“Allarme Vesuvio”; e ho detto tutto

Come ho già scritto altre volte, per una ampia gamma (pseudo)giornalistica il Vesuvio è una notizia bomba (spesso lo “pseudo” è concreto: specie sul web, girano siti che sembrano giornalstici ma non hanno alcuna credenziale, almeno formale): tutto ciò che conta per questo tipo di informazione è il titolo, sufficientemente clamoroso da indurre un click, da cui discende il resto, che è ciò che davvero conta per loro: aumento dell’audience, dunque della pubblicità e degli introiti economici. Da qualche giorno, in questa schiera va inserito anche l’ “Huffington Post Italia“, che con un articolo imbarazzante è riuscito a non dire alcunché in merito a ciò che il titolo prometteva (ma, come dirò, è l’intera notizia ad essere stata coperta in maniera inadeguata e incompetente da numerosi organi d’informazione, anche riconosciuti).

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Clicca sullo screenshot per accedere all’articolo dell’Huffington Post Italia.

In meno di quindici righe viene trattato (omettendo nomi e confondendo ambiti) un argomento ritenuto grave se, nel testo stesso, viene specificato che riguarda «un’area fortemente a rischio, dove vivono oltre tre milioni di persone». Nel brano, firmato dalla Redazione, viene affermato che l’eruzione del Vesuvio è una possibilità, ma questo è un errore perché, in realtà, si tratta di una certezza (ripetuta da anni), sebbene non si sappia bene come avverrà tale eruzione (esistono, tuttavia, degli scenari previsionali) e si ignori del tutto il quando si verificherà l’esplosione (ed è intorno a tale incertezza che si gioca la partita scientifico-politico-sociale del rischio geologico in provincia di Napoli).
Come dicevo, in poche righe non solo non viene detto nulla nel merito, ma ci sono addirittura omissioni e confusioni. Si fa riferimento a due vulcanologi, ma non ne viene fatto il nome, rimandando ad un’intervista dei due al “Giornale” (che, in realtà, non esiste; c’è, piuttosto, un servizio di “SkyTG24” in cui parlano i due scienziati); poi si mischia il caso flegreo a quello vesuviano (da tempo, i due studiosi sostengono che nel sottosuolo ci sia un’unica «sacca di magma» per i due vulcani, ma lo stato urbanistico di superficie delle due aree è piuttosto diverso e, sebbene preoccupante in entrambi i casi, comporta problematiche differenti) e, infine, si usano come sinonimi concetti (e strumenti) diversi come il “piano di emergenza” e il “piano di evacuazione” (che, restando sul generale, andrebbero ripensati, non semplicemente rinnovati).

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Clicca sullo screenshot per accedere all’articolo del “Giornale”.

Per saperne di più, dunque, ho cercato altre fonti. Innanzitutto l’articolo citato del “Giornale“, che è altrettanto sciatto e scialbo, dove tuttavia si viene a sapere che i due studiosi sono Giuseppe Mastrolorenzo e Lucia Pappalardo dell’Osservatorio Vesuviano, i quali avrebbero lanciato un nuovo allarme vulcanico dalle pagine della prestigiosa rivista “Nature“, sul cui website, però, non c’è traccia di contributi recenti sull’argomento in oggetto.
Allora ho consultato “Il Mattino“, in cui c’è qualche ulteriore informazione (ma anche in questo caso col solito fraintendimento: «Settantuno anni dopo il Vesuvio potrebbe tornare a eruttare? E’ una possibilità»; no, è una certezza, ma non si sa quando, sicuramente non domani). L’articolo è arricchito da un’intervento di Francesco Emilio Borrelli, consigliere della Regione Campania per la lista Davvero Verdi, che su questo argomento non fa mai mancare la sua voce, a mio avviso sempre sbagliando obiettivo: da un ambientalista ci si aspetterebbe attenzione al delirio cementizio che ha causato la vulnerabilità dell’area, non una vacua denuncia dell’insufficienza del piano di emergenza (che possiamo rifare quante volte vogliamo e seguendo principi sempre diversi, ma che non mitigherà mai il rischio, il quale invece richiede altri interventi).

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Clicca sullo screenshot per accedere all’articolo del “Mattino”.

Il consigliere, inoltre, critica l’eventualità di trivellazioni in area flegrea strizzando l’occhio alle montanti pulsioni antiscientifiche tanto di moda tra i politici italiani (io, nel merito, non ho le competenze per affermare alcunché, se non intravedere grigi interessi economici) e poi si lancia in un annuncio impegnativo (una tecnica comunicativa consolidata e, a quanto pare, vincente, visto il consenso dei promettitori di professione): «Con la Regione Campania ci faremo promotori di un new deal affinché i piani vengano realizzati». Questi, infine, a detta del Dipartimento di Protezione Civile «esistono, da anni, e sono entrambi [dei Campi Flegrei e del Vesuvio] attualmente in corso di aggiornamento» (ma, tanto per restare in superficie, se la popolazione non li conosce, che valore ha tale esistenza?).
Per concludere, la notizia è stata diffusa anche in televisione attraverso “SkyTG24“, in un servizio di 4 minuti, con interviste a Mastrolorenzo e Pappalardo e, in chiusura, al diretore dell’OV Giuseppe De Natale:

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Clicca sullo screenshot per accedere allo streaming del servizio video di SkyTG24.

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PS: l’intera faccenda l’ho conosciuta tramite questo post su fb.

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AGGIORNAMENTO del pomeriggio del 24 agosto 2015:
Le considerazioni di questo post, come spero sia chiaro, riguardano esclusivamente l’aspetto giornalistico e culturale degli ultimi episodi relativi all’informazione sul rischio vulcanico in area napoletana; non toccano gli aspetti vulcanologici, sui quali non ho competenze tecniche. Reazioni, tuttavia, ci sono state anche su questo specifico ambito, come le precisazioni del direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Giuseppe De Natale, in merito alle affermazioni dei due ricercatori citati. Il testo è stato diffuso con una nota ufficiale del 23 agosto (ieri, ma l’ho scoperta solo ora attraverso Vesuviolive, e questo mi porta a riflettere sull’efficacia dell’attuale comunicazione ufficiale da parte dell’OV e del DPC, della quale scriverò presto):

Precisazioni del Direttore in merito alle notizie diffuse da alcuni media sullo stato del Vesuvio

Ieri ed oggi numerosi cittadini hanno telefonato alla nostra Sala Monitoraggio, diversi di loro evidentemente turbati da quanto appreso, per segnalare notizie allarmanti sui nostri vulcani provenienti da alcune testate giornalistiche e TV.
Per questo ritengo doveroso fare le precisazioni seguenti.
A tutti ribadisco che l’Osservatorio Vesuviano,sezione di Napoli dell’INGV, è l’unico Ente che rileva e studia sistematicamente e con continuità i dati di monitoraggio delle aree vulcaniche campane: Vesuvio, Campi Flegrei ed Ischia, ed emette periodicamente Bollettini che contengono tutte le informazioni rilevanti, nonché le eventuali variazioni di attività, su questi vulcani. I nostri Bollettini sono disponibili a tutti, perché pubblicati nelle sezioni specifiche di questo web. Pertanto, ogni informazione sullo stato dei vulcani campani che non provenga da canali ufficiali dell’INGV potrebbe riportare l’opinione personale di qualche singolo ricercatore, italiano o straniero, oppure di qualche giornalista, politico p semplice cittadino, ma non riflette in alcun modo la visione ufficiale dell’INGV che, come si è detto, è l’unico Ente che rileva e studia in maniera continua, sistematica ed in tempo reale, lo stato dei vulcani.
I cittadini quindi, e gli stessi giornalisti, se desiderano avere notizie certificate ed aggiornate sullo stato dei vulcani campani, possono consultare il presente sito web o rivolgersi ai Colleghi di turno presenti in Sala Monitoraggio 24/24 h oppure (per questioni particolarmente importanti e/o per concordare interviste) alla Segreteria di Direzione nelle ore lavorative (i rispettivi numeri telefonici sono riportati nella sezione ‘contatti’ di questo sito). Il nostro Istituto è sempre+ disponibile ad informare correttamente ed a rispondere a qualunque domanda dei cittadini e dei media, relativamente allo stato dei nostri vulcani.
Nello specifico, a commento delle notizie diffuse ieri ed oggi da alcuni media e che hanno evidentemente causato ansia e preoccupazione in una parte di popolazione, si rileva quanto segue:

1) Non esiste alcun lavoro pubblicato dalla rivista ‘Nature’ a firma congiunta dei Ricercatori citati dai media in questione;

2) Il Vesuvio è un vulcano attivo, come i Campi Flegrei ed Ischia, quindi non c’è bisogno di alcuna nuova ‘scoperta’ per sapere che prima o poi potrà eruttare; possibile eruzione che però non è sicuramente imminente, visto che non c’è alcun segnale che distingua l’attuale attività da quella degli ultimi 71 anni, ossia quiescenza;

3) Il fatto che esista una sorgente, laminare, di magma tra 8 e 10 km di profondità che alimenta tutta l’area vulcanica campana non è stato scoperto dai Ricercatori citati bensì da chi effettuò, tra il 1994 ed il 2001, gli esperimenti di tomografia sismica al Vesuvio ed ai Campi Flegre (tra cui il sottoscritto); è un fatto talmente noto che anche il numero di Settembre di Focus, nel suo articolo sui nostri vulcani, lo rende graficamente nella figura principale; e non ha alcuna implicazione allarmistica: semplicemente, nei primi anni del 2000, riuscimmo a definire, come forma e come profondità, la sorgente magmatica di alimentazione primaria dei vulcani campani;

4) I 20_30 cm di sollevamento di cui si riferisce non sono relativi al Vesuvio bensì all’area dei Campi Flegrei, e sono stati accumulati in più di 10 anni.

Il Direttore

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INTEGRAZIONE del 25 agosto 2015:
Due segnalazioni:

  • Un’amica astrofisica ha scritto un post ironico tra macchie solari e allarmi vesuviani: QUI.
  • Questo mio post è stato citato in un articolo del blog “SPGeology”, che ieri aveva già affrontato il tema dell’ultima bufala vesuviana: “[queste pseudo informazioni] normalmente le lascio passare e non le condivido nè ne parlo per non regalare loro altri clic, ma stavolta mi sono proprio scocciato” (condivido pienamente).

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AGGIORNAMENTO del 28 agosto 2015:
Sul “Mattino” di Napoli c’è una coda delle polemiche seguite all’ultimo allarmismo sul Vesuvio; lo racconta “San Sebastiano al Vesuvio News” (l’articolo è riprodotto tra i commenti: qui).

Il Vesuvio su “Wired”: The world’s most dangerous volcano may kill another city

«Se sei un vulcanologo, nulla può farti più paura del pensiero della prossima eruzione del Vesuvio». Così comincia un articolo pubblicato il 29 luglio 2015 da Erik Klemetti sull’edizione statunitense di “Wired”: The world’s most dangerous volcano may kill another city. Il testo discute la grande pericolosità del vulcano napoletano, ma è ricco di esempi in giro per il mondo, specie negli USA, come l’area di Seattle, soggetta alla possibilità d’un terremoto apocalittico, come ha recentemente evidenziato il “New Yorker” [ne ho scritto qualche breve riflessione qui].
Il testo di “Wired” fornisce dati e link di approfondimento, per cui ne consiglio la lettura integrale; tuttavia di seguito ne estrapolo (e traduco) i passaggi che si riferiscono più esplicitamente a condizioni politico-sociali: il rapporto tra spazio urbano e rischio vulcanico, la comunicazione tra istituzioni e popolazione, l’entità dei possibili danni (e vittime) ed eventuali ripercussioni più ampie, la necessità di una preparazione all’emergenza e di una mitigazione del rischio.

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Clicca sull’immagine per accedere all’articolo di Wired.

Il Vesuvio non è “vicino” come il Rainer a Seattle o il Popocatépetl a Città del Messico, ma è un vulcano letteralmente dentro un’area metropolitana di oltre 3 milioni di abitanti: «il cratere sommitale del Vesuvio si trova a circa 12km dal centro di Napoli. [Per cui] Napoli e l’Italia devono prepararsi ad una inimmaginabile eruzione del Vesuvio [in cui la comunicazione fa la differenza, se non si vuole finire] con catastrofi come Armero o L’Aquila».
Stante questa situazione, però, sorge una domanda che può mettere i brividi: «sarebbe possibile un’evacuazione di milioni di persone nel corso di una grande eruzione del Vesuvio?». La più grande evacuazione della storia degli Stati Uniti si è avuta nel 2005 per l’uragano Rita, quando più di 3 milioni di persone furono evacuate da un’ampia area tra Texas e Louisiana, in gran parte dalla zona metropolitana di Houston. Ma si trattava di una evacuazione temporanea, rientrata dopo pochi giorni dalla tempesta. «Immaginate cosa potrebbe succedere se tutta Napoli dovesse essere evacuata dinnanzi ad una turbolenza del Vesuvio che potrebbe protrarsi per mesi o anni».
Attualmente, sulla zona considerata di maggior rischio vivono oltre 675mila abitanti. Con una grande eruzione, tuttavia, l’area ricoperta di cenere vulcanica sarebbe anche di centinaia di chilometri, per cui avrebbe un impatto su almeno 6 milioni di persone.

«Secondo alcune stime, una grande eruzione del Vesuvio potrebbe uccidere oltre 10.000 persone, ma se dovesse esserci un’evacuazione a lungo termine, il numero potrebbe salire a causa di malattie legate alla precarietà delle condizioni in alloggi temporanei. Il colpo per l’economia italiana potrebbe essere più di 20miliardi di dollari… e questo è probabilmente una stima per difetto che non include le spese di ricovero, potenzialmente per milioni di profughi di origine vesuviana».

Direi che il quadro è piuttosto apocalittico, ma l’autore del pezzo non si ferma a questo stadio deprimente e, invece, tenta di rispondere alla seguente domanda: quindi non c’è alcuna speranza?
Al contrario, risponde Klemetti: «Ecco cosa deve essere fatto perché Napoli (o qualsiasi grande città, vicino a un vulcano) sia pronta per la prossima grande eruzione»:

1) Monitoraggio del vulcano: significa che bisogna avere sia strumenti sufficienti per misurare ogni attività del vulcano, sia – ed è ancora più importante – persone addestrate ad interpretare i segnali.
2) Mitigazione: la pianificazione dell’emergenza deve essere fatta ora, anche per un disastro che potrebbe non avvenire durante la nostra vita. Il piano deve essere chiaro e facile da seguire. in quanto verrà trasmesso a nuove persone nel corso degli anni. Inoltre deve essere costantemente riveduto, ogni volta che sono disponibili nuove informazioni o quando è la città stessa a cambiare.
3) Comunicazione: gli scienziati devono comunicare in modo efficace e in maniera chiara al pubblico a proposito della minaccia rappresentata dal vulcano. Tra gli scienziati, i progettisti, i coordinatori dell’emergenza e il pubblico dev’esserci fiducia – e la comunicazione è la chiave di questa fiducia.
4) Pratica: i piani sono strumenti utili, ma la pratica e le esercitazioni lo sono ancor di più. Un ottimo esempio è rappresentato dal vulcano Rabaul in Papua Nuova Guinea, dove la pratica ha salvato delle vite nel corso di una imponente eruzione.

Evidentemente, ognuno di questi punti andrebbe sviscerato e sviluppato, magari anche criticamente (le esercitazioni, ad esempio, sono spesso delle vere e proprie macchine per la costruzione di consenso, non per la prevenzione). Ma come conclude l’articolo, per quanto i vulcani possano essere pericolosi e mortali, oltre che belli e imponenti, «essere preparati alla prossima eruzione è la chiave che può rendere o meno il vulcano più pericoloso del mondo nel più mortale».
Credo, tuttavia, che manchi un quinto elemento, ovvero una seria e profonda riflessione sul modello di “sviluppo” che ha concretamente prodotto l’entità del rischio (l’enorme vulnerabilità) dell’area vesuviana. E’ un punto pochissimo dibattuto, che invece reputo centrale, specie se oltre a prepararci all’emergenza intendiamo anche mitigare il rischio per le generazioni future. Come ho scritto altrove (il mio contributo uscirà a settembre):

«Il Vesuvio, prima ancora che questioni sulla sicurezza e sulla prevenzione, ci pone delle domande epocali sul nostro modello economico, sul nostro rapporto col territorio, l’ambiente e l’ecosistema, sul nostro modo di costruire e vivere le città, sulle nostre istituzioni, sulla rappresentanza e la partecipazione».

E questo vale per Napoli quanto per Seattle e qualsiasi altra città del mondo.

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INTEGRAZIONE del 3 agosto 2015:
L’utente fb Fabrizio Centonze ha commentato uno status della pagina “Rischio Vesuvio…” che linkava a questo post. Le sue osservazioni precisano alcuni passaggi dell’articolo originale su “Wired”:

L’articolo originale contiene 2 errori. L’eruzione del 1631 è una VEI 4. L’eruzione di Rabaul bisogna eliminarla dai successi delle protezioni civili perchè è stata un evacuazione spontanea nella notte. Bisogna anche dire che De Natale non era al corrente di questo (io Si) ma i suoi colleghi hanno provveduto ad informarlo. Detto questo l’articolo contiene degli ottimi spunti. Nessun vulcanologo al mondo conosce il tipo di eruzione che farà il vesuvio semplicemente perchè non si può conoscere prima. Si parla di Probabilità per questo. Personalmente preferisco gli scenari. Se parliamo di scenari eruttivi allora vengono fuori tutte le magagne del piano di emergenza.