Il Vesuvio brucia

Ieri pomeriggio, 16 settembre 2015, il Vesuvio ha cominciato a bruciare. Si tratta di tre focolai divampati piuttosto in alto, nei pressi della Riserva Alto Tirone, una zona particolarmente protetta all’interno del Parco Nazionale, o ancora più in quota, alla base del Gran Cono. Questa è una foto scattata da Sorrento:

Foto scattata a Sorrento da Sciorincio.

Foto scattata a Sorrento da Sciorincio.

Una cronaca è su “Il Mattino“, mentre altre immagini sono su “YouReporter“, “FanPage“, “Repubblica” e sulla pagina fb dell’utente Carlo Falanga.

Come osserva Ciro Teodonno su “Il Mediano”, «Inutile sottolineare il danno inestimabile che subisce ancora una volta il fragile e già martoriato ecosistema del Parco Nazionale del Vesuvio». Inoltre, bisogna usare cautela in merito alle cause dell’incendio perché ancora non vi sono prove che sia doloso.
Tuttavia, al di là di eventualità naturali (a causa dei fulmini, ad esempio, mentre l’autocombustione è quasi improbabile) e a ragioni accidentali (ad esempio uccelli folgorati sui pali elettrici e che, cadendo a terra, causano una combustione, ma è un’altra possibilità statisticamente irrilevante), la gran parte degli incendi è dovuta a ragioni colpose e dolose. Nel primo caso si tratta di imprudenza e imperizia, come il celebre mozzicone di sigaretta gettato da un’automobile o i fuochi dei gitanti e talune pratiche colturali. Nel secondo rientra un vero e proprio atto illecito, a sua volta determinato da due possibili figure, l’incendiario (per vandalismo, per vendetta, per profitto o per altro crimine) e il piromane (che è un criminale affetto da disturbi psichiatrici).
Ognuna di queste sfumature richiede contromisure adeguate, di educazione, terapia, tutela e così via. Ma c’è un piano che è prettamente sociale, dunque politico, ovvero quello degli interessi economici. Per comprenderne l’ampiezza, rimando ad una inchiesta firmata da Fabrizio Gatti il 23 agosto 2013 su “L’Espresso”: «Affari di fuoco. Nessuna prevenzione, tanti sprechi. E gli interessi delle società che spengono i roghi. Ecco perché l’Italia brucia».

Intanto, il dolore di chi ama il Vesuvio è profondo, come traspare da alcuni post su fb.

La “Associazione Vesuvio Natura da Esplorare – Laboratorio AMV” ha scritto:

L’incendio al Vesuvio di oggi rattrista gli animi di tutti; le proporzioni sono considerevoli e una grande parte di macchia mediterranea sopra quota 600m slm si sta tuttora bruciando.
Si spera che il fuoco non arrivi nella pineta del Tirone… Ogni pino che prende fuoco infatti divampa in una fiammata visibile da tutto il golfo. Con grande probabilità l’incendio è DOLOSO.. e su questo c’è solo da stendere un velo pietoso…
I forestali sono intervenuti da subito ma non si è riusciti ad arginare l’incendio prima di notte.. e nelle ore notturne purtroppo non è possibile operare.
Domani alle prime luci dell’alba partiranno di nuovo le squadre antincendio. Ma il danno c’è ed è consistente, tante specie animali e vegetali stanno ora morendo o hanno perso il loro habitat.
Non c’è perdono per chi è capace di fare una cosa del genere, né c’è scusante!
Tutto il popolo vesuviano stasera è a lutto!

Il gruppo “Anima Vesuviana” ha pubblicato queste parole:

Lagrime di fuoco…
Arde il Vesuvio…arde da 8 ore, arde la stessa natura che aveva vinto il fuoco distruttore, ardono i fiori e i pini che erano tornati a rendere verde e vivo il cratere dopo 60 anni..
Arde tutto…arde l’anima di chi può solo chiedere aiuto, impotente.
Nel devastante silenzio dell’indifferenza di chi può e non agisce e nel fallimento di chi avrebbe potuto, tutto Arde, e poco possiamo noi.
Fiamme che diventano lacrime, lacrime di fuoco …osservate e non comprese da chi sopravvive all’esistenza…
Lacrime di fuoco che dovrebbero penetrarci l’Anima ..
In questo folle esistenza dove noi diveniamo Carnefici e un vulcano vivo diviene vittima..l’egoismo e il famelico bisogno di primeggiare nella stupidità ci hanno distrutto.
Arde l’Anima mia…Arde il Vesuvio, Formidabile e nero..più nero del buio della notte…arde…ed io ardo assieme a lui.
Laura Noviello/ Anima Vesuviana

Stamattina sono riprese le operazioni di spegnimento con l’impiego di un canadair, dopo che le fiamme hanno arso per tutta la notte: “Ansa“, “Corriere del Mezzogiorno“, “Repubblica“. Sempre più forti, infine, i sospetti che si tratti di un incendio doloso, dal momento che sono stati rilevati almeno tre i punti di innesco segnalati in posti diversi.

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Di recente, il Vesuvio ha bruciato anche il 30 agosto 2015:

vesuvio-incendio-2015-ago-30

Incendio del 30 agosto 2015: clicca sulla foto per accedere alla cronaca de “Il Mattino”. (L’immagine è mia, scattata da Sorrento).

PS: Di entrambi gli incendi ho scritto sul mio fb: il 30 agosto e il 16 settembre.

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AGGIORNAMENTO del 18 settembre 2015 (mattina):
In questo momento (7h30 del mattino) il Vesuvio brucia ancora. Il focolaio attivo è, secondo Massimo Ginelli, un testimone incontrato su fb, ad un chilometro dal fuoco divampato il 16 settembre. Cause accidentali o naturali? Vista la dinamica, direi che non ci sono più dubbi sul dolo o, quanto meno, sulla negligenza. Quanto bosco e quanto macchia mediterranea devono sparire prima che un Parco Nazionale venga difeso adeguatamente?
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Intanto, fiamme ardono in ben due località della Penisola Sorrentina:
– a Nerano (nel comune di Massa Lubrense): qui e qui (fiamme appiccate senza dubbio da qualcuno);
– a Tordigliano (tra i comuni di Piano di Sorrento e Vico Equense in Costiera Amalfitana): qui (in questo caso, però, l’incendio pare sia dovuto ad un’auto andata a fuoco).

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AGGIORNAMENTO del 18 settembre 2015 (pomeriggio):
Poco fa, alle ore 14h00, il Vesuvio era ancora in queste condizioni:

18 settembre 2015 ore 14

L’immagine è stata scattata da Sorrento (ancora da Sciorincio, che ringrazio).

Sono le 18h00 e sul web sta circolando un appello a volontari che vadano a scavare una trincea per spezzare la linea del fuoco: le fiamme sono a poche centinaia di metri dalle abitazioni più in quota di Torre del Greco, non ci sono né mezzi, né personale sufficienti per domare un incendio in un Parco Nazionale e, come ha commentato un amico, questi vorrebbero salvarci in caso di allarme eruttivo.

Memorie dell’eruzione vesuviana del 1944

Dopo, molto dopo, la memoria trasforma la visione di quell’evento in uno spettacolo affascinante, tuttavia non sembra riuscire ad intaccare il ricordo del rumore, che resta spaventoso.

«Io mi ricordo, tenevo sei anni, stavo a Ercolano e la sera s’illuminava di più… Hai visto i fuochi artificiali quando si aprono in cielo? Ecco, così faceva ‘o Vesuvio, proprio come fosse ‘o fuoco pirotecnico! Era bello!» (Donna, 76 anni, San Sebastiano al Vesuvio, 12 marzo 2011).

«La lava scorre piano piano, ma nei giorni precedenti non era successo niente. Si vedeva quando il Vesuvio buttava fuoco, si vedeva da Napoli, come una cascata di fuoco. Era bello! Era troppo bello!» (Uomo, 84 anni, Massa di Somma, 7 aprile 2011).

«Fece nu scoppio enorme… tremava tutta la casa, la terra… tremava tutto cose… Io mi ricordo che era di notte, ero piccola, ero signorinella… e mi ricordo che mi affacciavo da casa mia e vedevo quando la lava scendeva nelle cisterne con l’acqua. Mamma mia, e che spavento! Faceva uno scoppio proprio terribile! Io, poi, ero paurosa… chi aveva mai visto? E dicevo a mia madre: “Andiamocene, andiamocene!”. Comunque, era troppo spaventoso e si sentiva sempre che sparava il vulcano: lo faceva una continuazione. Ma era terribile quando andava nei pozzi!» (Donna, 92 anni, San Sebastiano al Vesuvio, 12 marzo 2011).

Queste sono alcune delle testimonianze che ho raccolto qualche anno fa. Ciro Teodonno, invece, si è focalizzato (in due articoli) sulle cronache riportate dai giornali del tempo:

“Il mediano”, 18 marzo 2014, QUI (o qui)

MARZO 1944
Un’analisi delle cronache dell’epoca, per intendere i fatti che videro protagonista il Vesuvio e la sua gente settant’anni fa.
di Ciro Teodonno

Abbiamo deciso di ripercorrere, a settant’anni dall’ultima eruzione, i fatti che la contraddistinsero, facendo una sorta di cronistoria degli eventi che nel marzo del 1944 colpirono il Vesuviano.
Abbiamo deciso di seguire, attraverso la cronaca dei giornali dell’epoca, la furia del Vulcano; le passioni e le vicissitudini di chi visse, in quei frangenti, lo scontro tra natura e storia, quelli che furono posti da quest’ultima in quarta pagina, perché le notizie di una guerra ancora in atto non permettevano attenzione maggiore o perché, l’ira del Vulcano, era probabilmente considerata un fenomeno naturale e non un evento catastrofico e inusitato, come spesso oggi li definiamo.
Abbiamo utilizzato, in buona parte, le pagine del Risorgimento, il quotidiano che, in quei duri anni di guerra, riuniva le testate de
Il Mattino, Roma e Il Corriere di Napoli, dopo la confisca delle testate da parte degli alleati e che fu edito dall’ottobre del 1943 fino all’ottobre del 1950. Il periodo preso in esame è quello dell’eruzione che va dal 18 al 29 marzo del ’44 (anche se il periodo di riposo inizia ufficialmente il 7 aprile). Infine i luoghi prescelti non potevano che essere San Sebastiano e Massa, quelli più colpiti dalla lava del ’44.
Ci piacerebbe però iniziare con una panoramica su quello che fu l’evento eruttivo in sé, e vorremmo farlo con documenti apparsi in buona parte solo sul
Risorgimento, scritti dall’allora direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Giuseppe Imbò. Quello che segue è quindi il suo resoconto, contemporaneo ai momenti dell’eruzione, non un documento successivo, come è più facile riscontrare altrove, ma la viva testimonianza dello scienziato davanti alla forza della natura. Nella stesura abbiamo rispettato il testo dell’epoca e messo tra parentesi le parole illeggibili e da noi desunte.

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“Il mediano”, 19 marzo 2014, QUI (o qui)

1944: CRONACHE DELL’ERUZIONE
San Sebastiano al Vesuvio e i paesi vesuviani nelle cronache dell’eruzione del marzo 1944.
di Ciro Teodonno

Sulla linea di quanto già detto nel precedente articolo focalizziamo ora l’attenzione sui centri abitati di San Sebastiano e Massa di Somma, colpiti della colata lavica nell’ultima eruzione vesuviana.
I due centri, rispetto agli altri paesi colpiti, sono quelli, che nella sfortuna del cataclisma, hanno ottenuto maggiore attenzione e non solo dalla stampa ma anche dalla letteratura e su tutti spiccano i nomi di Norman Lewis e Curzio Malaparte che in Napoli “44 e ne La Pelle, lasciano pagine memorabili di quegli eventi e di quei luoghi. Quelli che seguono sono invece degli estratti dal Risorgimento e da La Stampa di Torino, che all’epoca veniva pubblicata nella penisola iberica, in grassetto, a chiosa, i commenti del redattore
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AGGIORNAMENTO del 25 marzo 2014:
Il website dell’Osservatorio Vesuviano ha una pagina dedicata al ricordo dell’eruzione del 1944 della signora Francesca Sforza di Pagani (nata nel 1929): QUI (e qui).

L’antica fragilità delle comunicazioni in caso di calamità

Una delle preoccupazioni contemporanee in caso di calamità è la caduta della rete di comunicazione. Di recente, durante le alluvioni delle Cinque Terre e di Genova nel 2011 c’è stato un vasto black out elettrico (anche il 9-10 ottobre 2014: VIDEO) e gran parte dei telefoni cellulari non ha avuto linea [qui e qui]; lo stesso è accaduto con i terremoti emiliani del 2012, quando è stato praticamente impossibile telefonare per molte ore [qui]; e a Londra, in seguito agli attentati del 2005, sono saltate addirittura le comunicazioni radio [Chiara Fonio, qui].
Per quanto possa sembrarci fragile, però, il ramificato sistema di comunicazione attuale è paradossalmente più sicuro rispetto a qualsiasi altro mezzo centralizzato: «Il socialnetwork ha più facoltà di resistere a delle catastrofi naturali di quanto non ne abbia una complessa catena di comando di tipo tradizionale» (Maurizio Ferraris, qui), e questo anche grazie al fatto che, in caso di emergenza, ognuno di noi può contribuire alla sua stabilità togliendo la password alla nostra connessione wi-fi.
Comunque, dicevo, quella della fragilità dei mass-media è una questione ormai antica: il 18 novembre 1929, infatti, un terremoto sottomarino di oltre 7 gradi di magnitudo spezzò 12 cavi telegrafici sul fondo dell’oceano Atlantico, a circa 400 km a sud dell’isola di Terranova, interrompendo le comunicazioni tra Nord America ed Europa [en, fr]. Il sisma, inoltre, causò uno tsunami che si abbatté su sei villaggi della parte meridionale della penisola di Burin, in Canada: Port-au-Bras, Lord’s Cove, Point-au-Gaul, Kelly’s Cove, Allan’s Island e Taylor’s Bay. Ci furono 28 morti, alcune località furono quasi cancellate e le onde arrivarono fino a Montreal e New York da un lato e sulla costa portoghese dall’altro.
Per l’isolamento dei villaggi e per l’impossibilità di comunicare in alcun modo, l’allarme fu lanciato solo tre giorni dopo, quando una nave attraccò nel porto di Burin e riuscì a mettersi in contatto col resto del mondo [qui]. Come scrisse il “Daily News” di St. John il 22 novembre 1929,

Improvvisamente, senza preavviso, sentono un boato di acqua. Più forte di quello delle onde normali, il rumore è assordante e, tutto ad un tratto, con violenza inaudita, un muro d’acqua di quindici piedi (cinque metri) invade la loro piccola casa, entrando attraverso porte e finestre, e poi, ritirandosi, porta via la casa, la madre e i figli! Ogni comunicazione con il resto del mondo era tagliata. [qui]

Litorale devastato di Port au Bras, Terranova, 1929.
Altre immagini sono qui: http://www.collectionscanada.gc.ca/sos/002028-1101-f.html?PHPSESSID=lk1jqh51t3qh2gdfu4jlm9lr40

PS: l’importanza del mantenimento e dell’efficienza delle comunicazioni durante una fase d’emergenza è tale che la Fondazione Vodafone organizza e finanzia insieme al Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP) un corso di “IT Emergency Management” (giunto alla sua 10° edizione). Ne scrive “La Stampa” (18 novembre 2013): “A scuola per gestire le catastrofi. Così nasce la risposta umanitaria“.

La “piccola Svizzera”

Il Sud è pieno di “paesi presepe”, borghi tradizionali aggrappati alle montagne appenniniche o, più raramente, alle coste mediterranee. Leonardo Sciascia odiava quella definizione e nel 1980, dopo il sisma in Irpinia, scrisse sul Mattino che è “una delle espressioni più retoriche e mistificanti che siano venute fuori su questa grande tragedia del terremoto” [cit. in Niola].
I “paesi presepe”, però, non sono soli. Una definizione della stessa tipologia, infatti, è presente in numerosissime aree: quella con cui, attraverso una serie di elementi convergenti e per mezzo di una comparazione con il circondario, uno specifico paese viene etichettato come “piccola Svizzera”. Si tratta di un’espressione emersa nell’Ottocento per connotare i paesaggi che rispondevano a determinate caratteristiche estetiche: “A little Switzerland or Schweiz is a landscape, often of wooded hills. This Romantic aesthetic term is not a geographic category, but was widely used in the 19th century to connote dramatic natural scenic features that would be of interest to tourists. Since it was ambiguous from the very beginning, it was flexibly used in travel writing to imply that a landscape had some features, though on a much smaller scale, which might remind a visitor of Switzerland” [qui].
SSV è uno di questi paesi. La “piccola Svizzera” vesuviana (e napoletana) è la località più ambita dell’area. La definizione, come qualsiasi etichetta, nasce dal confronto con la regione più ampia in cui è inserito il paese: la sua qualità della vità è ritenuta più alta, vi è maggior verde urbano, meno traffico e più quiete, meno imprevisti e più disciplina, in generale vi è un reddito più alto, ma nel successo di questa definizione incide anche la maggior altitudine rispetto ai paesi confinanti e, non di rado, l’essere inserito in un paesaggio montano; altre volte ancora quell’etichetta è attribuita alle località con un certo spirito d’indipendenza da un lato e una buona capacità di pluralismo dall’altro (è ciò che dice, ad esempio, lo scrittore Gyorgy Konrad a proposito della Transilvania, come riferisce Rumiz).

Le cosiddette “piccole Svizzere” sono innumerevoli. Cercando con google se ne trovano in ogni parte d’Italia.
Lo è la Sila in Calabria, le Madonie in Sicilia, Pescasseroli e Tagliacozzo in Abruzzo, la Valle del Turano nella Sabina laziale, Archinazzo sempre nel Lazio, Frontone nelle Marche, Monesi di Triora in Val Tanaro in Liguria, l’Alpe Noveis nel biellese, la Val Taleggio nel bergamasco, l’Altopiano di Asiago in Veneto…
Ma sono “piccole Svizzere” anche San Carlos de Bariloche in Argentina, Saint Martin Vésubie nei pressi di Nizza, il Mullerthal lussemburghese, Ifrane in Marocco e addirittura tutto il Lesotho nell’Africa meridionale e il Rwanda nel centro del continente.
In Campania, oltre SSV ci sono anche Cava de’ Tirreni in provincia di Salerno e Piedimonte Matese in provincia di Caserta. Ma probabilmente se ne possono trovare molte di più.

A SSV la definizione si rafforza con un ulteriore elemento, la pulizia e la raccolta differenziata di immondizia: “E’ uno dei comuni campani con il più alto tasso di “raccolta differenziata”. SSV ritorna ad essere quindi la “Piccola Svizzera”,  che negli anni 60 e 70 segnò il boom economico del vesuviano” [Luigi Ferraro in un articolo del 4 luglio 2008: qui].

“Piccola Svizzera” è un luogo comune, ma positivo e per questa ragione emerge spesso nei discorsi socio-politici, soprattutto in questo periodo, in vista delle elezioni della prossima primavera: dietro quel semplice slogan c’è un sentimento di prestigio che va continuamente difeso perché costantemente assediato.

ALL’INTERNO, ARTICOLI SULLA VIVIBILITA’ DEL PAESE (e relativi commenti):
– Ciro Teodonno, L’ESEMPIO DELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA A SSV (10.10.10, qui)
– Umberto Vastarini, LETTERA APERTA AL SINDACO DI SSV (11.05.09, qui)
– Ciro Teodonno, QUANTO CONTA SAN SEBASTIANO NEL CONTESTO VESUVIANO? (19.12.10, qui)
– Ciro Teodonno, SSV. POCO FLORIDE LE AIUOLE CONCESSE AI PRIVATI (26.03.10, qui)
– Ciro Teodonno, LE NOSTRE STRADE. INSICURE, SPORCHE E ABBANDONATE (17.01.10, qui)
– Ciro Teodonno, SSV. «DENUNCIATE LE ESTORSIONI» (20.01.10, qui)
– Ciro Teodonno, SSV. COME SI FA POLITICA DALLE NOSTRE PARTI (20.06.09, qui)
– Ciro Teodonno, SSV. IN CONSIGLIO SI DISCUTE DI ANTIFASCISMO, PIANO CASA E VIABILITÀ (18.02.11, qui)
– Ciro Teodonno, SSV. MORIRE PER ATTRAVERSARE UNA STRADA (18.03.11, qui)
– Ciro Teodonno, GLI ABITANTI DI SSV NON SI SPORCANO LE MANI (20.03.11, qui)
– Giampiero Barbato, PIAZZA CAPASSO TRA DEGRADO E ABBANDONO (16.03.11, qui)
– Redazione, SSV. ARRESTATO PER FURTO D’AUTO (21.05.11, qui)
– Ciro Teodonno, NON SONO IO RAZZISTA, SONO LORO CHE SONO ZINGARI! (04.06.11, qui)
– Ciro Teodonno, CONSIGLIO STRAORDINARIO SULLA SICUREZZA (06.07.11, qui)
– N@po, IL PUNTO SUI LAVORI STRADALI A SSV (01.08.11, qui)
– N@po, INNAFFIATE LE PIANTE! (25.08.11, qui)
– Ciro Teodonno, SSV. UN PROGETTO PER LA LEGALITÀ (22.09.11, qui)
– N@po, INCENDIO DOLOSO IN PIAZZETTA CAPASSO (24.12.11, qui)
– N@po, LA “PICCOLA SVIZZERA” PIACE ANCORA (29.01.12, qui)
– Ciro Teodonno, SAN SEBASTIANO E IL PARADISO PERDUTO (22.10.13, qui)
– Ciro Teodonno, SAN SEBASTIANO, LE DISCARICHE DELLE VIE NASCOSTE (16.12.13, qui)

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INTEGRAZIONE del 17 luglio 2015:
La Piccola Svizzera vesuviana esiste ancora? Se lo domanda la pagina facebook “San Sebastiano al Vesuvio News“:

Siamo ancora legati in qualche modo all’immagine della Piccola Svizzera. Della cittadina gioiello in cui tutti speravano di vivere, guardata con ammirazione ed assunta come modello dagli altri paesi del vesuviano. Quell’immagine, legata indissolubilmente all’azione di uomini d’altri tempi, in cui l’orgoglio, il rispetto e l’amore per il territorio e pa’ Muntagn, non avevano confini, è però oggi sbiadita e confusa. Resta sullo sfondo, a ricordare che vivere di rendita, cullarsi sugli allori, comporta il rischio di perdere terreno, restare inermi a guardare gli altri che avanzano. E gli altri sono quei paesi vicini i cui sguardi di ammirazione ricambiavamo con supponenza e presunzione. Massa di Somma, Pollena Trocchia, Ercolano, San giorgio a Cremano, hanno fatto notevoli passi in avanti in questi anni.
E noi? Fermi in attesa che qualcosa potesse cambiare.
San Sebastiano al Vesuvio appare oggi un territorio abbandonato e sofferente. Il vaso di Pandora è stato scoperchiato ed alla luce sono venuti i piccoli grandi mali, fatti di concessioni e privilegi. Un intreccio di cui in molti erano, se non a conoscenza, almeno sospettosi e che ora emerge prepotente. L’interesse personale ancora una volta vince rispetto a quello collettivo.
Sullo sfondo restano i cittadini che nulla hanno a che vedere con certe cose, ingannati e traditi nelle scelte e nei valori. Ma indignazione e rabbia non bastano ad assicurare un cambiamento che sia autentico e duraturo. Quel cambiamento che la nostra San Sebastiano merita davvero, e noi con Lei.

La morte quotidiana

Ieri a SSV una coppia si è sposata. I fasci di tulipani e di rose lungo le scale della chiesa si aggiungevano agli addobbi della festa patronale della prossima settimana, in un solenne riverbero di bianco e di rosso. Come ogni anno, dal primo gennaio, tra la facciata della chiesa e il palazzo che un tempo fu sede comunale, in alto sulla strada che separa le due istituzioni è appesa un’icona del Protettore, preceduta e seguita da luminarie a metà tra il natalizio e il patronale. Ieri a SSV c’erano molti fiori, ma non tutti perché si festeggiava. Il fioraio davanti al cui negozio ho parcheggiato la mia auto m’ha raccontato che aveva preparato una ghirlanda da portare a SGC, il comune accanto, perché la sera prima c’era stato un duplice omicidio e una delle vittime era innocente, non come l’altra che invece aveva legami con i clan. Ieri a SSV ho incontrato molte persone, quasi tutte per la prima volta. E’ stata una giornata intensa e densa di informazioni (ne parlerò in qualche prossimo post), ma tutti – subito – mi hanno detto che a SGC era morto il padre di una giornalista, che avevano ammazzato il padre della corrispondente del Mattino che segue la cronaca della zona, quindi anche di SSV. La notizia è tremenda e, purtroppo, usuale. Due killer in moto crivellano di colpi un rivale e poi, per non lasciare testimoni, sparano anche a Vincenzo Liguori, 57 anni, meccanico. Innocente. L’orrore aumenta quando si viene a sapere che è il padre dell’inviata del quotidiano napoletano, Mary Liguori: dalla redazione non fanno in tempo a fermarla, lei è già sul posto a scoprire di persona l’insopportabile fine di suo padre. La cronaca prosegue riferendo dei soliti, sacrosanti, summit per la sicurezza e appelli contro l’omertà. Ogni volta speriamo portino a qualcosa, come anche ora. Ma in realtà in bocca abbiamo già l’amaro della disfatta. Ieri a SSV la vita era quella di tutti i giorni, con i vigili urbani a controllare il flusso di auto dal marciapiedi dov’è il negozio di telefonia, con l’insegnante di inglese a iniziare la sua lezione con “Our Father”, con il barista a preparare la macchina del caffè e a pulire il bancone, con i fedeli a pregare per la gloria del santo patrono, con una nuova famiglia festeggiata con una pioggia di riso da amici e parenti vestiti di nero. Ma ieri a SSV c’era anche un po’ più di silenzio, come se ognuno sentisse dentro di sé quella linea sottile che divide il prima e il dopo, l’oppressione e la libertà, la casualità della morte e la fortuna di essere vivi. . (Cosa fa davvero paura? Evidentemente ciò che è più vicino e quotidiano, ciò che rientra nel campo dell’esperienza. E’ più pericoloso il manager che taglia centinaia di posti di lavoro con una firma su un foglio nel privato del suo ufficio o la zingarella che copre le sue mani con un giornale per aprire la borsa nella calca dell’autobus? E’ più pericoloso sedersi su una grande bomba che non scoppia o camminare tra piccoli proiettili sibilanti? I rischi possono essere percepiti e non percepiti, ma indubbiamente seguono una gerarchia mutevole.)

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AGGIORNAMENTO del 28 luglio 2014:
Stamattina è stato ucciso Mariano Bottari, un pensionato di 75 anni, a Portici. Gli investigatori sono convinti che si tratti di un omicidio dovuto ad un errore: “Ai carabinieri che hanno avviato le indagini per accertare la dinamica dell’agguato è subito apparso chiaro l’anomalia di un omicidio ai danni di un uomo senza nessuna macchia sulla sua fedina penale, totalmente incensurato, non legato ad alcun clan camorristico e con nessun familiare pregiudicato e legato alla criminalità organizzata locale. Anche la prima reazione di parenti e amici è stata di incredulità e dolore. […] Non è la prima volta che gli spietati killer della camorra napoletana uccidono un innocente per errore. Il 15 ottobre del 2012 Pasquale Romano, 30 anni; […] l’11 giugno del 1997, Silvia Ruotolo” (“La Repubblica”, 28 luglio 2014, QUI).