sia laiche che ecclesiastiche. Ad esempio, a Castel del Rio (Bologna) il sindaco Alberto Baldazzi ha inteso recuperare un rito risalente al 1725, quando furono tenute delle preghiere collettive dopo alcuni eventi calamitosi in zona, stabilendo che questo in futuro diverrà un appuntamento fisso (si chiamano “riti di commemorazione” e ne parlerò un po’ di più alla fine del post):

«ogni anno, in occasione dell’antivigilia di Ognissanti, ci sarà la Santa Messa nella chiesa di Sant’Ambrogio e la recita del rosario nell’oratorio della Beata Vergine del Sudore» (28 ottobre 2016).

L’altro giorno, invece, a Spoleto (Perugia) il vescovo Renato Boccardo ha invitato a digiunare durante tutta la giornata di venerdì 27 gennaio 2017 e poi ha indetto una processione penitenziale per l’indomani, sabato 28, intorno alle mura di Norcia con l’immagine della Madonna Addolorata estratta dai Vigili del Fuoco dalla chiesa di San Benedetto, crollata nel centro cittadino due mesi fa:

«nella tradizione cristiana il digiuno ha un posto molto importante e particolare: è una privazione che si offre per rendere gradita a Dio la preghiera. Non facciamo digiuno per raccogliere soldi, ma per chiedere al Signore, creatore dell’universo, di intervenire anche sulle forze della natura. Non è Dio che manda il terremoto: ma Lui, che ha dato origine al mondo, regolato poi dalle leggi della natura che fanno il loro corso, può intervenire per il bene del creato. Con questo gesto vogliamo allora chiedere al Signore di avere misericordia di queste popolazioni e di questa terra ferite dal terremoto. Sarà anche un momento che ci aiuta a capire l’essenziale e a renderci conto che non tutto quello che facciamo è necessario. […] Riporteremo l’immagine della Madonna, molto venerata a Norcia e invocata anche come protettrice dai terremoti] per qualche ora nella sua terra per chiederle protezione sulla gente della Valnerina e liberazione dalla persecuzione del sisma» (26 gennaio 2017).

Sempre in Umbria, la settimana scorsa, il presidente della Conferenza episcopale umbra e arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, cardinale Gualtiero Bassetti, ha inviato un messaggio alle 600 parrocchie della regione perché domenica 29 gennaio ci si organizzasse per una preghiera corale, così da invocare

«il cessare dei terremoti e un tempo di serenità per tanti fratelli e sorelle provati dalle forze della natura. […] Il protrarsi del sisma che tormenta da mesi la nostra regione, specialmente la Valnerina, sollecita la nostra solidarietà e richiede la nostra preghiera» (26 gennaio 2017).

Se in futuro il “rito in emergenza” verrà riconosciuto come efficace e, dunque, se l’intervento divino verrà ritenuto decisivo per la risoluzione dell’evento drammatico, allora è possibile che nei prossimi anni tale miracolo verrà ricordato attraverso un rito simile, ma di natura piuttosto diversa: il cosiddetto “rito di commemorazione”. Questo va considerato innanzitutto come una forma di memoria collettiva di quanto accaduto, una vera e propria macchina per risalire il tempo, cioè un modo per selezionare il passato e ripresentificare solo ciò che è ritenuto esemplare.
Al momento non possiamo sapere se i “riti in emergenza” brevemente illustrati in questo post daranno effettivamente luogo a specifici “riti di commemorazione”, ciò verrà chiarito solo da una costante e puntuale osservazione etnografica. Tuttavia, se ciò accadrà, ci troveremo dinnanzi ad una pratica sociale che, svolgendosi ripetutamente, creerà un insieme di convenzioni e routine che, per questioni di convenienza ed efficienza, daranno l’illusione di una sua perennità ed immutabilità. In una parola: identità.

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INTEGRAZIONE del 28 febbraio 2017:
Cercando aggiornamenti sui “riti in emergenza“, in giro per il web mi sono imbattuto in varie preghiere cattoliche da recitare in tempo di calamità. Le riproduco di seguito:

Dal website “Preghiere per la famiglia“:

Preghiera nel tempo di terremoto
O Dio creatore, / noi crediamo che tu sei nostro Padre / e che ci vuoi bene / anche se la terra trema / e le nostre famiglie sono state sconvolte / dall’angoscia. / Non lasciarci soli nel momento della sventura. / Apri il cuore di molti nostri fratelli / alla generosità e all’aiuto. / A noi dona la forza e il coraggio / necessari per la ricostruzione / e l’amore per non abbandonare / chi è rimasto senza nessuno. / Così, liberati dal pericolo / e iniziata una vita nuova, / canteremo la tua lode.

In tempo di pubbliche calamità
O Gesù, Dio di pace, gettate uno sguardo di misericordia / su questa terra infelice; mirate quante lacrime si versano / nelle famiglie anche più innocenti. / Se avete scritto nei vostri decreti questo dolore, / ricordatevi che siamo figli, che per questo vi fermaste / in mezzo a noi sull’altare. / Pronunciate, o Signore, un’altra volta quella parola potente / che nel furore della tempesta fece tacere i venti, / ricompose le onde agitate, rese tranquillo e sereno il cielo. / Allora vedremo rifiorire questa terra e, mossi da viva gratitudine, / verremo al vostro altare per ringraziarvi con fede più viva, / più sicura speranza ed amore più riconoscente.

In tempo di tribolazioni
Vergine Santa, conforto degli afflitti e madre di consolazione, / a voi gridiamo dal fondo delle nostre tribolazioni: / Abbiate pietà di noi poveri infelici, che a voi la domandiamo. / O Maria, questo è il momento di mostrare, come è giusto il nome, / con cui vi invochiamo nostra madre. / Dimenticaste voi quelle ultime parole del vostro Gesù dalla Croce, / quella voce moribonda, quegli estremi sospiri, / coi quali a voi ci consegnava come figli? / O cara Madre udite il gemito di noi poveri peccatori sì, / ma figli vostri. Se voi non ci consolate, / a chi potremo noi domandare soccorso? / Deh voi dunque parlate di noi al vostro Gesù con quell’amore / che sempre lo vince. / Nel vostro seno deponiamo le nostre lacrime: / da voi aspettiamo la nostra consolazione; / e quando pure sapessimo che voi ce la negaste, / ancora rimarremo ai vostri piedi gridando: / Madre, consolateci, che siamo vostri figli.

Dal website “Ognissanti San Barnaba“:

Preghiera alla Madonna del terremoto
(A questa Madonna è dedicata una piccola chiesa di Mantova, in piazza Canossa, che «fu edificata nel 1754 a ricordo della protezione data dalla Madonna in occasione del terremoto del 1693»)
:
O beatissima Regina del cielo e della terra, / che mentre stavi sotto la croce di Gesù, tuo Figlio, / e la spada del dolore ti trapassava l’anima / per diventare la Madre di tutti i viventi, / hai sentito sotto i tuoi piedi tremare la terra, / soccorri i tuoi figli che gemono spaventati dal terremoto. / La terra rimbomba di un sordo boato, / attorno a noi crollano il presente e il passato / e le nostre anime smarrite si chiedono: / che cos’è l’uomo, perchè Tu, o Signore, te ne ricordi? / Fatto a immagine e somiglianza di Dio e circondato di gloria, / eppure ha divorato come un figlio dissoluto i doni del Padre, / ha tradito l’Amore di Gesù, ha spento lo Spirito Santo, / fino a meritare il castigo di Dio. / O Madre Santissima, piena di Grazia e di Misericordia, / intercedi per noi presso tuo Figlio: / prendi le nostre mani e guidaci a Lui, / perchè converta i nostri cuori e perdoni i nostri peccati. / Liberi dall’inquetitudine e dalla disperazione, / seguiremo la via della salvezza e canteremo / in eterno con te le meraviglie di Dio. / Amen

Dal website “Papaboys“:

Preghiera del cuore a Gesù Salvatore per tutte le famiglie coinvolte nel terremoto
(«Rivolgiamo questa preghiera al Signore del tempo e della storia, per tutte le popolazioni colpite dal terremoto del centro-Italia. Ti chiediamo Signore di avere pietà di tutti noi, di concedere conforto ai cuori di tutti coloro che sono in difficoltà e che vedono la propria casa di strutta. Per i bambini, per gli anziani e per tutti coloro che soffrono»)
O Dio creatore, noi crediamo che tu sei nostro Padre e che ci vuoi bene / anche se la terra trema e le nostre famiglie sono state sconvolte dall’angoscia / Non lasciarci soli nel momento della sventura. / Apri il cuore di molti nostri fratelli alla generosità e all’aiuto. A noi dona la forza e il coraggio necessari per la ricostruzione e l’amore per non abbandonare chi è rimasto senza nessuno. / Così, liberati dal pericolo e iniziata una vita nuova, canteremo la tua lode.

Dal website “Donna 10“:

Preghiere contro i terremoti: affidiamoci a Sant’Emidio d’Ascoli!
(«Ecco la preghiera che tutti dovremmo intonare, affinché Sant’Emidio ci protegga dal flagello dei terremoti»)
Sant’Emidio, accogli benigno la preghiera che fiduciosi ti rivolgiamo. Intercedi per noi presso il Signore affinché, a tua imitazione, la nostra fede, vivificata dalle opere, sia testimonianza di filiale amore a Dio e di fraterna carità per il prossimo. Spronati dal tuo esempio, promettiamo di vivere col cuore staccato dai beni della terra e disposti a sacrificare tutto pur di restare fedeli a Dio e alla Chiesa. Estendi su di noi, sulle nostre famiglie e sulla nostra città e diocesi la tua protezione affinché, preservati dal terremoto e da ogni altro flagello, possiamo trascorrere una vita quieta e tranquilla, tutta intesa a daregloria a Dio e a rendere più sicura la salvezza delle nostre anime.

Un video che raccoglie varie preghiere collettive dopo il sisma del 30 ottobre 2016:

Un nuovo studio vulcanologico sui Campi Flegrei

Due post recenti della pagina Fb “Rischio Vesuvio”:

1) 22 dicembre 2016:

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Lo scorso 20 dicembre 2016 la rivista online “Nature Communications” ha pubblicato lo studio di un gruppo di scienziati internazionale, intitolato “Magmas near the critical degassing pressure drive volcanic unrest towards a critical state“, ovvero sulla pressione esercitata dal rilascio di gas da parte del magma della caldera dei Campi Flegrei, la quale, raggiungendo un determinato punto critico, può determinare un’instabilità del vulcano e produrre un sollevamento del magma stesso verso la crosta (ma ciò non significa che un’eruzione sia imminente).
Ne hanno scritto “The Guardian” in lingua inglese e “Le Scienze” in italiano: il primo ha ricordato che nell’area abitano circa 500mila persone, mentre il secondo ha spiegato che il fenomeno del sollevamento del suolo flegreo è nuovamente evidente dal 2005, al punto che nel 2012 si è passati dal livello di attenzione “verde” (quiete) a “giallo” (“attenzione scientifica”).
Che i Campi Flegrei siano attualmente il territorio napoletano geologicamente più monitorato, è noto, come ha spiegato due mesi fa la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano, Francesca Bianco. All’attenzione scientifica, dunque, deve corrispondere un adeguato impegno politico-istituzionale, che va da una efficace e realistica pianificazione della fase di emergenza ad una serie di misure (urbanistiche, informative e socio-culturali) volte alla mitigazione del rischio.
A questo proposito, qualcosa si muove: ricordiamo, infatti, che dall’agosto 2016 esiste un Piano di Emergenza per i Campi Flegrei elaborato dalla Regione Campania e dalla Protezione Civile, il quale coinvolge quasi per intero anche la città di Napoli [6] (che da poco ha un proprio piano di emergenza comunale).

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2) 27 dicembre 2016:

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Negli ultimi giorni è stata molto condivisa la notizia di un possibile “allarme per i Campi Flegrei“. La stampa nazionale ha dato risalto ad uno studio pubblicato su “Nature Communications” che aiuta a capire meglio il funzionamento del complesso vulcanico di Pozzuoli, ad ovest di Napoli, e che può essere utile dal punto di vista della valutazione del rischio, ma che non dice ci sia un pericolo imminente. Ne avevamo scritto anche noi.
Per spiegarlo con parole diverse, usiamo quelle di Giancarlo Manfredi, un esperto di early warning:

«la ricerca ci rivela dell’esistenza di segni di “depressurizzazione del magma” nella caldera dei Campi Flegrei. Si tratta del rilascio di grandi quantità di vapore acqueo che sta riscaldando lo strato roccioso tra il magma e la superficie e che potrebbe evolvere verso un possibile stato di “pressione critica”. Lo studio, peraltro, non fa ipotesi sull’evoluzione della situazione, ma sostiene che servono nuove indagini e rilevazioni per stabilire la possibile evoluzione futura. I fatti parlano di deformazioni rilevate sul terreno, dell’aumento degli eventi sismici nella zona e di una attività più intensa di alcune fumarole, le previsioni non prospettano scenari disastrosi, se non la necessita’ di un monitoraggio costante, di una comunicazione del rischio corretta e di una pianificazione accurata della possibile emergenza».

Insomma, i Campi Flegrei sono attivi, ma non c’è alcuna emergenza in corso o imminente. D’altra parte è fin dal 2012 che l’attenzione è aumentata, cioè da quando si è passati dal livello “verde” (quiete) a “giallo” (“attenzione scientifica”).
I titoli delle notizie degli ultimi giorni, però, hanno avuto spesso toni “emotivi”: tra gli screenshot che alleghiamo, osservate in particolare quello di “La Repubblica“, che non fa un buon servizio alla popolazione; al contrario, leggete quello de “Il Post“, che invece spiega con precisione e capacità divulgativa (gli altri link sono qui, qui e qui).
Chi ci segue sa che scriviamo spesso sulla necessità di un migliore giornalismo scientifico e, perché no, di un osservatorio sulla disinformazione in merito al rischio di disastri; l’ultima volta ne abbiamo parlato l’8 dicembre scorso, meno di venti giorni fa.

Sul commissariamento dell’Osservatorio Vesuviano

Dalla pagina Fb “Rischio Vesuvio“:

Il 17 febbraio 2016 il Consiglio di Amministrazione dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), a quel tempo presieduto da Stefano Gresta, commissariò Giuseppe De Natale, allora direttore dell’Osservatorio Vesuviano (che è la sede napoletana dell’ente) per «gravissime criticità nella Direzione della Sezione, in ordine all’organizzazione, al funzionamento e alla gestione di vari servizi anche essenziali, al riconoscimento della leadership dirigenziale e al benessere organizzativo della Sezione». La notizia fu data da tutti i giornali campani e nazionali: “Il Mattino“, “La Repubblica“, “Corriere del Mezzogiorno“.
L’attività di monitoraggio dei vulcani Vesuvio e Campi Flegrei non è mai stata a rischio, perché il provvedimento ha riguardato solo aspetti amministrativi, tuttavia per gran parte del 2016 all’interno dell’OV non si è respirata un’atmosfera serena. Per lunghi mesi si è passati tra sospensioni del commissariamento e nuove ri-sospensioni, tra ricorsi alla giustizia amministrativa e attesa del pronunciamento, che è finalmente avvenuto il 12 ottobre scorso. In tale sentenza il TAR Campania ha dichiarato illegittimo il commissariamento [la sentenza è disponibile anche qui], tuttavia De Natale non potrà comunque tornare alla direzione, in quanto nel frattempo è giunta la scadenza naturale dei tre anni dell’incarico. In ogni caso, potrebbe avviare un’azione risarcitoria, che però lui stesso esclude in un’intervista rilasciata ieri a “Il Mediano”.

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Come ci hanno insegnato i filosofi della scienza e gli scienziati sociali, anche la comunità scientifica (o, per dirla con Pierre Bourdieu, il campo della scienza) è attraversata da lotte furibonde al proprio interno: pensare che i ricercatori siano tutti uniti e con lo sguardo teso all’orizzonte della conoscenza è una visione ingenua e falsa, perché in realtà sono altamente competitivi tra loro e, nella gestione del potere, talvolta anche irrazionali o non adeguati al ruolo. Bisognerebbe, dunque, anche domandarsi perché si è arrivati al commissariamento, perché nel febbraio scorso l’Osservatorio Vesuviano abbia ricevuto un colpo così duro, in seguito a proteste e dimissioni [anche qui]. Ciò che speriamo è che questa vicenda, in futuro, serva da lezione per tutti.
Intanto, dagli inizi di settembre il nuovo direttore dell’OV è la dottoressa Francesca Bianco, esperta di sismologia, a cui auguriamo buon lavoro.

INTEGRAZIONE:
La vicenda giuridica accennata nel post è piuttosto complessa e per comprenderla a pieno sarebbe necessario leggere ed ascoltare di più. Per limitarci ai documenti pubblici, ci sembra opportuno segnalare la Delibera del Consiglio di Amministrazione dell’INGV n. 285, del 29 novembre 2016, con la quale le parti si impegnano a «sottoscrivere un accordo transattivo con il Dott. Giuseppe De Natale, [attraverso il quale costui] si impegna a non esperire qualsivoglia azione giudiziaria nei confronti di INGV in merito ai provvedimenti che avevano determinato il Commissariamento della Sezione di Napoli»: pdf [il download è diretto; l’elenco delle delibere 2016 è qui].

San Gennaro e il prodigio parziale

Ieri a Meta, in Penisola Sorrentina, ho partecipato alla presentazione dell’ultimo libro di Maurizio Ponticello, “Un giorno a Napoli con san Gennaro“. E’ stato un appuntamento molto interessante, anche perché vigilia del terzo prodigio annuale del patrono di Napoli, quello del 16 dicembre, anniversario della grande eruzione del 1631. Come il sabato precedente la prima domenica di maggio e il 19 settembre, il sangue di san Gennaro si scioglie anche il 16 dicembre, appunto, data della cosiddetta “Festa del Patrocinio“. Stamattina, però, il sangue non si è sciolto, per cui si è atteso il pomeriggio per verificare nuovamente l’ampolla e, da quanto ho letto, pare che il prodigio sia avvenuto solo parzialmente. In serata, tuttavia, “Il Mattino” ha spiegato che il cosiddetto “miracolo laico” non c’è stato, aggiungendo le parole pronunciate da monsignor Vincenzo De Gregorio, abate della Cappella del Tesoro di san Gennaro, mentre chiudeva la teca: «Non dobbiamo pensare a sciagure e disgrazie. Noi siamo uomini di fede e dobbiamo continuare a pregare» [*].

Contrariamente a quanto si tramanda, non c’è alcuna evidenza storica che attesti il martirio del vescovo Gennaro per decapitazione il 19 settembre del 305 d.C., per cui è piuttosto controversa anche l’autenticità del liquido (sangue?) custodito nell’ampolla, del cui scioglimento, in ogni caso, si ha la prima notizia oltre mille anni dopo, nel 1389. Nei corso dei secoli, c’è chi ha elencato i vari tipi di pronostici legati alle differenti modalità con cui si liquefa il sangue [1] e chi ha addirittura calcolato le percentuali di effettivo accadimento di tali presagi [2]. Per questi ultimi, nel 76% dei casi di “miracoli infausti” si sono effettivamente verificati degli “avvenimenti tristi”, il ché porta Ponticello a fare la seguente osservazione: «San Gennaro, quindi, può sbagliarsi nel 24% dei casi? Asserito da un uomo di Chiesa, tra l’altro colto com’era Alfano, questa dichiarazione non può non lasciare esterrefatti» (pp. 283-284).
Personalmente, è un po’ di tempo ormai che chiedo a san Gennaro di fare il miracolo di non fare il miracolo, cosicché un tarlo entri nelle coscienze di tutti. Ma, naturalmente, comprendo bene l’esortazione di chi chiede un evento portentoso, anche – in maniera molto napoletana – sollecitando il patrono con qualche insulto: «Faccia Gialla, squaglialo! / Fallo, fallo ‘stu miracolo. / Faccia Gialla, squaglialo! / Fallo, fallo pe’ ‘stu popolo» [3].

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[1] G. Radente, “Segni della prodigiosa liquefazione del sangue“, 1760.
[2] G. B. Alfano – A. Amitrano, “Le scienze occulte e il miracolo di S. Gennaro“, 1922.
[3] Enzo Avitabile, “Faccia Gialla“.

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PS: Oggi la pagina Fb “Napoli nel Cinema” ha pubblicato il breve documentario “Il miracolo di san Gennaro” di Luciano Emmer e Enrico Gras (1948); dura 8’30” ed è molto suggestivo.

PPS: Ho pubblicato questo post anche sul mio Fb.

[*] Le dichiarazioni del sacerdote contengono una contraddizione: se il mancato miracolo non è un cattivo presagio, a che serve pregare?

385 anni fa, l’EMA vesuviano del futuro

Oggi ricorre il 385° anniversario della più grande eruzione vesuviana dell’ultimo millennio. Quell’evento del 16 dicembre 1631 cambiò il panorama e la rappresentazione di Napoli, diede avvio alla vulcanologia moderna e consacrò definitivamente san Gennaro patrono della città. In mattinata, infatti, ci sarà la prodigiosa terza liquefazione annuale del sangue del santo, mentre nel pomeriggio si terrà una rappresentazione storica presso il Museo del suo Tesoro. Ulteriori informazioni sono sulla pagina Fb “Rischio Vesuvio“:

Oggi, 385 anni fa, si ebbe la più grande eruzione vesuviana del secondo millennio, quella che diede avvio al più recente dei cicli eruttivi del nostro vulcano, conclusosi nel marzo del 1944. L’eruzione del 16 dicembre 1631, classificata “subpliniana” dagli scienziati, fu catastrofica: uccise almeno 4.000 persone (su una popolazione di circa 50.000 abitanti della fascia vesuviana), coinvolse 30 paesi, distrusse gli acquedotti (con grave crisi idrica per i sopravvissuti), decimò il bestiame e per anni i campi agricoli furono impraticabili. Con quell’esplosione cambiò non solo il comportamento del Vesuvio e la sua morfologia, ma anche l’atteggiamento che gli abitanti dell’area avrebbero avuto in seguito nei suoi confronti: il bisogno di capire quell’incredibile fenomeno della natura contribuì alla nascita della vulcanologia moderna, mentre la necessità di dargli una misura “gestibile” culturalmente favorì la definitiva consacrazione di san Gennaro come protettore di Napoli [1]. Quell’eruzione, inoltre, determinò anche un mutamento nella rappresentazione della città, che da allora, appunto, è ritratta adagiata sul golfo e col vulcano sullo sfondo a dominare la scena.
Ricordare l’eruzione del 16 dicembre 1631, tuttavia, non è semplicemente una forma di rispetto verso il passato, bensì un modo di pensare al futuro: negli ultimi anni, infatti, quello è stato ritenuto l’evento di riferimento [EMA: evento massimo atteso] per l’elaborazione degli attuali Piani di Emergenza e di Evacuazione. In altre parole, considerando l’attuale stato di quiescenza del vulcano, gli studiosi hanno calcolato che l’eruzione futura più probabile (di cui però ignoriamo il quando) potrebbe sprigionare un’energia simile a quella del XVII secolo.
D’altronde, il futuro è il tempo a cui si rivolse già il Viceré di Napoli nel 1632, quando a Portici fece erigere un’iscrizione di marmo che alcuni considerano la prima espressione di protezione civile della storia. Il cosiddetto “Epitaffio del Granatello”, infatti, invita i posteri (ovvero noi tutti) a fare attenzione al vulcano e a prepararsi per tempo, perché, quando si manifesta, la potenza del Vesuvio è incontrollabile: «Allora, se hai giudizio, presta ascolto a questa lapide eloquente. Non curarti della casa, non badare ai bagagli: Fuggi, senza alcuna esitazione!».
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[1] Dal punto di vista religioso, stamattina alle 9h00 si terrà una celebrazione liturgica in occasione del terzo miracolo annuale della liquefazione del sangue, presso la Cappella del Tesoro di san Gennaro. Nel pomeriggio alle 17h00, inoltre, presso il Museo del Tesoro di san Gennaro ci sarà una rievocazione storica dell’eruzione del 1631.

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L’immagine ritrae l’epitaffio eretto nel 1632 al Granatello di Portici, di cui si può leggere il testo e la traduzione QUI.

PS: l’acronimo “EMA” riportato nel titolo di questo post sta per “Evento Massimo Atteso“, che è l’espressione usata dalla Protezione Civile per riferirsi allo scenario eruttivo futuro più probabile, il quale, tuttavia, non è certo, perché l’evento massimo “possibile” potrebbe essere molto più forte.

Della necessità di un osservatorio sulla disinformazione

Rischio Vesuvio: informiamoci e attiviamoci, 8 dicembre 2016:

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Ieri, 7 dicembre 2016, “Il Giornale” ha pubblicato un articolo su un recente convegno dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli («Vulcano rischio napoletano») e ha riportato una dichiarazione del capo dei Vigili del Fuoco regionale, Michele Maria La Veglia.
Il tutto è stato presentato con questo titolo:

«Vesuvio, l’allarme degli esperti: “Se erutta 600mila vittime in 300 secondi”. Secondo i dati emersi dal convegno sul Vesuvio organizzato dall’Ordine degli Ingegneri una possibile eruzione del vulcano provocherebbe una strage»

La notizia ci è stata segnalata nel gruppo-Fb “Associazione Nazionale Disaster Manager“, dove è stata criticata per i toni sensazionalistici.

Come sa chi segue la nostra pagina Fb, questo tipo di linguaggio, nel caso del Vesuvio, è ciclico. Nel corso degli anni, abbiamo conservato molti articoli volti a suscitare scalpore, spesso diffusi da pseudo-webjournal, talvolta addirittura da siti internet momentanei che hanno l’unico interesse a moltiplicare e convogliare audience per monetizzare in brevissimo tempo, grazie ai banner pubblicitari. Riteniamo sia una vera e propria deriva della comunicazione contemporanea che, purtroppo, ha coinvolto anche i giornali veri (che piaccia o no la loro linea editoriale), come in questo caso. Lo si verifica ad ogni minima scossa sismica nel Sannio o in Irpinia, per stare alla Campania, che osserviamo con più attenzione. La particolarità è che non sono quasi mai bufale, ma esasperazione di notizie reali.
Il fenomeno va denunciato, ma anche analizzato, così da riconoscerne alcuni elementi ricorrenti:

  1. i giornalisti che si occupano di rischi e di disastri (di origine naturale o antropica) spesso non sono alfabetizzati a quel tema e al suo linguaggio specifico;
  2. le testate giornalistiche non si fanno scrupoli a lanciare titoli eclatanti al fine di creare emozione (che porta al click o alla vendita di qualche copia cartacea in più);
  3. gli intervistati (siano essi scienziati, ingegneri, tecnici o operatori di protezione civile e dei vigili del fuoco) devono essere più cauti nelle loro dichiarazioni mediatiche (poi, certo, alcuni invece sono pienamente consapevoli del tono usato proprio perché vogliono creare effetto);
  4. i lettori (i cittadini) sono spesso indifesi dinnanzi a tanto clamore, che proprio chi fa narrazione del presente dovrebbe in qualche modo mediare e interpretare, ovvero saper raccontare.

E’ in occasioni di questo tipo che sentiamo tantissimo la mancanza di un osservatorio sulla disinformazione scientifica e sul rispetto della deontologia giornalistica. Andrebbe istituito e, se può essere utile, noi siamo disponibili a contribuirvi.

Il post con cui abbiamo saputo di questa notizia:

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Due pubblicazioni in sociologia del post-disastro e resilienza

Oggi e domani (1 e 2 dicembre 2016) a Torino si terrà la quinta conferenza nazionale [Fb] della sezione “Sociologia del Territorio” di AIS, l’Associazione Italiana di Sociologia.
Il programma completo è QUI.

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Per la giornata di oggi, in particolare, segnalo che nel pomeriggio ci sarà la presentazione di due imminenti pubblicazioni:

  • Disastri socio-naturali, resilienza e vulnerabilità: la prospettiva territorialista nel dibattito attuale“, numero monografico di “Sociologia Urbana e Rurale”, curato da Silvia Mugnano, Alfredo Mela e Davide Olori;
  • Tracce di società in territori fragili. Verso una nuova sociologia dei disastri italiana“, sempre a cura di Silvia Mugnano, Alfredo Mela e Davide Olori, per l’editore Franco Angeli.

In quest’ultimo c’è un mio contributo: “Al di là dello sviluppo, oltre l’emergenza: il caso del rischio Vesuvio“, ma ne parlerò più diffusamente quando avrò il volume cartaceo tra le mani.

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AGGIORNAMENTO del 20 marzo 2017:
Per ulteriori informazioni su queste due pubblicazioni, rimando a questo mio post.