Il Vesuvio brucia

Ieri pomeriggio, 16 settembre 2015, il Vesuvio ha cominciato a bruciare. Si tratta di tre focolai divampati piuttosto in alto, nei pressi della Riserva Alto Tirone, una zona particolarmente protetta all’interno del Parco Nazionale, o ancora più in quota, alla base del Gran Cono. Questa è una foto scattata da Sorrento:

Foto scattata a Sorrento da Sciorincio.

Foto scattata a Sorrento da Sciorincio.

Una cronaca è su “Il Mattino“, mentre altre immagini sono su “YouReporter“, “FanPage“, “Repubblica” e sulla pagina fb dell’utente Carlo Falanga.

Come osserva Ciro Teodonno su “Il Mediano”, «Inutile sottolineare il danno inestimabile che subisce ancora una volta il fragile e già martoriato ecosistema del Parco Nazionale del Vesuvio». Inoltre, bisogna usare cautela in merito alle cause dell’incendio perché ancora non vi sono prove che sia doloso.
Tuttavia, al di là di eventualità naturali (a causa dei fulmini, ad esempio, mentre l’autocombustione è quasi improbabile) e a ragioni accidentali (ad esempio uccelli folgorati sui pali elettrici e che, cadendo a terra, causano una combustione, ma è un’altra possibilità statisticamente irrilevante), la gran parte degli incendi è dovuta a ragioni colpose e dolose. Nel primo caso si tratta di imprudenza e imperizia, come il celebre mozzicone di sigaretta gettato da un’automobile o i fuochi dei gitanti e talune pratiche colturali. Nel secondo rientra un vero e proprio atto illecito, a sua volta determinato da due possibili figure, l’incendiario (per vandalismo, per vendetta, per profitto o per altro crimine) e il piromane (che è un criminale affetto da disturbi psichiatrici).
Ognuna di queste sfumature richiede contromisure adeguate, di educazione, terapia, tutela e così via. Ma c’è un piano che è prettamente sociale, dunque politico, ovvero quello degli interessi economici. Per comprenderne l’ampiezza, rimando ad una inchiesta firmata da Fabrizio Gatti il 23 agosto 2013 su “L’Espresso”: «Affari di fuoco. Nessuna prevenzione, tanti sprechi. E gli interessi delle società che spengono i roghi. Ecco perché l’Italia brucia».

Intanto, il dolore di chi ama il Vesuvio è profondo, come traspare da alcuni post su fb.

La “Associazione Vesuvio Natura da Esplorare – Laboratorio AMV” ha scritto:

L’incendio al Vesuvio di oggi rattrista gli animi di tutti; le proporzioni sono considerevoli e una grande parte di macchia mediterranea sopra quota 600m slm si sta tuttora bruciando.
Si spera che il fuoco non arrivi nella pineta del Tirone… Ogni pino che prende fuoco infatti divampa in una fiammata visibile da tutto il golfo. Con grande probabilità l’incendio è DOLOSO.. e su questo c’è solo da stendere un velo pietoso…
I forestali sono intervenuti da subito ma non si è riusciti ad arginare l’incendio prima di notte.. e nelle ore notturne purtroppo non è possibile operare.
Domani alle prime luci dell’alba partiranno di nuovo le squadre antincendio. Ma il danno c’è ed è consistente, tante specie animali e vegetali stanno ora morendo o hanno perso il loro habitat.
Non c’è perdono per chi è capace di fare una cosa del genere, né c’è scusante!
Tutto il popolo vesuviano stasera è a lutto!

Il gruppo “Anima Vesuviana” ha pubblicato queste parole:

Lagrime di fuoco…
Arde il Vesuvio…arde da 8 ore, arde la stessa natura che aveva vinto il fuoco distruttore, ardono i fiori e i pini che erano tornati a rendere verde e vivo il cratere dopo 60 anni..
Arde tutto…arde l’anima di chi può solo chiedere aiuto, impotente.
Nel devastante silenzio dell’indifferenza di chi può e non agisce e nel fallimento di chi avrebbe potuto, tutto Arde, e poco possiamo noi.
Fiamme che diventano lacrime, lacrime di fuoco …osservate e non comprese da chi sopravvive all’esistenza…
Lacrime di fuoco che dovrebbero penetrarci l’Anima ..
In questo folle esistenza dove noi diveniamo Carnefici e un vulcano vivo diviene vittima..l’egoismo e il famelico bisogno di primeggiare nella stupidità ci hanno distrutto.
Arde l’Anima mia…Arde il Vesuvio, Formidabile e nero..più nero del buio della notte…arde…ed io ardo assieme a lui.
Laura Noviello/ Anima Vesuviana

Stamattina sono riprese le operazioni di spegnimento con l’impiego di un canadair, dopo che le fiamme hanno arso per tutta la notte: “Ansa“, “Corriere del Mezzogiorno“, “Repubblica“. Sempre più forti, infine, i sospetti che si tratti di un incendio doloso, dal momento che sono stati rilevati almeno tre i punti di innesco segnalati in posti diversi.

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Di recente, il Vesuvio ha bruciato anche il 30 agosto 2015:

vesuvio-incendio-2015-ago-30

Incendio del 30 agosto 2015: clicca sulla foto per accedere alla cronaca de “Il Mattino”. (L’immagine è mia, scattata da Sorrento).

PS: Di entrambi gli incendi ho scritto sul mio fb: il 30 agosto e il 16 settembre.

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AGGIORNAMENTO del 18 settembre 2015 (mattina):
In questo momento (7h30 del mattino) il Vesuvio brucia ancora. Il focolaio attivo è, secondo Massimo Ginelli, un testimone incontrato su fb, ad un chilometro dal fuoco divampato il 16 settembre. Cause accidentali o naturali? Vista la dinamica, direi che non ci sono più dubbi sul dolo o, quanto meno, sulla negligenza. Quanto bosco e quanto macchia mediterranea devono sparire prima che un Parco Nazionale venga difeso adeguatamente?
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Intanto, fiamme ardono in ben due località della Penisola Sorrentina:
– a Nerano (nel comune di Massa Lubrense): qui e qui (fiamme appiccate senza dubbio da qualcuno);
– a Tordigliano (tra i comuni di Piano di Sorrento e Vico Equense in Costiera Amalfitana): qui (in questo caso, però, l’incendio pare sia dovuto ad un’auto andata a fuoco).

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AGGIORNAMENTO del 18 settembre 2015 (pomeriggio):
Poco fa, alle ore 14h00, il Vesuvio era ancora in queste condizioni:

18 settembre 2015 ore 14

L’immagine è stata scattata da Sorrento (ancora da Sciorincio, che ringrazio).

Sono le 18h00 e sul web sta circolando un appello a volontari che vadano a scavare una trincea per spezzare la linea del fuoco: le fiamme sono a poche centinaia di metri dalle abitazioni più in quota di Torre del Greco, non ci sono né mezzi, né personale sufficienti per domare un incendio in un Parco Nazionale e, come ha commentato un amico, questi vorrebbero salvarci in caso di allarme eruttivo.

Il pennacchio intossicato del Vesuvio

ssv_incendio-discarica_2015giugno-luglioLo vedi, ti lacrimano gli occhi.
Lo odori, ti pungono le narici.
Lo tocchi, ti si appiccica sulla pelle.
Lo assapori, ti brucia lo stomaco.
Lo senti, sebbene sia silenzioso.
Sì, ne avverti la presenza e non c’è riparo: ti chiudi in casa in questa afosa calura estiva che meriterebbe finestre spalancate e tende mosse dalla brezza, invece lo ritrovi ovunque, impregna tutto con la sua puzza grassa e nauseante.
Fino ad alcuni anni fa i medici di Napoli prescrivevano soggiorni lassù, alle pendici del vulcano, perché l’aria era fresca, buona, pulita, in grado di guarire tutte le forme d’asma e di rigenerare ogni fatica.
Il Vesuvio, uno dei monti più noti al mondo, celebrato per la sua forza e la sua bellezza, teoricamente protetto da un Parco Nazionale e da una “zona rossa”, oggi agonizza. E, con lui, chi vi abita e, soprattutto, chi lo ama.
Inutile ripercorrere la storia di saccheggio e di rapina ai danni del Vesuvio, la conosciamo tutti molto bene. Quel che forse è meno chiaro è che questo è solo l’ultimo episodio, gravissimo, di un disastro di lunga durata che denunciamo da decenni.
Il 30 giugno qualcuno ha appiccato il fuoco alla discarica illegale a cielo aperto dell’area Novelle-Castelluccio, nota a tutti e ripetutamente segnalata. Per almeno quattro giorni l’incendio non è stato domato, per cui sorge il sospetto che questa inefficacia sia un modo cinico e irresponsabile di risolvere un altro problema, quello del periodico smaltimento di un enorme cumulo di spazzatura che altrimenti non si saprebbe dove dislocare e che renderebbe impraticabile quella zona più di quanto non lo sia già.
Proviamo ad andare a ritroso e poniamoci qualche domanda: com’è possibile che non si sia spento immediatamente quel rogo inquinante? Com’è possibile che solo in pochi informino su tale notizia e che, comunque, non si sollevi un dibattito pubblico? Com’è possibile che amministratori e forze dell’ordine non agiscano? Forse loro non ne sentono la puzza e non ne colgono la pericolosità? Sembra davvero strano. Può darsi che attendano un’analisi chimica dell’atmosfera, ma è davvero così burocraticamente necessario un documento scritto, dinnanzi all’evidenza dell’esperienza diretta, sensoriale e mentale che a migliaia hanno vissuto negli ultimi giorni? Ancora, risalendo la catena di cause ed effetti di questo disastro ambientale – per nulla imprevisto ma, al contrario, preparato da tempo – com’è possibile che la località Novelle-Castelluccio, nel comune di Ercolano, ma a ridosso di San Sebastiano al Vesuvio, sia una zona franca dello Stato italiano, un luogo a legalità sospesa della nostra Repubblica? Com’è possibile che da decenni nessuno veda e risolva la piaga criminale dell’abbandono di rifiuti? Cumuli di immondizia d’ogni tipo – domestica e industriale, di risulta e a trattamento speciale – segnano la strada di terra battuta che attraversa quel territorio, la tracciano nel suo andamento dissestato, la inquadrano nella sua tortuosità. Com’è possibile che non sia mai stata fermata la mano di chi là, per negligenza o per interesse, getta scarti di ogni genere e poi, sempre lo stesso delinquente (è evidente) vi va periodicamente ad appiccare il fuoco per liberare spazio a nuovi futuri depositi? Qui sono responsabili tanto l’ecocriminale quanto le istituzioni cieche e indifferenti o, e forse è ancora peggio, vacue e inconcludenti, perché se così fosse, sarebbero anche inutili.
Dalla metà degli anni Sessanta denunciamo la violenza rappresentata dalla grande discarica a cui è stata ridotta questa zona, perché non c’è differenza alcuna tra la “collina del disonore” dell’Ammendola-Formisano e l’attigua corona di pattume di Novelle-Castelluccio: la violenza di questo immenso immondezzaio è ambientale, paesaggistica, sanitaria, biologica; nella sua fattualità è una violenza della criminalità, organizzata o individuale, ma nell’inoperosità delle istituzioni è anche una violenza politica, una violenza contro il buon senso e il senso della misura, una violenza contro la pazienza, il rispetto, la speranza. È una violenza simbolica e concreta che si riproduce da cinquant’anni, sia quotidianamente negli spargimenti occulti, sebbene sfacciati, sia stagionalmente, nella scellerata pratica incendiaria di cui in questi giorni si pagano le conseguenze.
Quel vasto territorio è in piena area naturale protetta e necessita di una profonda bonifica dal punto di vista naturalistico e legale: si tratta di un’urgenza ecologica, nonché di un imperativo morale. A meno che non venga esplicitamente detto che ci troviamo in un’eterna deroga, in un’infinta eccezione.
Quel pennacchio vesuviano intossica, nel duplice senso che possono cogliere i nostri conterranei: avvelena e fa ammalare, ma fa anche arrabbiare, inquina il rapporto con le istituzioni, contamina la convivenza reciproca e alimenta la sfiducia, la disaffezione, la delusione. Quel pennacchio di diossina è lo specchio in cui non vogliamo rifletterci perché temiamo ciò che vedremmo, ovvero i lineamenti di una società tossica e assuefatta, la fisionomia di una comunità – locale e nazionale – né solida (e solidale), né liquida (e resiliente), ma ormai pulviscolare, gassosa, volatile. Con tutta evidenza, è necessario un nuovo metro, un nuovo stile, una nuova filosofia: una ecosofia che ripulisca l’aria, la terra, le falde acquifere, che ridia dignità al paesaggio e ai sentieri, ma che sia anche in grado di ristabilire un principio di equità, di legalità, di misura in questa autolesionistica deriva etica che nessuno sembra in grado di arrestare.

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Un video di Ciro Teodonno:


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Altre pubblicazioni online su questo incendio:

  • “San Sebastiano al Vesuvio News”, 30 giugno: QUI;
  • “San Sebastiano al Vesuvio News”, tre foto dall’interno dell’incendio: QUI;
  • Ciro Teodonno, “Fuoco invisibile“, in “Il Mediano”, 1 luglio 2015: QUI;
  • Ciro Teodonno, “Ercolano: la Terra dei Fuochi e la politica marziana“, in “Il Mediano”, 5 luglio 2015: QUI.

La discarica SS268

La Strada Statale 268 è indicata come “via di fuga” in caso di emergenza vesuviana, ma in che modo una strada circolare possa permettere l’evacuazione di massa resta un mistero. Anzi, la SS268 “del Vesuvio” è una strada mortale in sé, sia per gli umani [1] che per gli animali.
Ciro Teodonno l’ha percorsa insieme a Mimmo Russo per documentarne e denunciarne un’altra criticità, quella dell’immondizia che ne riempie i bordi, le piazzole di sosta, ma soprattutto le stradine laterali e lo spazio sottostante i cavalcavia, spesso incendiata provocando altri ed ulteriori problemi. Si tratta di rifiuti d’ogni tipo, soprattutto industriali di aziende che lavorano in nero, in una catena di piaghe sociali ed ecologiche che si alimentano l’un l’altra. E’ un vero e proprio viaggio nell’abisso del nostro tempo, tra gli scarti di una modernità che sviluppa rovine e produce malattie.
L’articolo di Teodonno si intitola “SS 268, quello che non si vede” ed è stato pubblicato sul webjournal “Il Mediano” il 14 settembre 2014. Fanno parte integrante dell’inchiesta anche una galleria fotografica ed un videodocumentario di 47′:


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[1] Gli incidenti sono frequenti, talvolta tragici, come un paio nel 2013: a gennaio morirono 4 persone e a maggio un’intera famiglia.
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Raccolgo informazioni sulla SS268 in questo post privato.

Le case dei disastrati come tangenti: un’inchiesta a L’Aquila

Me li ricordo i buoni propositi del giorno dopo il sisma dell’Aquila: “Vigileremo, non tollereremo sprechi, non ci saranno infiltrazioni da parte della criminalità, la ricostruzione non sarà finta come in altre zone del Paese, torneremo presto alla normalità…“.
Ne scrisse un lungo articolo anche Roberto Saviano (il 14 aprile 2009 su “La Repubblica”) e, invece, quasi cinque anni dopo, eccoci qua, puntuali all’appuntamento con la solita storia italiana: le case dei disastrati usate come tangenti (e già un paio di mesi fa l’UE denunciò sperperi e collusioni).
Alla prossima sciagura, per favore, nessun amministratore esprima buone intenzioni, rischieremmo di ricordarle anche allora.

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«[…] Conosco da anni Massimo Cialente, ne conosco la passione politica, l’amore e l’impegno per la sua città. E mi duole scrivere queste righe. Ma al punto in cui siamo deve fare qualcosa, dare un segnale netto alla sua città e al Paese intero. Deve assumere direttamente le responsabilità del disastro che rischia di affondare definitivamente l’Aquila. […]» (Primo di Nicola, QUI e tra i commenti)

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«Crolla anche il mito del Comune dell’Aquila isola felice, impermeabile a tangenti e corruttele. […] L’indagine, va tenuto conto, si riferisce ai primi mesi del post sisma, una dimostrazione plastica che la notte del terremoto, appena usciti di casa, anche alcuni aquilani ridevano […]. Il rischio ora è che l’immagine a livello nazionale che produrrà questa vicenda finirà per frenare ancora di più il flusso dei finanziamenti. […] Mediti il sindaco Cialente, parli meno e controlli meglio chi lo circonda evitando di offendere parenti delle vittime e consiglieri (per esempio Vittorini e Di Cesare, ma non solo) che fanno bene il proprio lavoro denunciando le cose che non vanno» (Giustino Parisse, La notte del terremoto ridevano anche alcuni aquilani, “Il Centro”, 8 gennaio 2014).

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AGGIORNAMENTO dell’11 gennaio 2014:
Il sindaco de L’Aquila ha annunciato le sue dimissioni con una conferenza stampa: VIDEO.
Ecco i titoli dei principali giornali:
“CorSera”: Tangenti a L’Aquila, lascia il sindaco Cialente. «Coinvolti miei uomini, mia la responsabilità».
“La Repubblica”: L’Aquila, sindaco Cialente si dimette: “Attacco frontale da mezzi d’informazione, impossibile difendersi dalla macchina del fango”.
“Il Centro”: Tangenti sulla ricostruzione. Cialente: addio non torno indietro: “Non mi faranno cambiare idea nè Renzi nè Letta”.

AGGIORNAMENTO del 16 gennaio 2014:
Giuseppe Caporale ha pubblicato su “La Repubblica” il seguente reportage: “Terremoto in Abruzzo, la truffa della scuola: “Ricostruita senza metà delle fondamenta”. Fatture gonfiate e lavori inutili: i pm chiedono il processo per politici e funzionari“. (Anche tra i commenti qui sotto)

AGGIORNAMENTO del 21 gennaio 2014:
Il sindaco de L’Aquila ha ritirato le dimissioni che aveva annunciato dieci giorni fa: QUI. La reazione dei terremotati riuniti nell’associazione “3e32” è stata a dir poco di sdegno: «Oggi abbiamo assistito alla grande pantomima del ritorno di Massimo Cialente [il quale è simbolo di un immobilismo che sta] condannando a morte una città intera […]. Solo dalla partecipazione reale delle persone, dai progetti concreti di ricostruzione sociale, dalle tante idee e proposte rimaste inascoltate in questi anni, potrà prender vita un nuovo modello di ricostruzione ed un futuro diverso per questo territorio […]»

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AGGIORNAMENTO del 4 aprile 2014:
Gian Antonio Stella, in occasione del quinto anniversario del terremoto abruzzese, racconta (“Corriere della Sera”, 4 aprile 2014) di una ricostruzione lenta (a L’Aquila), se non praticamente ferma (a Onna), talvolta sbagliata come nel caso delle case fatiscenti degli sfollati a Cansatessa, poco distante da Coppito: L’Aquila, 5 anni dopo: macerie e sfollati. La ricostruzione è ancora lontana.
L’anniversario è ricordato anche da Serena Giannico sul “manifesto” del 4 aprile 2014: L’Aquila sospesa.

Camorra vesuviana

Ne ho accennato in qualche post precedente, soprattutto in merito alla gestione dei rifiuti e delle discariche (abusive e non), ma la presenza della camorra in area vesuviana è molto più estesa e pervasiva.
In particolare, a SSV la presenza camorristica è ben visibile nella megavilla appartenuta al boss Luigi Vollaro, detto ‘o Califfo, confiscata da decenni e non ancora convertita ad usi sociali.

In questo post raccolgo le notizie riguardanti le commistioni tra politica, economia e camorra in area vesuviana. Comincio con la storia del clan Vollaro, disponibile su una pagina di wikipedia in italiano:

«Il clan Vollaro è un clan camorristico operante nella zona est di Napoli, più precisamente nell’area del Comune di Portici, zona completamente messa a tappeto dalle estorsioni, l’organizzazione è stata definita dalle autorità competenti clan di accattoni, infatti per la venalità dei suoi affiliati non vengono risparmiati alla richiesta di pizzo anche modesti ambulanti che in prevalenza sono cittadini extracomunitari.
Fondato da Luigi Vollaro, detto ‘o califfo, per la sua grande fecondità: 27 figli avuti da una decina di relazioni. Il clan ha combattuto due guerre di camorra: la prima, tra il 1977 ed il 1997, fu una guerra intestina scandita da una ventina di omicidi e l’altra, negli ultimi mesi del 2001 ed i primi del 2002, contro il clan Cozzolino.
Uno dei primi clan a schierarsi con Carmine Alfieri ora pentito, nella lotta alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo ed è all’interno della Nuova Famiglia, che i Vollaro stringono le proprie alleanze.
Nel 1982 ‘o califfo viene arrestato dopo tre anni di latitanza, sospettato dell’omicidio di un suo affiliato, il ventiquattrenne Giuseppe Mutillo ucciso nel 1980. Omicidio per il quale Luigi Vollaro riceve la condanna per ergastolo, condanna passata in definitiva. A questa si affiancherà, nel 2003, il secondo ergastolo per l’omicidio di Carlo Lardone, altro gregario dei Vollaro.
Nel 1992 Luigi Vollaro viene sottoposto al regime del carcere duro, uno dei primi boss di camorra per il quale si dispone il 41 bis. Da questo momento la gestione degli affari illeciti passa ai suoi figli Pietro, Giuseppe e Raffaele [fonte]. Antonio Vollaro (altro figlio del Califfo) è sempre stato estraneo agli affari di famiglia, è stato ingiustamente detenuto per anni per un omicidio commesso dal fratello Ciro, ora collaboratore di giustizia che, con le sue confessioni ha contribuito a dare un duro colpo alla famiglia.
I continui arresti operati dagli agenti agli affiliati delle cosche locali rischia di rompere gli equilibri della criminalità organizzata locale. L’indebolimento delle famiglie locali rischia di aprire la strada al clan Sarno.
Il 10 giugno 2009 vengono arrestati 5 dei 27 figli del califfo, tra cui anche il reggente Antonio Vollaro. Utilizzati anche due plotoni dell’esercito nell’operazione [fonte]».

AGGIORNAMENTO del 29 gennaio 2014
“Napoli Today” riferisce di due arresti in area vesuviana per spaccio di stupefacenti: “Droga, in manette affiliati al clan Abate. I due arrestati sono accusati di detenzione di droga ai fini di spaccio. Sono un 45enne di San Giorgio a Cremano ed un 35enne di San Sebastiano al Vesuvio“.