La Costa Concordia «come se»

«Il naufragio della Costa Concordia è un monumento alla stupidità umana», ha scritto Marco Imarisio nel suo instant-book “Concordia. La vera storia”. «Davanti alla follia e alla stupidità umana ogni sapere, ogni progresso tecnologico diventa inutile. Questa, nel bene e nel male, è una storia di uomini, dei loro piccoli gesti di coraggio, soprattutto delle loro grandi debolezze. […] Questa è una tragedia degli uomini». La sera del 13 gennaio 2012 una macchina strabiliante, una raffinata opera dell’ingegno, aveva dimostrato la sua grande fragilità: bastava affidarla ad un uomo che non ne era all’altezza e tutta la sua forza e magnificenza potevano svanire in pochi istanti. In altre parole, l’affondamento di quella nave sembrava rivelare che la stupidità era più forte dell’intelligenza.
Dopo 20 mesi, oggi 16 settembre 2013 l’attesa per il recupero del relitto accasciato davanti all’isola del Giglio è notevole anche perché, a leggere i titoli dei giornali e ad ascoltare gli esperti, pare essere in gioco un riscatto del razionale sull’irrazionale o, per riprendere i termini di Imarisio, dell’intelligenza sulla stupidità. Tornando su quel che accadde nel gennaio 2012, è come se allora ci fosse stato una specie di trionfo dell’illogico: l’incidente era stato provocato dal cosiddetto “inchino” della nave, una pratica assurda, sebbene da anni tollerata da tutte le autorità in numerose località costiere italiane; il comportamento del capitano era stato inconcepibile (e vigliacco); le prime testimonianze dei naufraghi erano tutte (comprensibilmente) emotive: «E’ stato veramente un incubo, in confronto le scene del Titanic facevano meno paura»; il paese di origine del capitano si ostinava a difendere il proprio concittadino (qui provai a individuare qualche spiegazione); qualche mezzo di informazione non aveva disdegnato di dare spazio a congetture fantasiose, osservando che il naufragio era «accaduto di venerdì 13» e ricordando che il varo del 2006 «fu sfortunato» perché «non si ruppe la bottiglia» (da cui numerose “leggende” sulla supposta maledizione della nave) [raccolsi alcune informazioni qui].
Nel corso di questo anno e mezzo che ci separa da quella tragica notte, il relitto della Costa Concordia è diventato una sorta di sfondo fotografico per turisti e un souvenir da portare a casa (sono state messe in commercio t-shirt e cartoline, ma anche pezzi di scoglio, riproduzioni, miniature); e tutto questo in virtù del fatto che quella nave si è trasformata in un oggetto culturale, cioè in un tema dotato di una propria dimensione simbolica. La Concordia è stata presto riconosciuta sia come la testimonianza di un fatto storico, sia come una allegoria dell’attuale condizione italiana. Nel primo caso si parlò de «La nave di maggior tonnellagio mai affondata» e ancora oggi si riferisce che quello in atto è «il più grande recupero mai tentato» (un primato, d’altronde, che fu individuato già l’indomani del disastro: qui), mentre nel secondo si fa allusione alla crisi economica del Paese e all’inadeguatezza della sua classe dirigente: lo hanno sostenuto in molti, tra i quali Beppe GrilloNicolò Carnimeo, Adriano SofriUto Ughi, Tito Boeri e altri).
Oggi tutto questo vuole essere cancellato (raddrizzato, recuperato, dunque riscattato, redento) attraverso la complessa e delicata operazione ingegneristica messa in opera dalle ditte Titan Salvage e Micoperi, sotto la supervisione della Protezione Civile (mentre scrivo, i lavori sembra che stiano procedendo bene, senza conseguenze per l’ambiente: qui). Oggi, stando al clamore mediatico (457 giornalisti accreditati, di cui 310 stranieri), non è in ballo solo lo spostamento fisico di una enorme nave adagiata su una fragile e bellissima scogliera, ma è in gioco qualcosa di più etereo e, allo stesso tempo, profondo: si sta tentando la rimozione di un simbolo di decadenza e fallimento: il capitano Gregorio De Falco, uno dei protagonisti “positivi” di quella notte, ha testé dichiarato che «Oggi riscattiamo l’immagine dell’Italia cialtrona» (pare, inoltre, che su Twitter l’hashtag odierno sia “riemergere“).
La notte del 13 gennaio 2012, imperizia, arroganza, superficialità e incuria determinarono una vera e propria sciagura, aggravata dall’umiliazione di non avere neppure un capitano coraggioso che si prendesse carico del disastro; mentre oggi, al contrario, «nulla è stato lasciato al caso» («ogni rischio è stato calcolato e ridotto al minimo») e, soprattutto, è presente un leader, ovvero qualcuno che, valorosamente, si assume l’onere delle scelte: «In caso di esito cattivo, la responsabilità è mia», ha dichiarato Franco Gabrielli. Questa frase è da manuale: svelando l’incertezza dell’operazione in atto – ovvero il suo possibile fallimento – il capo della Protezione Civile riesce comunque a rassicurare assumendo su se stesso il peso dell’aspettativa. Il bisogno sociale di sicurezza porta a credere nell’autorità e che questa sia infallibile; siamo convinti, cioè, che i “sistemi esperti” impegnati al Giglio sappiano ciò che fanno e che non siano composti da persone avventate. Ci affidiamo all’idea che costoro, lavorando in equipe, si controlleranno gli uni con gli altri e, soprattutto, non compiranno degli azzardi, ma, al contrario, faranno in modo che l’imprevisto non prevalga sul calcolo (qui un esempio fornito da un gigliese). Noi che seguiamo il loro lavoro come spettatori, non possiamo che fidarci e confidare in questa ostentata capacità tecnico-ingegneristica di risolvere il problema. Riteniamo, in altre parole, che le competenze superino le improvvisazioni e che la statistica produca i risultati che lascia intendere («90% di possibilità che la rotazione funzioni»), per cui tendiamo a porre in secondo piano altre conoscenze che pure abbiamo: innanzitutto che i saperi tecnico-scientifici non sempre sono garanzie sufficienti a scongiurare che la peggiore eventualità si verifichi (molta letteratura sociologica sul rischio lo ha ormai appurato), inoltre sappiamo che lo scafo può spezzarsi o, addirittura, sfaldarsi durante la sua rotazione e, ancora, che il movimento è in grado di far fuoriuscire delle sostanze inquinanti (la Protezione Civile ne aveva fatto un elenco, ma Greenpeace ha realizzato un inventario più accurato e preoccupato, tuttavia c’è l’Arpa toscana a monitorare le acque). In un miscuglio di conoscenza e di non conoscenza, di calcolo e di aleatorietà (il rischio è questo: considerare una probabilità), ci troviamo dinnanzi ad un “sistema astratto” (astratto perché impersonale, ovvero composto di ruoli, prima che di individui) in cui alcune figure tendono a catalizzare l’attenzione mostrandosi degni di fiducia: essi rappresentano, spiega Anthony Giddens, «l’anello di congiunzione tra la fiducia personale e la fiducia nel sistema». In un quadro che ha nella relazione con l’incertezza una sua costante, la nostra sostanziale impotenza di spettatori si declina in quella che possiamo definire l’illusione di un’azione o la delega di un’azione, ovvero nello sperare: «Speriamo nella tecnologia e nella faccia che ci mette l’armatore. Speriamo che ci abbiano raccontato tutta la verità sui rischi ambientali che potrebbero verificarsi dopo lo sversamento in mare dei liquidi inquinanti che sono nello scafo. E speriamo che la nave possa essere trasferita in un porto dove lo smantellamento avvenga nel tempo più rapido e nel miglior modo possibile. Insomma, visto che si tratta di un’operazione mai tentata prima, speriamo» (Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia, qui).
Comunque andrà l’operazione di recupero, domani la Costa Concordia continuerà ad essere spunto per ragionamenti «come se», ovvero per metafore e semplificazioni del dibattito sociale: potrà essere ancora effige plastica del degrado nazionale oppure, in una radicale inversione di valore, immagine di speranza per una riemersione che dall’irrazionalità conduca alla razionalità, dalla cialtroneria alla serietà. In un caso o nell’altro, quel relitto continuerà ad essere una rappresentazione su cui costruire discorsi che, ci piaccia o meno, produrranno realtà.

11 thoughts on “La Costa Concordia «come se»

  1. Dopo una ventina di ore di lavoro, all’alba del 17 settembre 2013 il relitto della Costa Concordia è tornato verticale. I webjournal titolano «Operazione compiuta» (Qui le prime pagine dei giornali cartacei: alcune hanno titoli metaforici, come ad esempio: «L’onore recuperato un grado alla volta»).

    Ecco le prime immagini e, in timelaps, l’inizio della rotazione e il movimento completo.
    Il video dell’annuncio di Franco Gabrielli dell’avvenuta rotazione del relitto è QUI.
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    Felicitazioni dall’Anpas (Associazione nazionale delle Pubbliche Assistenze): «La nostra Protezione Civile un’eccellenza mondiale». Appellandosi ai media: «ora date la stessa evidenza alla campagna di prevenzione contro il rischio sismico “Terremoto io non rischio”» (qui).

  2. Qualche prima pagina e qualche homepage del 17 settembre 2013:

    “Il Giornale”: «L’onore recuperato un grado alla volta».

    “Leggo”: «Buongiorno Concordia».

    “La Repubblica”: «L’alba della Concordia sotto gli occhi del mondo».

    “L’Unità”: «Concordia, il lungo ribaltone».

    “Il Secolo XIX”: «L’alba della Concordia».

    “La Gazzetta del Mezzogiorno”: «Scommessa vinta: la Concordia si rialza dal mare dopo 20 mesi. Rinascita non solo tenica».

    “Il Mattino di Napoli”: «Concordia, città fantasma colpita da 2 meteoriti», «Concordia, i pugni di un gigante sulla fiancata».

    “Corriere della Sera”: «Lamiere e ruggine, la fiancata come dopo un bombardamento»
    Galleria fotografica: QUI

  3. Gianluca Nicoletti osserva che «[…] Più che la metafora di un probabile risollevamento, sembra la metafora di una volontà precisa di far sparire il corpo di un delitto o l’ultima traccia di qualcosa che getta onta e vergogna in tutto il Paese […]».
    VIDEO

    E il Presidente del Consiglio Enrico Letta twitta: «Ho appena telefonato a Franco #Gabrielli al #Giglio. Gli ho detto che tutti coloro che stanno lavorando lì sono un grande orgoglio italiano».
    TWEET

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    Un commento sulla diretta televisiva: «CorSera», 17 settembre 2013, QUI

    IL REALITY DELLA FERITA DELLA COSTA CONCORDIA. SIMBOLO DEL «NAUFRAGIO CON SPETTATORE»
    Perché la lunga diretta delle operazioni di recupero della nave ci hanno tenuti incollati alla televisione o al computer
    di Aldo Grasso

    La lunga diretta no stop dedicata al recupero del relitto della Costa Concordia passerà alla storia come il più grande reality della nostra tv: un colossal per investimenti (circa 600 milioni), per spettacolarità, per copertura mediatica.
    Da ieri mattina, da quando sono iniziate le operazioni, le televisioni di tutto il mondo hanno cominciato a diffondere le immagini dell’isola del Giglio: dirette, live streaming sul web, aggiornamenti e commenti sui social network. Il reality si chiama, tecnicamente, parbuckling (ribaltamento), una tecnica utilizzata in passato soprattutto per recuperare navi da guerra, come la USS Oklahoma. Ma la Costa Concordia è tutt’altra cosa. Ribaltare una «balena d’acciaio» che è lunga 300 metri e pesante 114 mila tonnellate è uno show che non si può perdere. Eppure, nelle lunghe ore in cui abbiamo seguito l’operazione, non è successo quasi nulla: piccoli spostamenti quasi impercettibili (solo la ruggine e le alghe sono i segnali visibili che qualcosa sta emergendo), interminabili conferenze stampa, interviste prudenti ai responsabili, lezioni di grande sobrietà da parte del capo della Protezione civile, Franco Gabrielli.
    Perché allora questo recupero e questi lenti lavori di rotazione suscitano così tanto interesse? Intanto perché la ferita è ancora aperta: sulla nave viaggiavano passeggeri di molte nazioni e le immagini del naufragio hanno avuto un impatto sconvolgente che le ha subito elevate a simbolo: la leggerezza di un comandante, l’imperizia nell’evacuazione, i tanti eroismi di gente sconosciuta, i morti, la drammatica telefonata fra il comandante Francesco Schettino e il capitano Gregorio Maria De Falco della Capitaneria di porto di Livorno, il senso dell’onore perduto in fondo al mare.
    Ma quello che ci incolla al video o al computer è quella condizione che Hans Blumberg ha chiamato «Naufragio con spettatore», dove si sviluppa l’antica metafora del naufragio, usata da tutte le letterature per illustrare i rischi dell’esistenza umana nel corso della «navigazione della vita». Abbiamo assistito a un naufragio ma ora (tocchiamo ferro) potrebbe essercene un secondo. La nostra condizione di spettatori ci permette di avere i piedi ben piantati sulla terraferma e osservare un disastro. Non godiamo delle tribolazioni altrui bensì dal confronto tra la nostra sicurezza e il possibile esito rovinoso dell’evento. E questo si chiama reality. Speriamo, però, che tutto si concluda per il meglio. E questo, per noi, si chiamerà riscatto
    .

    • Aldo Grasso ha continuato a parlare dei risultati mediatici del parbuckling e delle critiche all’«eccesso di metafore» che si sono levate il giorno dopo, a proposito delle quali dice: «Molto strano questo senso di fastidio diffuso, perché questa operazione è stata da un lato un’operazione mediatica grandiosa, ma dall’altro è stata soprattutto un’operazione che riguardava ciascuno di noi: era un’operazione attraverso la quale potevamo liberarci dello Schettino che è in noi. Qualcuno lo ha fatto, evidentemente qualcuno no».

      «Corriere Tv», 18 settembre 2013
      CONCORDIA, OPERAZIONE MEDIATICA GRANDIOSA
      Ma anche per liberarci dello Schettino che è in noi
      di Aldo Grasso
      –> VIDEO <– (1'36")

  4. «Corriere della Sera», 18 settembre 2013, QUI

    L’Italia che lavora e merita di più
    UN’IMMAGINE RISOLLEVATA
    di Gian Antonio Stella

    «È più facile disintegrare un atomo che un pregiudizio», diceva Albert Einstein che da ebreo i pregiudizi li aveva provati sulla sua pelle. Sarebbe insensato illuderci: non basterà forse il figurone del raddrizzamento al Giglio della Costa Concordia, nel quale noi italiani abbiamo avuto un ruolo straordinario, per raddrizzare del tutto la figuraccia di quel naufragio in «quel» modo. Ma certo stavolta abbiamo dato il meglio.
    Per mesi e mesi l’errore imperdonabile di Francesco Schettino e la sua fuga dalle responsabilità, randellata a brutto muso («torni a bordo, cazzo!») dal comandante della Capitaneria Gregorio De Falco, aveva pesato sull’immagine internazionale dell’Italia. Basti ricordare il velenoso commento pubblicato online dallo Spiegel («Mano sul cuore, vi sorprendete che il capitano fosse un italiano?») che tracimava di stereotipi insultanti e s’avventurava a chiedersi se avesse senso «ignorare la psicologia dei popoli» mettendo «insieme culture economiche così diverse nella camicia di forza della moneta unica». Una tesi assurda prima ancora che offensiva. E respinta da tantissimi tedeschi che mai si sognerebbero di rovesciare su di noi tanti insopportabili luoghi comuni.
    Non era un giorno qualsiasi, quel 13 gennaio 2012. La mattina Standard & Poor’s aveva declassato di due gradini il rating dell’Italia da A a BBB+, lo spread con i Bund tedeschi era tornato su a 488 punti, Milano aveva chiuso per l’ennesima volta peggio delle altre Borse europee e mentre cadevano nuovi frammenti dal Colosseo era crollato perfino il titolo della Juve. L’immagine della gigantesca nave bianca che si spegneva su un fianco per colpa di chi la governava causando danni enormi alla bellissima isola del Giglio sembrò dunque la metafora dell’Italia. Non solo agli occhi degli stranieri. Ce lo ricorda il tormentone sul comandante. Col Pd che accusava il sindaco di Palermo di aver abbandonato la città «come Schettino» e la Padania che titolava «Monti come Schettino» e i ribelli che rinfacciavano a Di Pietro «di portare l’Idv sugli scogli come Schettino» e via così…
    Per questo è un sollievo, oggi, salutare la formidabile impresa al Giglio, dove è stato strappato al mare un bastimento due volte e mezzo più grande del Titanic, come una nuova metafora. Quella di un Paese che, se vuole, può far cose apparentemente impossibili. Schierare uomini in gamba. Intelligenze scintillanti. Spirito di sacrificio. Forza di volontà. Capacità di scommettere su se stessi. Tutte virtù che abbiamo ma non sempre esercitiamo nella quotidianità. Verrebbe da dire nella scia di De Falco, perdonate il moccolo: «Possiamo farcela, cazzo!».
    Certo, raddrizzare la situazione economica dopo tanti anni di malinconica deriva, dare respiro alle imprese, varare le riforme urgenti a partire dall’abolizione del bicameralismo perfetto, restituire una prospettiva ai giovani, rilanciare l’immagine ammaccata delle nostre ricchezze culturali, recuperare le energie immense del Sud troppo spesso abbandonato a se stesso e alle mafie, è più complicato che rimettere in asse una grande nave.
    Ci sono momenti di morale basso, però, che possono cambiare di colpo. Basta un sussulto d’orgoglio, a volte, per rialzarsi e ripartire. Purché sia chiaro, l’hanno detto tra gli altri Gabrielli e Letta, che nessuno vince da solo. Che occorre fare squadra. Lavorare insieme. Spalancare l’Italia, come stavolta, alle migliori «teste» del pianeta pronte a lavorare con noi. E chissà che magari, fra tanti anni, non ricorderemo il recupero di ieri come il momento della svolta
    .

  5. «Internazionale», 18 settembre 2013, QUI

    LA COSTA CONCORDIA RADDRIZZATA, E L’ITALIA?
    di Philippe Ridet

    Eccola finalmente in piedi, se così possiamo dire. Dal 17 settembre alle quattro del mattino, zavorrata con degli enormi cassoni pieni d’acqua che assicurano la sua stabilità, bianco sporco da un lato (babordo), grigio fango dall’altro (tribordo), dopo un soggiorno di più di seicento giorni nell’acqua, la Costa Concordia è in piedi, sfregiata come un bandito messicano. Non ancora pronta per riprendere il mare ed essere disossata nel porto più vicino, ma il 70 per cento del programma del suo recupero è già terminato. Con successo. Il “crimine” di Francesco Schettino è stato vendicato.
    E l’Italia?
    Il confronto è allettante, illuminate, facile e anche io gli ho ceduto, sulla scia di molti giornali italiani che hanno fatto della rotazione del relitto (l’ormai famoso
    parbuckling) una metafora dei lavori che attendono il governo di Letta e l’intero paese. Il 20 settembre, quando il governo pubblicherà i suoi dati, fase preliminare all’esame del bilancio 2014, ne sapremo un po’ di più.
    Ma i grandi numeri sono già noti: la crescita al -1,7 o -1,8 per cento; il debito al 132 per cento del pil (circa 2.080 miliardi di euro); lo spread in aumento intorno a 260 punti; gli interessi annui del debito a 85 miliardi di euro; il deficit che secondo la stampa dovrebbe ammontare al 2,4 per cento, cioè quattro o cinque miliardi in più rispetto al tetto previsto da Bruxelles.
    E su tutto ciò un problema grande almeno quanto la Costa Concordia: Silvio Berlusconi, la cui sorte politica sarà decisa mercoledì 18 settembre al senato. La commissione incaricata di esaminare il suo caso dopo la conferma della corte di cassazione della condanna a quattro anni di prigione (di cui tre annullati per l’indulto) per frode fiscale, lo rimanderà probabilmente di fronte ai suoi colleghi senatori. Il Cavaliere, furente, minaccia di far saltare il governo e di spingere l’Italia in un lungo periodo di instabilità politica. Il problema è che i mercati odiano le situazioni del genere.
    Probabilmente in questo caso uno dei 500 tecnici che hanno raddrizzato la Costa Concordia potrebbe tornare utile. E come il relitto che sbarrava la vista agli abitanti del Giglio, così Berlusconi e il suo destino ostruiscono la visibilità degli italiani, dell’Italia e degli eventuali investitori.
    Parbuckling per Silvio? Il raddrizzamento della nave ha richiesto 19 ore, ai senatori basterebbe un secondo per decidere sulla sua sorte e per liberare – finalmente – la vista
    .

    (Traduzione di Andrea De Ritis)

  6. Un paio di giorni prima del parbuckling:

    «La Stampa», 14 settembre 2013, QUI

    SOS CONCORDIA
    di Massimo Gramellini

    Quando, la sera di un venerdì 13, la Concordia a furia di inchinarsi si piegò su un fianco, anche i meno versati nell’arte dei simboli capirono di trovarsi di fronte a una Tac. Quella balena di metallo spiaggiata per futili motivi era la politica imbelle, l’economia stagnante, la società immobile. Fu allora che in tanti di noi scaturì l’esigenza di una scena liberatoria: un giorno la grande nave si sarebbe rimessa in piedi e quel giorno avrebbe rappresentato l’alba della riscossa.
    Dopo venti mesi di stallo e di buio illuminato dai lampi fiochi delle larghe intese, sembrerebbe che ci siamo. La Concordia sta per darsi una mossa, e proprio in concomitanza con l’annuncio di una conclusione possibile della recessione. Una notizia buona, finalmente. O almeno discreta, se non ci fosse di mezzo la crapa giuliva degli italiani. L’ingombrante malata non è ancora in salvo e già i porti di Piombino e Palermo se ne contendono il ricovero a colpi di allusioni, sospetti e intrallazzi: il solito mare nostrum in cui naufragano tutte le buone intenzioni. Da questo scoglio lancio il mio disilluso SOS: e se per una volta provassimo a non farci del male? Ringrazio con un inchino
    .

  7. Pagina a pagamento sui quotidiani:
    «Su alcuni quotidiani di oggi, 19 settembre 2013, c’è una pagina a pagamento comprata da Costa Crociere per ringraziare chi ha lavorato al raddrizzamento della Costa Concordia all’isola del Giglio» (“Il Post“).

  8. «Strade sicure», 18 settembre 2013, QUI

    LA COSTA CONCORDIA ORA CI RIDA’ L’ORGOGLIO? IL MURO DI GOMMA SULLA STRAGE DEL BUS CE LO TOGLIE
    di Maurizio Caprino

    Dunque, la Costa Concordia è stata raddrizzata con un’operazione che pare magistrale. Recuperato l’orgoglio nazionale (così dice il premier Letta) ferito da chi aveva fatto sbattere la nave agli scogli del Giglio e poi non aveva soccorso i passeggeri, ragioniamo un attimo. Decine di giornalisti per seguire lo sviluppo di una tragedia costata la vita a 32 persone (su 4mila passeggeri) e che non si può dire possa capitare a tutti: quanti di noi vanno in crociera? Di contro, pochi giornalisti stanno continuando a seguire la tragedia del bus precipitato il 28 luglio dal viadotto Acqualonga, costata la vita a 40 persone (su 50 passeggeri) e che potrebbe più facilmente colpire ciascuno di noi, visto che più o meno tutti siamo costretti a percorrere strade e autostrade.
    Con questa premessa, non stupisce se ancora una volta il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha evitato di parlare della strage di Acqualonga e delle serie e diffuse carenze delle infrastrutture viarie di cui gli italiani più attenti hanno potuto rendersi conto proprio dopo quella strage. Lupi ha così perso anche l’occasione data dal Pin Talk di Etsc e Fondazione Ania ieri a Roma. Si è limitato a dire che la sicurezza stradale è tra le priorità del Governo, come aveva già fatto Letta all’indomani dell’incidente. E ha aggiunto che ciò è dimostrato dalle risorse sbloccate col decreto del fare. Peccato che fossero risorse lungamente attese dopo anni di tagli e che le assunzioni di ispettori per le autostrade non sono altro che il recupero di chi aveva perso il posto un anno fa col passaggio del “superispettorato” Ivca dall’Anas al ministero. Dunque, non c’è molto di cui rassicurarsi.
    Ora attendiamo Lupi a un altro varco: la risposta a un’interrogazione parlamentare sulla sciagura di Acqualonga rivoltagli dal senatore Marco Filippi, del Pd. Come leggete qui sotto nel testo dell’interrogazione, rispondere non sarà facile per un ministro che sinora ha fatto muro di gomma: gli si fanno domande un po’ troppo dirette
    .

    Interrogazione con richiesta di risposta scritta n. (3-00369) presentata in data 17 settembre dal senatore Filippi (PD) rivolta al Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti.
    Recenti notizie di cronaca hanno evidenziato che la barriera del viadotto Acqualonga è stato sottoposto a parziale rifacimento e nel 2009 sono state sostituite alcune campate della carreggiata sulla quale è accaduto l’incidente, cosa questa che a norma del decreto del Ministero dei lavori pubblici 18 febbraio 1992, n. 223, obbliga l’ente proprietario a sostituire le barriere con esemplari omologati a norma del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 21 giugno 2004. Successive fonti hanno portato alla luce che negli anni successivi Autostrade per l’Italia ha sostituito tutte le barriere laterali dal chilometro 0 al chilometro 50 della A16, comprendendo dunque il chilometro 32 al quale è ubicato il viadotto. A tale scopo l’interrogante chiede di saper se agli atti del Ministero e dell’Ispettorato di vigilanza delle commissioni autostradali (in esso incorporato dal 1° ottobre 2012) risultino segnalazioni di situazioni anomale sul viadotto Acqualonga e/o sui lavori che hanno interessato il tratto autostradale in questione e se sia stato verificato, e sulla base di quali atti, documenti e controlli, il rispetto degli impegni presi dai concessionari in sede di rilascio o rinnovo delle concessioni autostradali e se siano stati deliberati i rincari tariffari sulla rete a pedaggio. Infine si chiede al Ministro in indirizzo se in generale, non ritenga opportuno mettere in atto una politica di riqualificazione e mantenimento dei manufatti stradali, procedendo parimenti all’eliminazione di tutte le carenze nell’istallazione della barriere che sono all’origine di incidenti come quello sulla A16.

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