Il rischio vulcanico e quello ecologico

SSV – cittadina definita dai suoi stessi abitanti ordinata e pulita, almeno rispetto ai comuni confinanti – è sovrastata non solo dal cratere del vulcano, ma a partire dalla seconda metà del Novecento anche da una enorme discarica di immondizia, la “Ammendola-Formisano”; una volta colmatasi l’omonima cava della zona alta del comune di Ercolano, con il progressivo accumulo di rifiuti è andata formandosi una vera e propria collina, la cui crescita è stata arrestata solo alla fine degli anni ’90. Sebbene la discarica sia ufficialmente dismessa, gli abitanti della zona ritengono che rappresenti ancora una minaccia alla salute, sia perché non è mai stata bonificata, sia perché è (stata) oggetto di continue deroghe: nel primo decennio degli anni Duemila, infatti, è stata riaperta ben due volte per far fronte all’emergenza napoletana e campana.
Il riferimento alla “Ammendola-Formisano” e ai suoi effetti (fetore, malattie, inquinamento) è emerso in molte delle interviste raccolte, spesso accompagnato dal contrasto con la virtuosità della raccolta differenziata sansebastianese (una delle più efficienti della provincia). Il frequente affiorare di tale argomento dai discorsi dei miei interlocutori, chiamati ad esporre il loro personale rapporto con il territorio, sembra concentrarsi in un luogo specifico dalle valenze simboliche (per di più vi si è sviluppato un piccolo culto popolare per la presenza di statuine, rosari e santini depositati in un incavo della roccia). Si tratta di una controversa fumarola, la “più bassa” del Vesuvio, a circa 1,5 km dal centro abitato di SSV. Sulle sue origini non c’è unanimità di pareri né tra i geologi, né tra gli amministratori: per qualcuno è un residuo del calore magmatico del 1944, per altri lo sfogo dei gas prodotti dalla discarica che dista poche centinaia di metri in linea d’aria.
Personalmente ritengo che, al di là della sua natura, la presunta fumarola rappresenti in maniera paradigmatica la compresenza – forse la commistione – tra due dimensioni del rischio, vulcanico ed ecologico, entrambi effetti di una modernità che in area vesuviana “esplode” dopo l’ultima eruzione del 1944. Il rischio è una condizione della società contemporanea (Beck, Giddens, Bauman) e, nel caso specifico vesuviano, è frutto di una rapida urbanizzazione lungo le falde del vulcano e di un aggressivo sfruttamento del territorio, prima con le cave estrattive, poi con il loro riempimento di rifiuti. A “certificare” l’esistenza di questa doppia insidia, nel 1995 sono stati istituiti due strumenti legislativi che potrebbero essere definiti come volti a difendere rispettivamente l’uomo dal vulcano (la Zona Rossa) e il vulcano dall’uomo (il Parco Nazionale del Vesuvio).
Al processo di scotomizzazione con cui gli abitanti rispondono al discorso sulla catastrofe annunciata (che altrimenti schiaccerebbe le loro vite in un angoscioso “non-esserci”), interviene principalmente l’ambiguità tra allarmismo e rassicurazione («il Vesuvio è il vulcano più pericoloso del mondo», ma è anche «il più monitorato sul pianeta»), supportata dalle nuove perimetrazioni del territorio, dai discorsi scientifici e mediatici, dalle scelte urbanistiche, da eventi storici particolari e da dinamiche politiche ed economiche.
L’aria pulita di SSV, che un tempo veniva raccomandata dai medici napoletani come cura ai propri pazienti, oggi è una preoccupazione: se la brezza spira in senso sfavorevole, il lezzo della «collina del disonore» (la discarica “Ammendola-Formisano”) o anche di altre realtà industriali («ieri ci siamo dovuti chiudere dentro per il fumo delle caldaie che il vento soffiava verso di noi», mi ha detto recentemente un testimone) costringe a ritirarsi in casa e a (pre)occuparsi della più imminente e quotidiana questione ecologica, rispetto al rischio vulcanico, ritenuto invece invisibile (le fumarole sono residuali e, comunque, osservabili esclusivamente in cima al cratere in giornate piuttosto fredde), impercettibile (se non alle sensibili strumentazioni scientifiche) e prodotto solo in termini di sapere (scientifico o anti-scientifico).
Come osserva Françoise Zonabend a proposito degli abitanti di La Hague – la “penisola nucleare” della Normandia –, «in questo contesto di modernità, […] gli stretti rapporti che la gente aveva con la natura si stanno rompendo. Il tempo, il vento, la pioggia e la nebbia, le nubi, le tempeste e i temporali, tutti questi fenomeni naturali di cui si lamentano rivelano, di fatto, che una civiltà, la loro civiltà, sta morendo».

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Queste sono riflessioni in itinere e da affinare, quindi da considerare assolutamente provvisorie e parziali.

Ma ho deciso di inserirle qui sul blog per le suggestioni ricevute da un articolo – pubblicato ieri da Ciro Teodonno sul “Mediano” – relativo alla voce che circola a SSV in questo periodo: una nuova presunta (e anche questa controversa) fumarola sarebbe emersa nella stessa zona di quella cui ho fatto riferimento: «ci siamo recati sul posto, che per altro conosciamo molto bene, per verificare di persona se ci fossero nuovi vapori all’orizzonte ma nulla di tutto ciò, solo una fessura incrostata e dal chiaro segno di una recente visitazione di qualche curioso, il tutto, a poca distanza dalla fumarola ufficiale, adibita ad edicola sacra da alcuni devoti del luogo». [Continua tra i commenti].

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AGGIORNAMENTO del 9 novembre 2013:
Antonello Caporale ha pubblicato un reportage (“Il Fatto Quotidiano”, 9 novembre, 2013, QUI) intitolato: Napoli, la Terra dei Fuochi: aria infetta, rifiuti e tumori attorno al Vesuvio. Viaggio nel cuore di una Campania alla ricerca di un riscatto impossibile tra edilizia selvaggia, criminalità e camorra. “Sono scappata da Afragola, non riuscivo a respirare”, spiega una giovane. Il geologo Benedetto De Vivo: “Stanno costruendo l’ospedale del mare dove, nel caso dovesse esserci l’eruzione, il flusso piroclastico, queste tremende bombe di terra e cenere, si riverserà. Si può essere più sciagurati?”.
Tra le altre testimonianze, il giornalista inserisce una battuta dell’antropologo Marino Niola.

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ALTRI AGGIORNAMENTI:

  • 26 ottobre 2013: manifestazione a Napoli contro la “Terra dei fuochi” (locandina) (“Il mediano”, 27 ottobre 2013, qui).
  • 9 novembre 2013: conferenza a Massa di Somma sull’incidenza di tumori nell’area vesuviana, promossa dal comitato di cittadini “Liberiamoci dal male” (“Il Mattino”, 5 novembre 2013, qui; “Il mediano”, 10 novembre 2013, qui [QUI].
  • 16 novembre 2013: manifestazione a Napoli (titolo: #fiumeinpiena) [Copia del comunicato di alcune associazioni che vi hanno partecipato: QUI].
  • 10 dicembre 2013: scoperte esalazioni tossiche a ridosso del PNV (“La Repubblica“).
  • 21 settembre 2014: raccolta di firme ad Ercolano contro la discarica Ammendola-Formisano [QUI, col testo della petizione].

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AGGIORNAMENTO del 23 febbraio 2014:
Il telegiornale regionale della Campania del 23 febbraio 2014, delle ore 19.00, ha trasmesso un servizio sulla discarica Ammendola-Formisano di Ercolano. Questo è il video:


Di questa situazione ne ha scritto anche l’Ansa (23 febbraio 2014) e Il Mediano (24 febbraio 2014).

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Anche oggi, 24 febbraio 2014 (h14), il TGR Campania ha dedicato un servizio (1’19”) alla discarica Ammendola Formisano, in pieno Parco Nazionale del Vesuvio:

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AGGIORNAMENTO del 24 marzo 2014
Ciro Teodonno riferisce di un convegno indetto due giorni fa da PD di Ercolano per affrontare il problema delle discariche: «molti dubbi e poche certezze» (QUI).

La camorra è una montagna di monnezza

La storia della monnezza sul Vesuvio si intreccia spesso con gli interessi della camorra: è una storia di illegalità e di battaglie per ristabilire il diritto. A volte la criminalità non si è fermata dinnanzi a nulla e ha sparato. Così sono state dilapidate delle vite, come quella di Mimmo Beneventano.

“Vita”, 28 marzo 2001, QUI

PER RICORDARE MIMMO DIFENDO IL VESUVIO DAGLI ECOCAMORRISTI
Pasquale Raia, volontario di Ottaviano rifà la storia dell’emergenza e racconta le ragioni del suo impegno ambientalista
di Giampaolo Cerri

Loro le discariche dell’area vesuviana non le hanno scoperte oggi. Ma non erano loro a fare i blocchi stradali contro i camion di spazzatura, a scontrarsi con la polizia. Sono i volontari di Legambiente, i primi a denunciare gli scempi, gli affari, le intimidazioni. E’ dal 1980 che se ne occupano. Sfidando i clan camorristici che, in quella zona, prosperano su discariche legali e abusive e per i quali, la soluzione del problema rifiuti, si prospetta come un’opportunità di business in meno. Pasquale Raia, 42 anni di Ottaviano (Napoli), medico veterinario, è la memoria storica di questa emergenza.

Vita: Fare gli ambientalisti dalle vostre parti non dev’essere facile…
Raia: No, non lo è. Qua l’ecomafia è una realtà concretissima: spesso l’abuso è legato agli affari di pochi, spesso illegali.

Vita: E chi ve lo fa fare?
Raia: La memoria di un amico. Si chiamava Mimmo Beneventano ed era consigliere comunale ad Ottaviano. Faceva le battaglie contro le discariche e l’abusivismo per questo nel 1980 la camorra di Cutolo l’ha ammazzato. Quell’assassinio ha spinto molti giovani come me verso il lavoro ambientalista. A Mimmo è dedicato il circolo di Legambiente che abbiamo fondato nel 1989, proprio ad Ottaviano, dove l’avevano ucciso.

Vita: A che cosa si rinuncia?
Raia: Io alla libera professione, mi sono messo a fare il veterinario in una Asl a Napoli per avere più tempo da dedicarmi a queste battaglie.

Vita: Minacce?
Raia: Qualche volta, spesso indirette, spesso telefoniche. Sono le peggiori. Qualche volta abbiamo proprio dovuto abbandonare il campo: c’erano in giro dei tipi che sembravano disposti a tutto… Nel 1999 il circolo è stato assalito e devastato: ci ritenevano responsabili degli abbattimenti delle case abusive, un’ottantina in tutto, che l’Ente Parco del Vesuvio aveva ordinato. Per noi il Parco era ed è un momento di sviluppo importante: ha già creato 100 posti di lavoro, ma valorizzando il territorio e i suoi prodotti, può dare un impulso forte all’economia di queste zone.

Vita: Quando è iniziata l’emergenza?
Raia: Ma qui non è mai finita. Alla fine degli anni ’80, nella sola zona di Napoli c’erano una ventina di discariche autorizzate. Il Vesuvio era uno grande discarica a cielo aperto. Le zone da dove arrivava il 75% delle albicocche d’Italia, dove si producevano vini pregiati come il Lacrima Christi di Terzigno, assediate da montagne di rifiuti. Cave riempite di rifiuti, cave abusive realizzate allo scopo, un business miliardario. Accanto alle discariche, i gestori acquistavano terreni enormi, li scavavano e li riempivano. La realizzazione del Parco del Vesuvio ha posto le basi per bloccarle.

Vita: E’ successo?
Raia: Molto lentamente. Noi, nel 1989, abbiamo fatto una battaglia per chiudere quella di Fungaia Montesomma e ci siamo riusciti denunciando proprio la tattica degli ampliamenti abusivi: dimostrammo che i gestori avevano arbitrariamente allargato la discarica ad alcuni terreni vicini.

Vita: L’ultima denuncia?
Raia: L’abbiamo fatta l’altra sera: contro alcune persone che incendiavano i cumuli di rifiuti ad Ottaviano ma già l’indomani abbiamo cominciato a ricevere pressioni per ritirarla. I siti Internet delle associazioni ambientaliste sono una miniera di informazioni e di riferimenti. Ecco gli indirizzi dei gruppi d’impegno ecologico che abbiamo interpellato nell’inchiesta:
http://www.amicidellaterra.it –
http://www.legambiente.com –
http://www.wwf.it –
http://www.ecoistituto.veneto.it –
http://www.verdiambientesocieta.it
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PS: “La mafia è una montagna di merda” (Peppino Impastato)