Bufale apocalittiche

Il film “2012” ha diffuso a livello planetario la voce che l’apocalisse – secondo una profezia maya, così si sostiene – avverrebbe il 21 dicembre del prossimo anno.
Particolari allineamenti degli astri, movimenti inconsueti delle nuvole, incontri eccezionali con animali, sogni singolari e carichi di simboli… qualsiasi cosa può stimolare le emozioni e la fantasia, nonché le previsioni.
L’ignoto ci terrorizza, soprattutto quando è assoluto come il futuro (e questo nonostante tanti siano convinti che il destino sia già scritto o tracciato). Da qui la necessità di “prevederlo” e di renderne credibili le conclusioni attraverso tecniche – ragionamenti consequenziali, metodi di causalità, evidenze empiriche… – che forniscano quella dose di autorevolezza (che si presume, e talvolta si pretende, scientifica) necessaria a qualsiasi affermazione di questo tipo. Spesso basta il titolo dell’oratore: l’ha detto un sismologo… quindi dev’essere vero.
Oggi, 11 maggio 2011, un terremoto sconvolgerà Roma, ha detto un sismologo. Che poi sismologo non è. Anzi, non era. Ma gli organi di stampa – di livello nazionale, pubblici e televisivi come RaiNews24 – così ancora lo definiscono. Dicono che molti abbiano lasciato la capitale per il “pic-nic antisismico”, dicono che si sia diffusa una “psicosi”, dicono che abbia colpito soprattutto i cinesi (“quelli che non mollano mai”) (ma anche quelli comunque più “invisibili”, aggiungo, il ché darà “prova” della loro fuga fuori città).

RaiNews24, 10 maggio 2011
Terremoto a Roma? Negozi chiusi e molti in ferie
Si svuota, alla vigilia dell’11 maggio 2011, la China Town della capitale. Si affollano gli agriturismi della provincia.
Gli Enti locali tranquillizzano. Il Codacons presenta un esposto in Procura per procurato allarme.

I cinesi a quanto pare ci credono, e non soltanto loro. Si svuota, alla vigilia dell’11 maggio 2011, la China Town della capitale: partiti quelli che non mollano mai. Si affollano gli agriturismi della provincia. C’e’ chi inventa il picnic antisisma. Si stila il decalogo antipanico. Squillano i telefoni dell’istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia. E la psicosi per il “terremoto di Roma”, previsto dal sismologo Raffaele Bembandi ha gia’ fatto pure il giro del mondo. Ci ha pensato la stampa internazionale. C’e’ pure un ultimo desiderio. Postato su Facebook: “Terremoto a Roma: l’ultima pasta e fagioli. Se devo mori’ moro contento”. Dall’altra parte, impugnano il buonsenso contro la ‘bufala’ istituzioni ed esperti che fanno ‘appello alla ragione’.
E’ preoccupata Renata Polverini? “”Assolutamente no. Io sono tranquilla, insomma, credo di no”. Il presidente della Provincia Nicola Zingaretti ha addirittura annullato gli impegni fuori citta’, ostentando tranquillita’. Non si aggiungano “a quelle vere le finte paure”, dice, “finche’ si scherza si scherza…”. E comunque “il capitano e’ l’ultimo a lasciare la nave”. L’assessore di Roma Capitale alla Famiglia e alla Educazione Gianluigi De Palo invita i romani a mandare anche domani i figli a scuola.
Il Codacons, invece, presenta un esposto in Procura: denunciando chiunque – blog, siti web, tv, radio, giornali, ecc. – abbia diffuso informazioni contribuendo al panico generale su una “frottola”. Procurato allarme, abuso della credulita’ popolare. Ma chi ha potuto astenersi dal raccontare quel tormentone, che da giorni dilaga sulla rete? Dove si organizzano feste, riti propiziatori, brindisi e picnic all’aria aperta, aspettando il sisma? Tocchera’ denunciare anche il Guardian, e El Mundo, a questo punto. Intanto la Protezione civile ha affrontato la paura della gente, dedicando un ampio approfondimento sul portale.
C’e’ anche una sorta di decalogo, con domande e risposte degli esperti. No, non si puo’ prevedere, in alcun caso, un terremoto. Si’, il Giappone ha un sistema di Early Warning che in Italia non decolla perche’ difficile da utilizzare, viste le caratteristiche sismiche del territorio: concentrazioni urbane vicini a possibili epicentri. Unica difesa e’, insomma, la protezione. No, Roma non e’ fra le zone piu’ a rischio: nella carta italiana delle zone sismiche e’ su 4 al numero 3, “possibile oggetto di terremoti modesti”. No, infine, interrogandosi sulla fonte della ‘notizia’: Bendandi, sismologo autodidatta non avrebbe mai citato ne l’11 maggio ne’ la citta’ di Roma, nei suoi documenti.
Tanto rumore… Infondata che sia la paura per domani, si riflette sul terremoto. I geologi laziali denunciano, ad esempio, che il Lazio sia l’unica regione a rischio sismico a non avere rappresentanti della categoria nei Geni civili. La Protezione civile da’ dritte importanti su come capire se la propria abitazione e’ a rischio nella eventualita’ di un sisma. L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, che dedichera’ la giornata di domani alla divulgazione sui terremoti, ripercorre la storia di Roma degli ultimi mille anni, che “non registra sismi devastanti”. “Se un terremoto ci sara’ domani – conclude il presidente Enzo Boschi – o nei prossimi giorni, non sara’ forte”.
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PS: il canale all-news ha realizzato anche un servizio-video di 3’25”, qui.
PPS: il titolo del post è preso in prestito dall’ultimo libro del giornalista Andrea Kerbaker sulle “catastrofi annunciate (e mai avvenute) nel Terzo millennio“.
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AGGIORNAMENTO dell’11 MAGGIO 2011, h21:30
Ecco, ed ora chi vorrà trovare conferme non potrà che raccogliere avidamente tra le notizie provenienti dalla Spagna (a patto che ammetta, però, che il veggente è quantomeno strabico):
Terremoto in Spagna, almeno 7 mortiDue scosse, la prima di magnitudo 4.1, la replica di 5.2, hanno colpito alle 18:47 la costa sud della Spagna causando almeno 7 morti, con epicentro a 118 chilometri a sudovest di Alicante e a una profondità di appena 1 chilometro. [Fonte: RaiNews24]
[INGV: “Niente a che vedere con le “previsioni” per Roma”, al commento #01]

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AGGIORNAMENTO del 19 gennaio 2014:
Una galleria fotografica di “La Repubblica” (a cura di Ivano Pasqualino) riporta delle finte prime pagine di importanti quotidiani realizzate dal website “Buzzfeed.com”, il quale «ha provato a immaginare il modo in cui i giornali racconterebbero un eventuale Apocalisse nel 2014. Ogni testata presenta una diversa prima pagina in base al proprio taglio editoriale. Il sito infatti, usando fantasia ed ironia, accentua al massimo lo stile di ogni giornale nell’ipotesi di dover descrivere invasioni di zombie e cadute di asteroidi. A sorpresa spuntano anche i selfie degli zombie pubblicati su Instagram con l’hashtag #undeadselfies».

Clicca sull’immagine per accedere alla galleria di “Repubblica”.

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AGGIORNAMENTO (gennaio 2014):
In seguito ad alcune scosse sismiche avvertite in alcune zone d’Italia, il cantante Povia ha espresso una teoria singolare sulla possibile causa di tali terremoti (poi ribadita qui e in altri post successivi):

La spiegazione di Povia per i terremoti

Fonti: il profilo FB di Giuseppe Povia, “Il nuovo mondo di Galatea“, “Corriere della Sera“, “Giornalettismo” #1, “Giornalettismo” #2

AGGIORNAMENTO dell’11 febbraio 2014:
Francesca Sironi affronta il tema delle “bufale del web”, ovvero di quella miriade di notizie false che diventano vere solo grazie alle centinaia di migliaia di “like” che ricevono sui socialnetwork. La ragione di come sia possibile questo dilagare del nulla è spiegata da Giovanni Boccia Artieri, professore ordinario di sociologia dei new media all’università Carlo Bo di Urbino: «la veridicità di un messaggio viene data dal contesto […]. Se io vedo i miei amici su Facebook condividere una notizia, la ritengo affidabile, perché i miei amici lo sono. Dimenticando però che spesso possiamo avere una rete di connessioni molto più vasta di quella reale, e quindi che la comunicazione che avviene nel nostro “stream” sia in qualche modo incontrollabile. Non importa, il ragionamento è istintivo: Facebook sono i miei amici. Dei miei amici ho fiducia. Per cui ci credo e condivido io stesso. Anche se è una balla stratosferica. [Non ci si accorge dell’errore perché] i link nella maggior parte dei casi non vengono nemmeno aperti […]. Diversi studi hanno dimostrato che la condivisione può essere spesso superiore alla lettura: dico “Mi Piace” o ripubblico una notizia solo per quel poco che ho potuto capire dal titolo e dalle due righe di presentazione. È la fonte che ne legittima il senso: non serve niente di più». QUI.

AGGIORNAMENTO del 21 marzo 2014:
Fabio Chiusi ha presentato su “Wired” (20 marzo 2014) uno studio condotto da ricercatori delle università di Lucca, Lione e della Northeastern di Boston sul ruolo e sulle dinamiche delle bufale diffuse da troll sul social network Facebook. Il paper è disponibile online in pdf e si intitola “Collective Attention in the Age of (Mis)Information“. Tra i risultati, si attesta che «le affermazioni prive di fondamento si diffondono quanto le informazioni verificate» e che «diverse culture coesistono, ciascuno in competizione per l’attenzione degli utenti». Si tratta di un danno prodotto dal cattivo giornalismo «e perpetuato da un’opinione pubblica incapace di fare lo sforzo per separarlo dal buon giornalismo». Come ha sottolineato il World Economic Forum del 2013, «la disinformazione digitale di massa» è «uno dei principali rischi per la società moderna».
Il 22 marzo 2014, ne hanno scritto anche Walter Quattrociocchi e Gianni Riotta su “La Stampa”: Il potere della (Dis)informazione nell’era della grande credulità.

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ARTICOLI ARCHIVIATI TRA I COMMENTI:

            • Varie predizioni apocalittiche, riferite da “Il Post”: Il giudizio universale. Arriva domani all’una italiana, sostiene un predicatore americano: il Post non crede a lui ma a Google sì (20 maggio 2011), QUI.
            • Paolo Attivissimo, Pronti per la fine del mondo il 21? (“Il Disinformatico”, 18 maggio 2011, QUI). 
            • Come se non bastasse, gira anche la previsione di un’eruzione devastante del vulcano Marsili, il più grande vulcano sommerso d’Europa, situato nelle Isole Eolie: Sofia Lincos, Il maggio delle catastrofi: è il turno del Marsili (“Query. La scienza indaga i misteri”, 18 maggio 2011, QUI).
            • Non sono bufale in senso stretto perché vittime ne hanno causate, ma rientrano comunque nella categoria aperta con questo post per gli oscuri scenari prodotti dal panico che hanno fatto esplodere in larga parte del pianeta. Mi riferisco ai morbi e alle pandemie di origine alimentare (vere o presunte, ma comunque mediatizzate) che negli ultimi decenni periodicamente si sono presentate all’attenzione di milioni e milioni di persone minacciando stragi di massa. L’ultimo “cibo assassino” in ordine di tempo è il cetriolo spagnolo (poi risultato innocente) che avrebbe veicolato l’ignoto E.coli. “Le Nouvel Observateur” (3 giugno 2011) ricorda alcune delle crisi alimentari degli ultimi due decenni: Vache folle, concombre… la psychose de l’aliment qui tue. Avant l’affaire des légumes contaminés par la bactérie E.coli, l’Europe a connu plusieurs crises alimentaires:
              – 1981, l’affaire de l’huile frelatée en Espagne
              – 1986, la maladie de la vache folle
              – 1999, le “chickengate” ou l’affaire du poulet à la dioxine en Belgique
              – 2003, la grippe aviaire
              – 2011, l’épidémie de la bactérie E.coli (Eceh)
            • Bugarach, Francia, il rifugio dall’Apocalisse è qui (“La Repubblica”, 27 giugno 2011, QUI).
            • Armando Torno, L’anno delle profezie. Perché il 2012 eccita i catastrofisti. Le strambe teorie dai Maya ai film, “Corriere della Sera”, 28 dicembre 2011, QUI.
            • Brian Handwerk elenca le “sei bufale sulla fine del mondo” prevista per il 2012 (“National Geographic”, 4 gennaio 2012, QUI): “Le teorie apocalittiche che si basano sulla presunta profezia maya prevedono vari scenari, dall’arrivo di un asteroide a un’enorme esplosione solare – ma sono tutti completamente infondati“:
              1) L’impatto dell’asteroide e l’inversione dei poli
              2) Il pianeta X si schianta sulla Terra
              3) Allineamento galattico (il primo da 26.000 anni a questa parte)
              4) I Maya predissero la fine del mondo nel 2012
              5) Il Sole brucerà la Terra
              6) La predizione dei Maya non lascia dubbi
            • Marzia Papagna, Dayli Mail, il vulcano tedesco spaventa l’Europa, Galleria fotografica su “Repubblica.it”, 4 gennaio 2012, QUI.
            • Tra le Faq del website della Nasa c’è una pagina dedicata al “doomsday scare” del dicembre 2012, QUI.
            • Leonardo Tondelli, Grillo, il terremoto e le pseudoscienze, «ComUnità.it», 30 maggio 2012, QUI.
            • Marco Letizia, Il sisma? Tutta colpa del «complotto». C’è chi non crede alle cause naturali del terremoto dell’Emilia e sul web rilancia ipotesi alternative e fantasiose, «Corriere della Sera», 30 maggio 2012, QUI.
            • Jacopo Pasotti, Quando arriva il terremoto? Nessuno ora può prevederlo. Malgrado gli sforzi della comunità scientifica mondiale, il fenomeno naturale resta imprevedibile. Il perché lo spiega Gianluca Valensise, geofisico dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia italiano (INGV), “La Repubblica”, 31 maggio 2012, QUI.
            • Mario Tozzi, Se il cane abbaia prima della scossa. Leggende (da sfatare) sul sisma. Le «verità» rivelate sul sisma e amplificate soprattutto dal web. Tutte, o quasi, false: eccole, “La Stampa”, 1 giugno 2012, QUI.
            • Michele Brambilla, Basta con le esagerazioni, l’Emilia non è scomparsa. Tutto viene enfatizzato a dismisura, a partire dalla paura della gente, “La Stampa”, 1 giugno 2012, QUI.
            • Ad un anno dal terremoto in Emilia (maggio 2012), Beppe Grillo continua a sostenere che la colpa del sisma è del fracking. Ne scrive Leonardo, il cui post (29 maggio 2013) ho copiato QUI.
            • Rosa Palomba, «Vesuvio, allarme per l’eruzione». Ma è un errore: tam tam vulcanico, “Il Mattino”, 23 aprile 2010, QUI.
            • Simona Marchetti, Un elenco compilato da 27 studiosi inglesi: come finirà il mondo? Gli scienziati delineano nove scenari. Poco probabile il maxiasteroide, le principali minacce provengono dall’umanità stessa, «Corriere della Sera», 13 settembre 2013, QUI.
            • Silvia Bencivelli, Le “scie chimiche”. La leggenda di una bufala. In una foto scattata dallo spazio le tracce delle scie di condensazione degli aerei nei cieli del Portogallo. Come una storia inventata da due truffatori americani nel 1997, per colpa dell’irrazionalità e dell’antiscienza, è diventata un articolo di fede, «La Stampa», 16 settembre 2013, QUI.
            • Ancora scienza e fine del mondo. Dopo gli esperti di Cambridge, ecco quel che profetizza il geologo Kurt Lambeck sul futuro («tra millenni») del territorio italiano: Addio Stivale, l’Italia destinata a cambiare. Il caratteristico profilo della penisola ha i millenni contati…, «Ansa», 20 settembre 2013, QUI.
            • Lorenzo Mannella, Tutte le bufale sui terremoti. L’ultimo profeta è Luke Thomas, che guarda a caso non ha alcuna base scientifica. I terremoti non si possono prevedere, ma in Rete saltano fuori le ipotesi più strane. Dal fracking fino a Haarp, “Daily Wired”, 15 novembre 2013, QUI.
            • A proposito di Fukushima, qualche scienziato ha avanzato l’ipotesi di «evacuare l’emisfero nord della Terra e spostarsi tutti a sud dell’equatore». Ecco come il discorso apocalittico, nella sua finta e urlata preoccupazione, riesce a ridicolizzare un problema grave. In questo caso, però, quel che mi colpisce è l’idea che si possa disporre degli spazi altrui (il sud del mondo) come e quando si vuole. “ArticoloTre”, gennaio 2014: QUI. E, comunque, ne aveva già scritto “Megachip” il 16 settembre 2013: QUI.
            • Non si tratta di una bufala, né di uno scenario apocalittico. E’ giusto un esercizio proposto dal website “Cracked.com“, il quale “ha chiesto ai lettori di inviare immagini sul tema “Che cosa succederebbe se i cellulari scomparissero all’improvviso” (alcuni l’hanno interpretata nella variante: “Se non fossero mai esistiti”). Prima conseguenza: dovremmo mandare gli sms via telegramma“. Ne riferisce il “Corriere della Sera” con una galleria fotografica (43 immagini) a cura di Paolo Ottolina (12 febbraio 2014).
            • In occasione del 1° aprile 2014, Leonardo Tondelli ha raccontato come funziona la “fabbrica delle bufale”: «[…] Ogni tanto qualcuno su internet scrive una storia smaccatamente falsa, volutamente paradossale (ad esempio un popolo rettile extraterrestre ha invaso la terra secoli fa e si nasconde tra noi); qualcuno la legge, la apprezza, la segnala ai suoi contatti; la storia si propaga finché non incontra esponenti di quella minoranza statistica che non riesce a capire la differenza tra cronaca e fiction. Purtroppo sono più di quelli che crediamo, e se a loro manca il senso critico, non fa difetto l’energia per indignarsi e trasmettere la loro indignazione: una volta arrivata fino a loro, la storia si spoglia di tutti quei tratti che ci consentivano di identificarla immediatamente come finzionale, e viene irradiata sotto forma di storia vera, da condividere con chi non crede alla realtà ufficiale!!1! […] Questa gente esiste, e oggi pubblicherà contenuti ridicoli, esponendosi al pubblico ludibrio. La questione però è molto meno divertente di quel che sembra, e forse dovrebbe stimolare un dibattito sull’atteggiamento di chi divulga notizie in rete: quanto è giusto usare l’ironia in un contesto in cui il 20% non la capisce? È chiaro che chi sta qui per far satira continuerà a farla, ma chi invece si veste di una relativa serietà fino a che punto può permettersi di usare un linguaggio figurato? Anche chi accusa Napolitano di golpe probabilmente all’inizio stava scherzando; se dopo qualche mese però si trova costretto a chiedere un procedimento di impeachment, è evidente che qualcosa sta sfuggendo di mano pure a lui. Disseminare storie false su internet è un passatempo che con gli anni mi sembra sempre meno divertente e sempre più pericoloso […]» (“ComUnità”, 31 marzo 2014, QUI).
            • A chi giovano le bufale e le teorie del complotto? Lo spiega (con linguaggio forte e colorito) Fabrizio Leone sul blog “Gente con le PalleQuadre” in un post del 2 aprile 2014, Complottisti: le contraddizioni e chi guadagna realmente: «[…] non fanno altro che sputare su grosse aziende e multinazionali, denigrando il concetto stesso di lavoro e tutto il resto, ma lo fanno intascando bei soldoni da Google (multinazionale) che mostra pubblicità di grosse aziende […]».
            • Razzismo, bufale e complottismo si mischiano nell’ultima notizia falsa che circola sul web, quella di una presunta epidemia di ebola in Italia – ovviamente taciuta dal governo, secondo i diffusori di questa disinformazione – per arginare la quale bisognerebbe chiudere le frontiere e bloccare l’immigrazione, soprattutto dall’Africa. Ne ha scritto ampiamente Leonardo Bianchi su “Vice” del 16 aprile 2014: In Italia non c’è nessuna epidemia di ebola (l’articolo è linkato anche da “Il Post”: Le bufale su ebola in Italia). Io ne ho conservato traccia in questo commento.
            • “Il Post” ha tradotto (27 maggio 2014) un articolo di Jesse Walker per “Slate” sugli studi relativi al complottismo, che evidenziano quanto nessuno sia “davvero immune alle teorie cospirazioniste“: E’ tutto un complotto.
            • Ecco una nuova bufala apocalittica che i webjournal rilanciano senza la minima verifica: “Il 10 novembre ci sarà una catastrofe”, l’allerta dal web terrorizza gli utenti” (“Leggo”, 3 novembre 2014). Non mi dilungo, anche perché il lavoro di smentita lo ha già fatto egregiamente “Bufale un tanto al chilo”: QUI.

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AGGIORNAMENTO del 10 aprile 2014:
Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini (“La Repubblica”, 9 aprile 2014, via-Associazione Luca Coscioni) spiegano perché «irrazionalità, fanatismo, emotività, tecnofobia, antimodernismo, anti-industrialismo, populismo» (in merito al caso Stamina, alla sperimentazione animale, al presunto ruolo dei vaccini nell’eziologia dell’autismo e alla ricerca e coltivazione di ogm) sono «una corda alla quale si sta impiccando il futuro di questo Paese», l’Italia. «La confusione sistematica e strumentale tra quel che si può credere, desiderare o preferire soggettivamente, e quel che si può provare o che è stato controllato e accertato oggettivamente, avrà un impatto diseducativo e destabilizzante sul piano di un presupposto culturale e civile che è da secoli il fondamento per una sana e funzionale convivenza democratica: la fiducia nelle istituzioni e quindi anche nella politica». «Manipolare i fatti è pericoloso anche perché si rischia di aizzare le deboli menti impreparate». (Si veda anche “Il Post“).
Giulio Finotti (blog “Dai diamanti non nasce niente”, su “L’Espresso”, 9 aprile 2014), a proposito di bufale, pone l’accento su «cosa produce o rischia di generare questo sistema di pseudo-informazione, che per aumentare i profitti, inietta nella rete informazioni false, spesso inventate di sana pianta, che continuano ad essere poi diffuse anche per anni». Se ci rifacciamo ai soli website di news, la ragione per cui si producono e/o si diffondono notizie false «non può che essere quella legata al marketing virale. Si creano appositamente contenuti dal potenziale virale, ovvero che hanno un’alta probabilità di essere condivisi e diffusi attraverso gli stessi utenti sul web, al solo scopo di generare traffico. Anche se poi la notizia può essere smentita in un secondo momento, l’effetto è ormai ottenuto». Il problema, però, è a lungo termine: «cosa produrrà una tale massa di informazioni false? […] Penso alla sostituzione della realtà che viene effettuata, forse spesso inconsapevolmente (chissà) attraverso queste operazioni. [E’ così che pian piano si crea] il nostro universo percettivo. Come vediamo il mondo, che idea abbiamo di ciò che ci circonda».
In un articolo prettamente politico, Fabio Avallone (“Huffington Post Italia”, 10 aprile 2014) parla della disinformazione a fini elettorali perpetrata da un partito italiano e spiega che le conseguenze di tale “strategia” sono pericolose, a livello sociale: «Sotto il profilo del nostro essere comunità e della fiducia nelle istituzioni, invece, questo atteggiamento è devastante. Instillare la certezza che non si possa credere più a niente, che le istituzioni sono composte da bande di malfattori, falsari e bugiardi, pronti a fregarci con il più classico dei giochi delle tre carte, non può che portare ad un peggioramento della vita di tutti noi».

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AGGIORNAMENTO del 24 aprile 2014:
Solo oggi ho recuperato lo streaming video di una tavola rotonda dell’ “International Journalism Festival” del 2013 dedicata al complotto: “Con il supporto della Storia scopriremo cosa sia un complotto, come si organizza una congiura e cosa occorre fare perché funzioni. Così da separare quali vicende dei giorni d’oggi possano nascondere dei complotti e quali invece sono solo questioni complicate, dove la teoria del complotto serve a dare una chiave di lettura semplice ma fuorviante. Vedremo che cosa offre spazio alla formulazione di teorie complottiste misleading e qualche esempio pratico di teorie del complotto demolite dai fatti“. Ne parlano Paolo Attivissimo, Andrea Boda, Gaia Giorgio Fedi.

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AGGIORNAMENTO del 29 aprile 2014:
Pietro Minto ha spiegato su “Rivista Studio” (29 aprile 2014) cosa c’è dietro le notizie false e, in particolare, come «il vivacissimo ecosistema delle bufale [abbia] trovato un habitat perfetto nei social media: c’è chi ha fiutato il business e i click e ha fatto della disinformazione la sua linea editoriale, e non solo». Esistono la hoax (la notizia-farsa), la bufala (che punta a contrastare ogni svelamento, mirando all’ambiguità, alla palude tra il vero e il falso), la frovocation (la provocazione falsa), la notizia assurda-ma-credibile, il prodotto di fiction, la anti-notizia creata per far ridere, non per disinformare, la bullshit (che è pronunciata da chi «non sta ne dalla parte della verità né dalla parte del falso. I suoi occhi non guardano in nessun modo»).
Tutto ciò si basa sulla «superficialità che contraddistingue la lettura degli articoli online: letture non completate, condivisioni fatte senza aver letto veramente il pezzo, un torrente continuo di informazioni delle quali abbiamo sempre meno il controllo. Un modello di business basato sulla quantità e su dei lettori poco attenti: è l’Eden delle frottole».
Insomma, «l’idea di stampare bufale per aumentare lettori è vecchia quanto la stampa commerciale» e tra i suoi massimi esponenti c’è Mark Twain, che cominciò proprio così. QUI (o qui).

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AGGIORNAMENTO del 20 ottobre 2014:
Michael Allen ha raccontato su “Vice” (20 ottobre 2014, QUI) la storia di Chris Bovey, l’uomo che ha trollato i fan della teoria delle scie chimiche.

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AGGIORNAMENTO del 18 gennaio 2015:
“Repubblica” ha curato una inchiesta intitolata “Come ti costruisco una bufala sul web” (8 gennaio 2015), presentata con queste parole: “Il segreto della viralità dei falsi su internet si annida su Facebook. Perché qui si tende a fare amicizia con persone simili a noi che fruiscono i nostri stessi contenuti. Con i like che ne attirano altri succede che alcuni post palesemente farlocchi finiscano per acquistare un successo sorprendente. Le bugie diventano verità, i fake soggetti reali. Per un motivo che gli esperti ci spiegano in modo scientifico. Eccolo“. Il dossier, curato da Rosita Rijtano e Riccardo Staglianò, è diviso nelle parti seguenti: 1) Una battaglia contro la disinformazione; 2) “L’informazione è un virus”; 3) La giungla dei falsi cresciuta in rete; 4) Come evitarle? Verificare, sempre; 5) Un glossario per capire; 6) Ecco come ho ingannato tutti.

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AGGIORNAMENTO del 22 aprile 2015:
Raphael Zanotti racconta la vicenda di due avvocati che da alcuni anni sfornano bufale riprese dai mass-media e rilanciate sul web con il solo scopo di farsi pubblicità (“La Stampa”, 22 aprile 2015, QUI).

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INTEGRAZIONE del 17 marzo 2016:
Le complotisme, c’est du sérieux. Et, aujourd’hui, il a pris une dimension préoccupante, au point que le Gouvernement français a lancé une campagne intitulée «On te manipule».

Jonathan Bouchet-Petersen n’a écrit sur “Libération”: Le grand complot qui est-il, quel est son réseau ? Alimenté par la défiance envers les institutions, répandu via Internet, le conspirationnisme se renforce, en particulier chez les moins diplômés.

Tuttavia, “La Stampa” riferisce che con quelli “de coccio” pare che non ci sia niente da fare: Perché smentire le bufale è inutile, una completa perdita di tempo.

Secondo i debunker italiani, però, smascherare le bufale online non è inutile. Paolo Attivissimo (Il disinformatico), Michelangelo Coltelli (Bufale un tanto al chilo) e David Puente (Bufale.net) lo spiegano in un articolo di Chiara Severgnini su “La Stampa” del 17 marzo 2016.

46 thoughts on “Bufale apocalittiche

  1. RaiNews24, 11 maggio 2011, http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=152728

    “Scossa molto in superficie”
    INGV: “Niente a che vedere con le “previsioni” per Roma”
    Il terremoto in Spagna non e’ stato di per se’ molto forte, ma e’ stato superficiale. E’ avvenuto alla profondita’ di 14 chilometri”, spiega dalla sala sismica dell’ Ingv il sismologo Alberto Michelini.

    E’ stato di magnitudo 5,3 ed e’ stato abbastanza vicino alla superficie, il terremoto che oggi ha colpito la Spagna. Per le caratteristiche geologiche che l’hanno originato, spiegano all’ istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, non ha nessun legame con il territorio italiano ne’ con la previsione del terremoto a Roma attribuita all’autodidatta di Faenza Raffaele Bendandi.
    “Il terremoto in Spagna non e’ stato di per se’ molto forte, ma e’ stato superficiale. E’ avvenuto alla profondita’ di 14 chilometri”, spiega dalla sala sismica dell’ Ingv il sismologo Alberto Michelini. Il terremoto, ha aggiunto, “e’ avvenuto vicino alla linea di costa spagnola, a Ovest di Cartagena”. Una zona, aggiunge l’esperto, “che non ha registrato forti terremoti in passato, al massimo ci sono stati sismi di magnitudo 5”.
    La zona, prosegue, “si trova al margine di convergenza tra la zolla eurasiatica e la zolla africana, che spinge contro la prima”. Quanto alla relazione con il “previsto” terremoto a Roma, Michelini osserva: “non c’e’ nessuna correlazione fra la previsione del terremoto nel Lazio e quello avvenuto in Spagna”.

  2. Il mio collega ridendo (di noi) mi ha chiesto se fosse vero che gli italiani e i romani fossero terrorizzati dal terremoto previsto dall’allineamento dei pianeti come aveva letto su giornali francesi. Per non rispondere una mala parola gli ho detto ridendo che io personalmente non avevo trovato la notizia da nessuna parte e che ‘ste vaccate in genere le riservano ai talk show pomeridiani per le vecchie zitelle..Le ultime parole famose.

  3. L’eco di questa frottola è una chiara costruzione giornalistica intorno ad una cretinata (come innumerevoli altre) girata sul web, e mi spiace che vi abbia partecipato RaiNew24. Termini come “psicosi”, “panico”, “paura” o pseudo-fatti come “negozi chiusi”, “affollamento degli agriturismi fuori città”, “svuotamento dei quartieri cinesi” e così via andrebbero soppesati e verificati prima di essere utilizzati in un articolo cartaceo o televisivo, soprattutto se la testata è autorevole.
    Ma chi può credere che oggi Roma sia stata chiusa o si sia svuotata? Di cinesi, poi… suvvia!
    Giusto un francese, appunto…

  4. “SpaceLab24” è una trasmissione di RaiNews24 a cura di Marco Dedola; l’ultima puntata (quella del 13 maggio 2011) si è occupata di terremoti (da quello “previsto” a Roma a quello reale in Spagna), ma anche di vulcani (in particolare dell’attuale attività eruttiva dell’Etna: da 2’45” a 7’10”). Tramite interviste e collegamenti con alcuni scienziati, sono stati toccati anche temi quali i terremoti sulla Luna e sul Sole.
    La puntata dura 20’17” e la si può seguire in streaming: http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=23167

    In particolare, nei minuti dedicati all’Etna, mi ha colpito ciò che ha detto il vulcanologo Domenico Patanè dell’INGV di Catania: “Ormai da diversi anni, e precisamente dal 2005, tutto il sistema di sorveglianza e di monitoraggio del vulcano è stato rinnovato; oggi l’Etna rappresenta il vulcano forse meglio monitorato al mondo… cioè, in effetti è così… abbiamo più di 140 stazioni di diversa tipologia, di tipo multidisciplinare e noi, h24, presso la nostra sala operativa monitoriamo diversi parametri che ci danno indicazioni del possibile cambiamento di stato di attività del vulcano, anche se oggi non è possibile prevedere un’eruzione, nel senso che non è possibile stabilire l’ora e il minuto; però anche per quest’ultima attività eruttiva, noi già a partire dagli inizi di maggio avevamo sentore che potesse verificarsi nel giro di qualche giorno… e così è stato“.

    Finora avevo sentito che il Vesuvio fosse “il vulcano più monitorato al mondo”.
    Forse, però, non c’è contraddizione perché tra le due affermazioni c’è un particolare infinitesimale che può fare la differenza:
    – uno è “il meglio monitorato al mondo” (l’Etna),
    – l’altro “il più monitorato al mondo” (il Vesuvio).

  5. Un po’ di nuove predizioni apocalittiche. Fate attenzione, mancano poche ore.

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    “Il Post”, 20 maggio 2011, http://www.ilpost.it/2011/05/20/21-maggio-2011-fine-del-mondo/

    Il giudizio universale
    Arriva domani all’una italiana, sostiene un predicatore americano: il Post non crede a lui ma a Google sì

    Non è finita con l’atteso terremoto di Roma di due settimane fa: le ubriache ipotesi di apocalissi di questi tempi vanno forte, sarà che ci avviciniamo al famigerato 2012. Non varrebbe la pena parlarne, ma a quanto si legge in rete negli Stati Uniti ma anche in altri luoghi del mondo (la Nuova Zelanda ha un ruolo particolare), questa volta la scadenza è presa in considerazione da un numero maggiore di persone. Domani 21 intorno alle 13 ora italiana arriva il Giudizio Universale (quello famoso napoletano era previsto per le 18).
    Harold Camping, così si chiama il presidente del network di radio evangeliche Family Radio, è un attento studioso della Bibbia e da mesi sostiene che certi suoi accuratissimi calcoli proverebbero che domani dovremo sottoporci al giudizio divino, alcuni verranno eletti in cielo e inizierà la fine del mondo che si completerà il prossimo 21 ottobre. È una teoria che Camping sostiene dagli anni Settanta (ora ha 89 anni) e che si basa sulla sua datazione del Diluvio Universale al 4.990 a.C., sommandovi un verso del libro della Genesi («Poiché di qui a sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti», Genesi 7:4) che interpreta come predizione della fine del mondo e un verso del vangelo di Pietro, 3:8 («Ma voi, diletti, non dimenticate quest’unica cosa, che per il Signore, un giorno è come mille anni, e mille anni son come un giorno»). L’ovvia conclusione logica è che, dopo settemila anni dal 4990 a.C., finirà il mondo: cioè quest’anno qui, nel 2011. Camping aveva già predetto una fine del mondo nel 1994, che come avrete notato non è arrivata (a meno che non siamo tutti in paradiso, o sull’isola) e lui allora ha spiegato che aveva sbagliato i calcoli.

    A che ora è la fine del mondo?
    Il sistema di predizione della data esatta è un po’ più complesso, un calcolo che incrocia la data della crocifissione di Cristo con alcuni numeri dal significato biblico particolare citati sempre nel libro della Genesi. Dato che nella Bibbia il giorno è solo il periodo di luce solare, il «grande terremoto» avrà inizio sabato 21 intorno alle 13 ora italiana con un primo terremoto dalle parti della Nuova Zelanda: ma Camping dice che l’orario esatto non è chiaro e che la Bibbia non faceva i conti con i fusi orari. Alcuni seguaci di Camping hanno dato anche delle cifre su quanti verranno eletti al cospetto del Signore: circa 200 milioni di persone, il 3% della popolazione mondiale (pochini, non siamo stati tanto buoni, si direbbe).
    Il New York Times racconta come stanno occupando il loro tempo quelli che alle previsioni del signor Camping credono davvero:

    «Mia madre mi ha detto con franchezza che non riuscirò a entrare in paradiso, – spiega Grace Haddad, 16 anni. – Inizialmente ero molto turbata, ma lei ne è davvero convinta.»

    Kino Douglas, 31 anni, agnostico, dice che è difficile stare con sua sorella Stacey, 33 anni, che non sembra voler parlare di nient’altro. «Se le chiedi quali saranno i nostri programmi per l’estate, risponderà “Il mondo finirà il 21 di maggio, non so perché ti preoccupi dell’estate!”»
    I due fratelli vivono a Brooklyn, poco distanti l’uno dall’altro, e Kino Douglas dice che non vede l’ora che sia domenica: «Mi presenterò alla sua porta per sostenere una conversazione che attendo da anni.»

    Secondo Kevin Brown, un rappresentante di Family Radio, il conflitto con gli altri membri della famiglia fa parte della prova che ogni persona deve sostenere sull’integrità della propria fede: «Affrontano questa terribile prova giorno dopo giorno»

    Come mostra Paolo Attivissimo, la predizione ha attecchito pure su alcuni muri italiani. Voi ridete: ma in rete le chiavi di ricerca “fine del mondo”, “21 maggio” e simili vanno molto forte da qualche giorno. A parte la passione per i fusi orari, che ragione avremmo avuto altrimenti di fare questo pezzo?

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    “Il Disinformatico”, 18 maggio 2011, http://attivissimo.blogspot.com/2011/05/video-del-pernacchia-party-romano.html

    Pronti per la fine del mondo il 21?
    di Paolo Attivissimo

    […]
    Intanto si fa avanti il prossimo candidato ad annunciare la fine del mondo che non ci sarà: un gruppo di eccentrici cristiani californiani, l’eBible Fellowship, capeggiato da tale Harold Camping, ha previsto che il 21 maggio prossimo sarà il Giorno del Giudizio e la fine del mondo avverrà il 21 ottobre. Segnatevelo in agenda.
    Come è stata fatta questa previsione? Basandosi su brani della Bibbia scelti a capocchia: per esempio, uno in cui Dio dice che “di qui a sette giorni” avrebbe fatto piovere per 40 giorni e notti e uno che dice che “per il Signore, un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno.” Ergo, secondo il fine ragionamento del signor Camping la fine del mondo avverrà settemila anni dopo la data in cui Dio ha annunciato il “di qui a sette giorni”. Stando a “calcoli” che per decenza vi risparmio, detto annuncio sarebbe avvenuto nel 4990 avanti Cristo, per cui i settemila anni scadrebbero proprio adesso, nel 2011. Le date precise sono state determinate prendendo altre citazioni bibliche.
    I seguaci di questa tesi hanno anche affisso cartelloni pubblicitari (anche in Italia) e il Huffington Post fornisce altri dettagli su questa vicenda penosa (grazie a Marco per i link; sempre il Post ha una galleria fotografica sconsolante). Sì, penosa, perché ci saranno inevitabilmente i deboli di spirito che si faranno sedurre da questa scemenza e quando la fine del mondo non arriverà avranno una crisi, col rischio (come avvenuto in altri casi) che qualcuno decida di far avverare la profezia suicidandosi o commettendo altri gesti idioti. Per chi volesse sapere cosa succede dentro una setta quando la profezia non si avvera, consiglio questo articolo di Massimo Polidoro. Illuminante.
    C’è anche un bell’articolo su Mother Nature Network che propone una spiegazione per il fascino delle catastrofi: i problemi del mondo vengono considerati irrisolvibili e quindi la catastrofe viene vista come una soluzione (divina) che porta ordine nel caos. È una visione rassicurante, a patto che chi ci crede sia anche convinto di essere fra gli eletti che si salveranno (materialmente o spiritualmente).
    Dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo, vari lettori mi hanno segnalato l’affissione di manifesti anche in Italia, per esempio nella metropolitana di Napoli, secondo l’Osservatorio Apocalittico (foto qui accanto; grazie anche ad Antonella S.): ma quanti soldi hanno questi pazzi?
    manifesto sulla fine del mondo nella metropolitana di napoli, 21 maggio 2011
    Queste panzane sono il motivo per il quale, a mio parere, la religione non deve essere mai considerata tabù, intoccabile ed immune da qualunque critica. Se uno dice una scemenza riguardo a fatti concreti (non spirituali, ma materiali), non può prendere la foglia di fico della religione e pretendere un trattamento speciale o il diritto di vedere rispettata la sua fede. Se qualcuno dice che le gravidanze umane possono durare anni perché così dicono i saggi della sua religione, va messo comunque di fronte all’evidenza dei fatti e non può pretendere immunità speciali. Una scemenza è una scemenza, non importa se la si imbelletta con la patina della rivelazione divina.
    Piccolo dettaglio: il signor Camping aveva già predetto la fine del mondo per il 1994. Sappiamo com’è andata.

  6. Come se non bastasse, gira anche la previsione di un’eruzione devastante del vulcano Marsili, il più grande vulcano sommerso d’Europa, situato nelle Isole Eolie:

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    “Query. La scienza indaga i misteri”, 18 maggio 2011, http://www.queryonline.it/2011/05/18/il-maggio-delle-catastrofi-e-il-turno-del-marsili/

    Il maggio delle catastrofi: è il turno del Marsili
    di Sofia Lincos

    Non bastavano il (falso) terremoto romano dell’11 maggio e la fine del mondo annunciata dal revendo Camping ai suoi seguaci. E nemmeno la leggenda metropolitana del “terrorista riconoscente” che ha ricominciato a girare dopo la morte di Osama, con tanto di annuncio “Non prendete la metropolitana a maggio”. No; adesso la catastrofe più gettonata sembra derivare dal Marsili, un vulcano sommerso al largo delle coste calabresi, che sarebbe sul punto di esplodere. Cosa dovrebbe accadere? Lo leggiamo in un articolo di Affari Italiani:

    Cominceranno a ribollire le acque, poi uno tsunami di dimensioni mai viste potrerà via tutti i continenti. All’Europa toccherà a maggio di quest’anno, il 21 azzarda qualcuno. Gruppi di parascienziati sostengono che la fine del mondo avverrà molto prima rispetto alle previsioni dei Maya, quando un vulcano sottomarino erutterà generando uno tsunami che trascinerà sott’acqua tutte le terre emerse del nostro pianeta. Ma non è tutto. Secondo i teorici della panspermia delle creature extraterrestri hanno avvertito l’umanità.

    L’origine della data è facile da rintracciare: si tratta del “giorno del giudizio” che secondo il reverendo Harold Camping dovrebbe accadere proprio il 21 maggio. Un appuntamento profetizzato sulla base di originali interpretazioni di alcuni passi biblici e su una concezione della storia umana che nulla ha di scientifico, come vi abbiamo già spiegato in un nostro articolo precedente.
    Per quanto riguarda il vulcano sottomarino, invece, le cose sono un po’ più complesse. Il Marsili, in effetti, esiste veramente: fa parte dell’arco insulare delle isole Eolie, nel Tirreno, a 150 kilometri dalle coste calabre e a 140 da quelle siciliane, e a una profondità di circa 450 metri. Non è certo l’unico vulcano sommerso del Mediterraneo: in quella zona (una delle più ricche di fenomeni geotermici e vulcanici, a causa dello scivolamento della zolla africana al di sotto di quella tirrenica) si trovano anche il Palinuro, il Valilov e il Magnaghi.
    Il Marsili però ha una particolarità: è il più grande vulcano d’Europa, con i suoi 65 kilometri di lunghezza e 30 di larghezza. Per saperne di più su questo “gigante”, vi consigliamo la visione di questo documentario trasmesso da SuperQuark.
    La scoperta del Marsili risale agli anni ’20, ma il dibattito scientifico sulla sua pericolosità è molto più recente. Fra il 2009 e il 2010 vennero infatti effettuati diversi studi sulla morfologia di questo vulcano, grazie a navi attrezzate e sonar multibeam. I dati furono pubblicati su due riviste di settore, il Journal of Volcanology and Geothermal Research e le Geophysical Research Letters, ed emerse che una parte della sommità del Marsili era costitutita da rocce con una bassa densità, quindi più deboli e a rischio di crolli.
    Il 29 marzo 2010 il direttore dell’INGV, Enzo Boschi, lanciò l’allarme sulle pagine del Corriere della Sera.

    Potrebbe succedere anche domani. Le ultime indagini compiute dicono che l’edificio del vulcano non è robusto e le sue pareti sono fragili. Inoltre abbiamo misurato la camera di magma che si è formata negli ultimi anni ed è di grandi dimensioni. Tutto ci dice che il vulcano è attivo e potrebbe eruttare all’improvviso.
    Il cedimento delle pareti muoverebbe milioni di metri cubi di materiale, che sarebbe capace di generare un’onda di grande potenza. Gli indizi raccolti ora sono precisi ma non si possono fare previsioni. Il rischio è reale e di difficile valutazione.

    Il pezzo, firmato da Giovanni Caprara, si concludeva analizzando l’unica possibile soluzione: un sistema continuo di monitoraggio, purtroppo difficile e costoso da realizzare.
    Questo articolo generò un piccolo vespaio nella comunità scientifica. Enzo Boschi fu criticato per il tono usato, che faceva pensare all’esplosione come a una cosa imminente, da verificarsi nell’arco di pochi giorni. Ci fu addirittura chi lo accusò, probabilmente a torto, di aver “calcato un po’ la mano” sul problema per sottilineare la mancanza di fondi dell’INGV.
    Da questa polemica di oltre un anno fa derivano le recenti profezie, che nei mesi di aprile e maggio hanno ripreso a girare, alimentate probabilmente dalle altre previsioni catastrofiche di questo maggio apocalittico. Questo clima di paura ha indotto l’INGV a diramare un comunicato, il 3 maggio di quest’anno, per spiegare meglio la situazione del Marsili. Qui si legge, tra le altre cose:

    Il timore dei ricercatori, manifestato dal Prof. Enzo Boschi, presidente dell’INGV, non è tanto il fatto che possa verificarsi una eruzione sottomarina, ma che una eruzione possa determinare il collasso di una porzione consistente dell’edificio vulcanico, reso fragile proprio dall’attività magmatica.

    Un’eruzione sottomarina, insomma, non è di per sè un problema; lo diventa quando per effetto dell’esplosione crolla una parte della parete del vulcano: solo in questo caso (e se la massa spostata è piuttosto grande), è possibile che si crei uno tsunami. Un caso simile in Italia è accaduto il 30 dicembre 2002, quando una frana sullo Stromboli spostò quasi un kilometro cubico di materiale roccioso, dando origine a un maremoto. Le onde raggiunsero in alcuni punti l’altezza di 8 metri, provocando diversi danni e il ferimento di alcune persone.
    Che questo accada anche per il Marsili, vulcano attualmente inattivo, è comunque ancora tutto da dimostrare. Si legge, sempre sul comunicato dell’INGV:

    Va ribadito che quello dei ricercatori è solo un timore, appunto. Resta infatti da dimostrare che il Monte Marsili sia prossimo a riattivarsi; e anche se questo avvenisse, l’eruzione potrebbe passare quasi inosservata per la popolazione, come dimostrano alcune importanti eruzioni sottomarine recenti (es. il Lohii seamount nella Hawaii o il Kick’em Jenny nelle Antille) che non sono state accompagnate da collassi e/o da tsunami.

    Il dibattito nella comunità scientifica è ancora aperto. C’è chi considera l’ipotesi altamente improbabile, come ad esempio Sandro De Vita dell’Osservatorio Vesuviano:

    Dal punto di vista della possibile attività vulcanica pensare ad una esplosione che possa causare problemi è fantascientifico, in quanto non è un vulcano che storicamente abbia mai dimostrato attività.

    Dello stesso parere il professor Michael Marani, dell’università di Bologna, secondo cui il futuro risveglio del vulcano è un’ipotesi non supportata da alcuna prova scientifica. Insomma, le opinioni non sono concordi, ed è giusto continuare ad approfondire la conoscenza di questo gigante sottomarino.
    Ma questo non significa che i catastrofisti abbiano ragione: il Marsili è attualmente monitorato sia dagli esperti dell’INGV che da quelli dell’università di Bologna, e non c’è alcuna ragione per cui si debba risvegliare proprio il 21 maggio, a meno di non credere alle ipotesi antiscientifiche del reverendo Camping. Ricordiamo infatti che, mentre per i terremoti non c’è modo di fare previsioni a lungo termine, per le eruzioni ci sono sempre alcuni segnali precursori di tipo sismico e geologico: e attualmente nulla del genere è stato rilevato per il Marsili.
    E anche se l’eruzione avvenisse, non è detto che sarebbe un disastro, a meno di un crollo improvviso delle pareti del vulcano. Se invece tutte queste circostanze dovessero avverarsi, questo è quello che succederebbe, secondo una simulazione di Steve Ward della University of California che ha preso in esame il “caso peggiore” (ovvero un crollo di materiale pari a circa 10 kilometri cubici).
    Il maremoto che colpirebbe l’Italia farebbe sicuramente grossi danni, e sarebbe un disastro terribile per gli insediamenti costieri italiani. Ma non potrebbe sicuramente provocare la preannunciata fine del mondo, né generare “uno tsunami che trascinerà sott’acqua tutte le terre emerse del nostro pianeta”, come irresponsabilmente affermato dall’articolo di Affari Italiani.
    La fine del mondo, per adesso, può attendere.

  7. Non sono bufale in senso stretto perché vittime ne hanno causate, ma rientrano comunque nella categoria aperta con questo post per gli oscuri scenari prodotti dal panico che hanno fatto esplodere in larga parte del pianeta. Mi riferisco ai morbi e alle pandemie di origine alimentare (vere o presunte, ma comunque mediatizzate) che negli ultimi decenni periodicamente si sono presentate all’attenzione di milioni e milioni di persone minacciando stragi di massa. L’ultimo “cibo assassino” in ordine di tempo è il cetriolo spagnolo (poi risultato innocente) che avrebbe veicolato l’ignoto E.coli.
    Le Nouvel Observateur” del 3 giugno 2011 ricorda alcune delle crisi alimentari degli ultimi due decenni.

    Vache folle, concombre… la psychose de l’aliment qui tue
    Avant l’affaire des légumes contaminés par la bactérie E.coli, l’Europe a connu plusieurs crises alimentaires.

    – 1981, l’affaire de l’huile frelatée en Espagne:
    En mai 1981, un petit garçon de la banlieue de Madrid transporté d’urgence à l’hôpital meurt en quelques heures. Il est la première victime du “syndrome toxique” qui causera la mort de 1.200 personnes empoisonnées par de l’huile de colza frelatée. Contaminée à l’aniline, un extrait dérivé de nitrobenzène, cette huile était vendue comme substitut de l’huile d’olive dans les banlieues populaires de Madrid et d’autres villes.
    La description par la presse des symptômes divers et insoutenables présentés par les premiers malades, ainsi que des photos chocs, provoquent une psychose générale en Espagne. Les ventes d’huile d’olive chutent fortement, ne reprenant leur cours normal que deux ans plus tard. En 1992, dix chefs d’entreprise et chimistes du secteur huilier sont condamnés à des peines allant de 4 à 77 ans de prison.

    – 1986, la maladie de la vache folle:
    Dès l’apparition des premiers cas d’encéphalopathie spongiforme bovine (ESB) en 1986 en Grande-Bretagne, la maladie de la vache folle sème un vent de panique, notamment à partir de 1996 lorsqu’il est annoncé qu’elle peut se transmettre par voie digestive à l’homme sous la forme d’une maladie neurodégénérative Creutzfeldt-Jakob (vMCJ).
    L’Europe sera traumatisée pendant plusieurs années: plus de 170 morts en Grande-Bretagne, plus de 190.000 cas d’ESB comptabilisés dans l’UE, des milliers de bêtes abattues.
    Cette maladie, très médiatisée, provoque une chute drastique de la consommation. Ce n’est qu’en 1999 que l’Union européenne lève l’embargo sur le boeuf britannique décrété en 1989. La France ne le lèvera qu’en 2002.

    – 1999, le “chickengate” ou l’affaire du poulet à la dioxine en Belgique
    En mai 1999, de la dioxine (hautement cancérigène) est découverte dans des farines pour la volaille et le bétail, contaminant toute la chaîne alimentaire.
    Le “syndrome de la dioxine” s’empare des consommateurs européens qui boudent les ventes d’oeufs et de poulets issus d’élevage industriels. Ce scandale, qui a coûté 650 millions d’euros à la Belgique, a en outre provoqué la démission de deux ministres.

    – 2003, la grippe aviaire
    Appelée également grippe du poulet, la grippe aviaire est réapparue en 2003 en Asie, puis s’est répandue au Moyen-Orient, en Europe et en Afrique, tuant plus de 240 personnes. Au plus fort de la crise, entre 2005 et 2006, quatorze pays de l’UE sont touchés. Des millions de bêtes ont été abattues.
    Dans la plupart des cas, les personnes contaminées ont eu des contacts rapprochés avec des volailles infectées. La consommation de volailles a cependant fortement chuté, les producteurs ont obtenu des aides financières exceptionnelles.

    – 2011, l’épidémie de la bactérie E.coli (Eceh)
    Depuis le 24 mai, l’épidemie, dont le vecteur de transmission reste inconnu à ce jour, a déjà tué 18 personnes en Europe (17 en Allemagne et une en Suède).
    Si le concombre espagnol, hâtivement désigné comme le vecteur de la maladie par les autorités sanitaires de Hambourg (nord de l’Allemagne), épicentre de l’épidémie, a été innocenté, les consommateurs européens boudent toujours les légumes.
    L’Espagne demande à l’UE un dédommagement pour l’effondrement de ses exportations de fruits et légumes, les Pays-Bas, l’Allemagne et le Portugal, des aides pour leur agriculture. La Russie a de surcroît décrété un embargo sur les légumes en provenance de tous les pays de l’UE.

  8. “La Repubblica” (web), 27 giugno 2011, http://viaggi.repubblica.it/multimedia/bugarach-francia-il-rifugio-dall-apocalisse-e-qui/29998595/1/1?ref=HRESS-13

    Bugarach, Francia, il rifugio dall’Apocalisse è qui

    Bello è bello, e d’altra parte metti un villaggio dal sapore antico nella campagna francese e il risultato è perfino ovvio. Siamo a Bugarach, borgo nel sudovest del Paese d’oltralpe, dipartimento Aude, regione Languedoc-Roussillon, tra Perpignan e Carcassonne, non molto distante dalla Spagna. Località che sta vivendo il suo momento d’oro a causa della credenza, che si è sviluppata tra gruppi new-age, che proprio lì, nel massiccio omonimo, Bugarach, si trovi la porta che permetterà la salvezza quando, secondo alcuni esoteristi, cadrà il giudizio universale, il 21 dicembre 2012. Teorie sostengono che la montagna ospita da tempo alieni che nel momento dell’apocalisse usciranno fuori indicando ai terrestri la via della salvezza, che avverrà attraverso una porta spazio-tempo. Il massiccio del Bugarach, che è la più alta del Midi, ha una sua peculiarità geologica – i sedimenti più antichi sovrastano quelli più recenti, tanto da essere chiamato “montagna sottosopra” – che in qualche modo attira leggende esoteriche. Il villaggio, negli anni ’60-’70, fu meta molto amata dagli hippy. Ora, la credenza, nata alla fine del 20mo secolo, attira turisti e compratori di seconde case. E le poche centinaia di residenti effettivi si fregano le mani.

    GALLERIA FOTOGRAFICA (16 immagini)

    PS: per la verità se ne parla da molto tempo e con regolarità su numerosi mass-media: “Centro ufologico Taranto magazine” (29 ottobre 2008), “Agence France Presse” (15 dicembre 2010), “Mysterium” (18 dicembre 2010), “Telegraph” (21 dicembre 2010), “Corriere della Sera”, (22 dicembre 2010), “Casa 24” (25 gennaio 2011), “Le Figaro” (18 febbraio 2011), “La Stampa” (24 febbraio 2011), “L’Independant” (5 giugno 2011).

  9. “Corriere della Sera”, 28 dicembre 2011, http://www.corriere.it/cronache/11_dicembre_28/anno-profezie-catastorifsti-torno_0d731cb6-3120-11e1-b43c-7e9ccdb19a32.shtml

    L’ANNO DELLE PROFEZIE
    Perché il 2012 eccita i catastrofisti. Le strambe teorie dai Maya ai film

    di Armando Torno

    Mancava soltanto la profezia dei Maya, o quella che viene loro attribuita. Il bisestile 2012 oltre crisi, recessione e tasse rischia di regalarci un tormentone sulla fine del mondo. Il 21 dicembre prossimo, secondo una predizione ricavata dal computo del tempo maya, si dovrebbe verificare un evento radicale di proporzioni planetarie. Di cosa si tratta? Alcuni parlano di una trasformazione spirituale dell’umanità mai avvenuta, altri evocano gli scenari dell’Apocalisse, altri ancora trovano nessi con la scomparsa della mitica Atlantide e vedono segni lasciati dagli Egizi oltre che dalla civiltà precolombiana. Qualcosa accadrà, ma non si sa di quale natura. Si può soltanto osservare che il 2012 è collegato alla fine di uno dei cicli (b’ak’tun) del calendario maya. E tra gli episodi della serie televisiva di fantascienza X-Files si narra che il 22-12-2012, giorno successivo alla fatidica data, degli alieni invaderanno la Terra. Tre adattamenti cinematografici hanno preparato il terreno. Già nel 2001 uscì 2012. L’avvento del male; nel 2008 fu la volta di 2012. Doomsday del regista Nick Everhart; nel 2009 Roland Emmerich, noto per film catastrofici, ci ha fatto meditare con 2012. Ormai il numero bastava.
    Ma tali previsioni non hanno alcun fondamento scientifico. Come nasce codesta faccenda? Abbiamo rivolto la domanda a Leandro Cantamessa, uno dei massimi esperti di diritto sportivo (è l’avvocato del Milan) e al tempo stesso un’autorità per le ricerche astrologiche. La sua vastissima opera in quattro ponderosi tomi Astrologia ins & outs (appena uscita per le Edizioni Otto/Novecento) è il repertorio per eccellenza sull’argomento. Risponde con un sorriso: «Probabilmente la causa è nelle due combinazioni numeriche dei calendari; né va dimenticato che il giorno 21 dicembre diventa suggestivo, anche se ha uno zero di troppo e il tre volte 2 allontana dalla matematica binaria». «Del resto – aggiunge – la numerologia è stata dall’antichità una disciplina divinatoria minore e ha sempre avuto successo». Cantamessa fa spallucce della profezia maya. E rincara la dose confidandoci che a suo giudizio assomiglia a una patacca. Un po’ come talune previsioni di Nostradamus. Qui conviene ridargli la parola: «Non dimentichiamo che il celebre francese, ancora con molto credito, è stato pessimo astrologo e maestro di ambiguità. Purtroppo è passato alla storia, ma nessuno ricorda un signore chiamato Laurent Videl, che nel 1558 l’ha smascherato dimostrando che dal punto di vista tecnico, quello inerente all’astrologia, commise grossolani errori di calcolo sia riguardo ai profili matematico-astronomici, sia per quanto concerne le regole astrologiche».
    Cantamessa puntualizza: «Questa storia che viene dai Maya ricorda il 20-21 febbraio del 1524, quando una massiccia concentrazione di pianeti nel segno dei Pesci fece temere l’avvento di un secondo diluvio universale, in base all’assurda equazione Pesci uguale a segno d’acqua, uguale a tanta acqua. Si narra che il sindaco di Tolosa, per sfuggire all’inondazione, si facesse costruire un’arca su una montagna; di certo un centinaio di astrologi e astronomi si dedicarono all’evento scrivendo piccoli e grandi libri. La maggior parte ebbe quale obiettivo la quiete sociale più che la tecnica, impegnandosi a chetare gli animi». Un altro sorriso, una pausa e la conclusione: «Non successe alcunché». Un’analoga paura del diluvio universale percorse l’Europa nel 1179. Anche in tal caso, la catastrofe si evinceva dalla solita concentrazione di pianeti.
    Dopo le tranquillizzanti parole di Cantamessa, si potrebbe aprire il libro di Saverio Gaeta e Andrea Tornielli, A.D. 2012 La Donna, il drago e l’Apocalisse (Piemme) per riproporre la domanda. Tra queste pagine c’è un invito a orientarsi tra gli annunci di sventure utilizzando le profezie dei tempi moderni, vale a dire le apparizioni della Madonna. Riprendere, insomma, le ricerche da quanto avvenne dal 1830 in rue de Bac a Parigi sino a Medjugorje. Le manifestazioni mariane, notano gli autori, svelano quel che accadrà e rammentano che il rischio dell’autodistruzione è reale. Da Lourdes a Fatima, dalle lacrime versate nel 1846 a La Salette dalla «bella signora» (così i ragazzi che la videro) a quelle del febbraio 1995 a Civitavecchia da una statuina di gesso di Maria (dinanzi alla quale pregò Giovanni Paolo II, si precisa a pagina 179) ci sono indicazioni per i tempi a venire. Un’indagine mariana contro le ipotesi nate dai Maya.
    C’è altro? Tra i mille casi ricordiamo quello di Nancy Lieder, che sarebbe stata in contatto con gli «alieni della stella Zeta Reticuli». Previde un cataclisma per il maggio 2003. Nulla accadde. E allora la sventura è stata procrastinata al 21-12-2012. Lì è in buona compagnia
    .

  10. Brian Handwerk elenca le “sei bufale sulla fine del mondo” prevista per il 2012 (“National Geographic”, 4 gennaio 2012): “Le teorie apocalittiche che si basano sulla presunta profezia maya prevedono vari scenari, dall’arrivo di un asteroide a un’enorme esplosione solare – ma sono tutti completamente infondati“:

    1) L’impatto dell’asteroide e l’inversione dei poli
    2) Il pianeta X si schianta sulla Terra
    3) Allineamento galattico (il primo da 26.000 anni a questa parte)
    4) I Maya predissero la fine del mondo nel 2012
    5) Il Sole brucerà la Terra
    6) La predizione dei Maya non lascia dubbi

    Approfondimenti: http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2012/01/04/foto/2012_sei_bufale_sulla_fine_del_mondo-774874/6/

  11. Galleria fotografica su “Repubblica.it”, 4 gennaio 2012, http://www.repubblica.it/esteri/2012/01/04/foto/dailymail_il_vulcano_tedesco_spaventa_l_europa-27588910/1/?ref=HRESS-8

    DAILY MAIL, IL VULCANO TEDESCO SPAVENTA L’EUROPA

    di Marzia Papagna

    La notizia del risveglio del “super vulcano” lanciata dal tabloid britannico fa il giro del mondo e il web ipotizza la catastrofe. Si tratta del vulcano addormentato sotto il Laacher See, lago che si trova in Germania, nella regione vulcanica dell’Eifel. Bolle di gas e deboli scosse di terremoto nella zona sono i segnali che fanno lanciare l’allarme. L’ultima eruzione risale a quasi 13 mila anni fa e le conseguenze potrebbero essere devastanti. Ma c’è chi considera una bufala l’ipotesi dell’eruzione catastrofica.

    • Uno spread vulcanico per apparare le cose tra i teutonici e gli italiani?
      Se alla seccia britannica s’unisse anche quella partenopea vuoi vedere …

  12. Poco fa ho scoperto che tra le Faq del website della Nasa c’è una pagina dedicata al “doomsday scare” del prossimo dicembre 2012. Incredibile.
    Ecco il link: http://www.nasa.gov/topics/earth/features/2012.html

    Per fortuna su “Internazionale” oggi se ne scrive con un po’ di ironia:

    1 Se hai deciso di fidarti dei maya, allora mettiti pure un microtanga e delle piume in testa.
    2 Sì, il 12 dicembre sarà il 12/12/12 e succede solo una volta ogni cento anni. Ma non c’è bisogno di scriverlo su Facebook.
    3 Non farti trovare impreparato: biancheria pulita e alito fresco.
    4 Convincerla che la fine del mondo è vicina è il modo migliore per portarti a letto la tua migliore amica.
    5 Se la fine del mondo si rivelasse un giudizio universale, non saranno ammesse conversioni last minute
    .

    Fonte: http://www.internazionale.it/superblog/regole/2012/01/04/la-fine-del-mondo/

  13. “Terremoto” (1974) di Mark Robson (con Charlton Heston e Ava Gardner) è un film debole nella sceneggiatura, scadente nel montaggio, ma notevole nelle scenografie del sisma che si scatena nel sottosuolo di Los Angeles (i film catastrofici generalmente hanno solo quest’ultimo pregio). Tra le (poche) battute da ricordare, trascrivo quelle tra scienziati sulla possibilità di prevedere un movimento tellurico e quelle coi politici sulla necessità di avvertire la popolazione. Le trovo particolarmente interessanti per le rappresentazioni che forniscono rispettivamente della scienza (che avrebbe capacità quasi divinatorie, se solo la si ascoltasse di più) e della reazione popolare (ovviamente in preda al panico e allo sciacallaggio, con alcune eccezioni di solidarietà ed eroismo).
    Aggiungo, infine, altre due citazioni, quelle che a mio avviso riassumono più efficacemente l’ambivalente idea sottesa al film (e che, d’altra parte, svela anche la sua appartenenza storica, gli anni ’70): da una parte si condanna l’avventatezza umana (attraverso la sua arroganza architettonica), dall’altra si rimpiange il perduto splendore della città.

    23’00”
    Walter Russell (ricercatore sismologo): Ha fatto chiamare, direttore?
    Dottor Willis Stöckle (direttore dell’Istituto Sismologico della California): Si, si segga. Russell, questo è molto interessante: aveva previsto una scossa di 3-4 gradi per stamattina; e stamattina abbiamo avuto una scossa sui 3-4 gradi. I miei complimenti.
    Russell: Grazie, signore.
    Stöckle: Però, non le sembra un po’ troppo per prevedere che in seguito avverrà anche una catastrofe?
    Russell: Signore, queste previsioni si basano sui dati degli strumenti installati dal dottor Adams per il suo progetto sperimentale. Ed indicano un’altra scossa di avvertimento verso il mezzogiorno di oggi.
    Stöckle: E se succedesse?
    Russell: Ci sarebbe un grosso terremoto nelle 48 ore, di almeno 7 gradi. Se invece la seconda scossa non si verificasse, questo dimostrerebbe che i miei calcoli erano basati su pochi elementi. Però sono convinto che…
    Stöckle: Russell… Russell, lei è un assistente appena laureato, vuol seriamente sostenere che un giovane assistente possa essere il primo scienziato al mondo che prevede una catastrofe tellurica con tanta precisione?
    Russell: No, signore. Io seguo le teorie del dott. Adams e mi attengo ai calcoli che lui stesso ha elaborato. Inoltre credo di avere abbastanza esperienza per…
    Stöckle: Il dott. Adams sta lavorando su alla faglia.
    Russell: Vorrei che fosse qui.

    27’50”
    Dottor Harvey Johnson (sismologo): Potrebbe essere una combinazione. Non credo che sia il caso di seguire ad occhi chiusi una teoria, dobbiamo prima sentire Frank Adams, dopotutto si tratta di un’idea sua, mica di Walter.
    Stöckle: Frank Adams non si trova. Non erano sicuri neanche della bomba atomica finché non la lanciarono, ma funzionò. Il nostro problema attuale è come dobbiamo comportarci adesso?
    Russell: Beh, avvertiamo la gente.
    Stöckle: …Si, si… Ma ci pensi su: noi diramiamo un comunicato radio che un grosso terremoto è imminente, si creerebbe un indescrivibile panico, la gente che si ammazza per abbandonare la città… potrebbe essere più disastroso del terremoto.
    Russell: Ma un’evacuazione ordinata potrebbe salvare migliaia di vite umane!
    Stöckle: Un’evacuazione ordinata… dove? Nel deserto? Sulle montagne? Come si trova cibo e riparo per 4 milioni di persone?
    Johnson: E mettiamo che facciamo il comunicato e il terremoto non viene.
    Russell: Ma a che serve saper prevedere un terremoto se poi non si fa niente per impedire…
    Stöckle: Russell! Senta, Russell, io e il dottor Johnson non facciamo mica i cinici! Però un falso allarme adesso, anche se fosse limitato al sindaco e al governatore, distruggerebbe la credibilità del nostro istituto! Ma crediamo che tra 4 o 5 anni noi troviamo un sistema di previsioni assolutamente sicuro, neanche allora ci crederebbero!

    31’42”
    Lewis (sindaco di Los Angeles): Quanto sarebbe grave?
    Stöckle: Sette gradi della scala Richter, ma forse più. Potrebbe provocare danni molto superiori a quelli provocati dalla bomba atomica di Hiroshima e quella di Nagasaki messe insieme.
    Lewis: Se faccio un comunicato, sa che cosa succede in questa città?
    Stöckle: Anche se la cosa è poco probabile, penso che qualche precauzione si può e si deve prendere ugualmente: mettere in allarme polizia e vigili, chiedere al governatore la guardia nazionale… può dire che è una misura per impedire furti nelle zone della vallata colpite dalle prime scosse.
    Lewis: No, la polizia è in grado di controllare da sola la situazione.
    Stöckle: Signor Lewis, la situazione, se ci sarà il terremoto, sarà leggermente diversa.
    Lewis: Ma io e il governatore non siamo nemmeno dello stesso partito. Se risulta un falso allarme, mi farà fare la figura del più grosso fesso degli Stati Uniti d’America.
    Stöckle: Il secondo, signore. Il più grosso sarò io.

    1h35’06”
    Stewart Graff (ingegnere): Ecco un altro edificio che ha fatto una brutta fine. Oggi mi vergogno di fare la mia professione: non dovevamo costruire quelle mostruosità di 40 piani, non qui!

    1h54’48”
    Dottor James Vance (medico): Questa una volta era una grande città.
    Lew Slade (sergente di polizia): Si…

    – – –

    Scheda Imdb
    Trailer (2’51”)

  14. «ComUnità.it», 30 maggio 2012, http://leonardo.comunita.unita.it/2012/05/30/grillo-il-terremoto-e-le-pseudoscienze/

    Grillo, il terremoto e le pseudoscienze
    di Leonardo Tondelli

    Io credo che di Beppe Grillo si debba parlare seriamente, come di un leader di un grande movimento politico e di opinione che si merita rispetto più di tanti segretari di partitini. Per questo mi dispiace, sinceramente, che in una giornata come quella di ieri così angosciosa per le migliaia di persone che vivono a poche decine di km da un sisma infinito e imprevedibile, Grillo abbia deciso di dare spazio sul suo blog a Giampaolo Giuliani, scrivendo che “è in grado di anticipare di 6-24 ore il manifestarsi di un terremoto”: cosa che lo stesso Giuliani non è mai riuscito a dimostrare. Grillo scrive che “la sua ricerca sui precursori sismici ha salvato la vita a quanti, nel 2009 in Abruzzo e in questi giorni in Emilia Romagna, hanno dato ascolto ai suoi allarmi”. Nel 2009 Giuliani prevedette effettivamente un forte sisma in Abruzzo (in un momento in cui lo sciame sismico era già iniziato), ma sbagliò il giorno e il luogo. Quanto all’Emilia Romagna, non mi pare che Giuliani avesse dato allarmi di sorta; del resto la regione è ben lontana dallo spettro dei suoi rilevatori. Presentare Giuliani come l’uomo che avremmo dovuto ascoltare per salvarci la pelle è molto più che una sciocchezza: è un insulto alla gente che in queste ore sta cercando di mantenere la calma e comportarsi in modo razionale, in un contesto che di razionale purtroppo non ha niente. Non possiamo “anticipare” tempi e luoghi dei terremoti, con buona pace di Giuliani, al quale auguro di riuscirci un giorno. Però Grillo sa che vorremmo esserne capaci, di più: che lo pretendiamo. Forse è questo che lo ha reso leader di un grande movimento di opinione: aver capito come soccorrere la fede dei delusi. Cerco di spiegarmi meglio.
    Un terremoto è qualcosa che scuote le nostre certezze, ci riporta a quello stato di impotenza in cui l’uomo primitivo ha cominciato a elaborare i miti: tentativi di spiegare l’inspiegabile, o almeno di raccontarlo. In mancanza di una scienza e di una memoria storica, presupporre l’esistenza di esseri supremi che scagliano fulmini o scuotono la terra dal sottosuolo non era così irragionevole. Prima di diventare favole per bambini e letterati, i miti sono stati ipotesi. Oggi non ne abbiamo più bisogno, si dice, perché abbiamo la scienza. Il problema con la scienza, in particolare da noi in Italia, non è che non la studiamo abbastanza – senz’altro potremmo studiarla di più, e metterla al centro del nostro sistema educativo; non sarebbe una brutta idea. Però alla fine non è esattamente questo il problema. Il guaio è che, pur conoscendola male, la diamo tutti per scontata. Ci fidiamo di lei. Crediamo che abbia tutte le risposte: basta consultarla e ci spiegherà ogni cosa. In sostanza, invece di sostituire la religione con la scienza, abbiamo fatto della scienza una religione.
    Ma la scienza non è una religione: non ha tutte le risposte, non ci salva sempre il sedere, non è il suo compito. Lo si vede molto bene nella fase immediatamente successiva a un terremoto, quando ci accorgiamo, una volta di più, che la scienza non ce lo ha predetto: perché questa cosa che ci aspettiamo da lei, che quasi diamo per scontata, la scienza non la fa. Non è l’oroscopo, non è cartomanzia: se ci fossero sistemi efficaci di predizione la scienza li userebbe; un giorno forse gli scienziati li troveranno e li useranno; nel frattempo però le predizioni non le sanno fare, e (tranne Giuliani) non hanno mai detto di saperle fare. Questa cosa ogni volta ci sorprende e ci addolora. Pensavamo che la scienza fosse un oracolo. Lo pretendevamo. Sui social network la gente si lamenta: ma che ci stanno a fare i sismologi se non sanno neanche dirci quando viene un terremoto? Perché non fanno le previsioni dei sismi, come quelle del meteo? È un’ingiustizia, una negligenza, un complotto dei poteri forti, eccetera. Alla fine siamo più superstiziosi dell’uomo primitivo: lui la teoria del Dio che scaglia il fulmine la elaborava in mancanza di meglio, ma almeno elaborava qualcosa. Noi non elaboriamo più: siamo convinti che da qualche parte esista un libro con tutte le risposte dentro. Se solo lo aprissimo, scopriremmo che è un libro imperfetto, che contiene ancora più domande che risposte. Non lo ha scritto un’autorità onnisciente, ma uomini imperfetti come noi. Per esempio, alla pagina “come prevedere i terremoti” per adesso c’è un bel vuoto. Questo noi non lo possiamo assolutamente consentire. Quella pagina da qualche parte dev’esserci: magari qualcuno ce la nasconde per un secondo fine. Per fortuna che c’è gente come Giampaolo Giuliani, a riempire gli spazi criminalmente lasciati vuoti.
    Molte pseudoscienze funzionano così: servono a salvare la nostra fede incorreggibilmente religiosa nei confronti della scienza. L’economia, quando non è troppo difficile, è un enorme spazio rimasto bianco: sostituiamolo con la mistica del ritorno alla lira, o quella del signoraggio. I terremoti sono imprevedibili? Sarà colpa di HAARP, o del fracking (che in Italia ancora non si è fatto). Internet, che secondo le fantasie apocalittiche di Casaleggio dovrebbe creare un impero mondiale di condivisione, per ora rimane un serbatoio da cui attingere teorie strampalate adatte all’uso. Prima o poi durante un nubifragio qualcuno tirerà fuori l’idea di un Dio del fulmine arrabbiato con noi; in fondo non è un’ipotesi così irragionevole, in mancanza di scienza e di memoria
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  15. «Corriere della Sera», 30 maggio 2012, http://www.corriere.it/cronache/12_maggio_30/complotto-terremoto-ipotesi-marco-letizia_30317a00-aa28-11e1-8196-b3ccb09a7f99.shtml

    Il sisma? Tutta colpa del «complotto»
    C’è chi non crede alle cause naturali del terremoto dell’Emilia e sul web rilancia ipotesi alternative e fantasiose
    di Marco Letizia

    MILANO – Non siamo ancora al Mel Gibson di «Ipotesi di complotto» che credeva di essere al centro di una congiura ordita dal governo. Ma ci siamo vicini. Il fatto stesso che ci possa essere stato un terremoto che abbia origini naturali in una zona d’Italia che non ne vedeva di forti da tempo, solo perché fino a qualche anno fa non era stata inserita tra quelle a rischio sismico, ad alcuni non va proprio giù. Così anche sul tragico sisma che ha colpito in due distinti momenti l’Emilia, c’è chi in rete si sbizzarrisce a prospettare scenari che di scientifico hanno proprio poco. Ma in compenso alimentano le ipotesi più fantasiose.
    GRILLO – Il più moderato, in questa caccia alla causa nascosta del sisma, per una volta è Beppe Grillo che sul suo blog rilancia le tesi di Giampaolo Giuliani sulla possibile prevedibilità dei terremoti. Tesi che finora non hanno avuto riscontro nella comunità scientifica, ma che al di là del dibattito accademico fanno sorgere una domanda: se i terremoti sono prevedibili a chi giova non dare l’allarme? Che anche i sismi facciano parte della strategia della tensione?
    FRACKING – Ma sul web c’è anche chi va oltre. E su YouTube annuncia: «Il terremoto in Emilia è stato provocato dalle prospezioni geologiche condotte nel sottosuolo dove vengono fatte brillare delle cariche alla ricerca di idrocarburi. Il governo di M. M. ha stipulato un accordo con multinazionali texane per queste prospezioni». Qui siamo al complotto delle multinazionali come negli anni ’70. Solo con una spruzzata di ecologismo. Sotto accusa la tecnica del fracking o fratturazione. La fratturazione consiste nell’immissione di un fluido in uno strato roccioso per creare un varco all’interno. Lo si utilizza per aumentare l’estrazione e il tasso di recupero del petrolio e del gas naturale contenuti nel giacimento. Nella pianura padana ci sono centinaia di milioni di barili di petrolio e non ce ne siamo mai accorti? E il petrolio come verrebbe trasportato a destinazione in maniera che nessuno se ne accorga? Con un oleodotto segreto? Nelle forme di parmigiano rottamate?
    HAARP – Se fino ad adesso eravamo ancora rimasti al movente economico c’è però chi ipotizza scenari degni di Clive Cussler con un pizzico (per chi se lo ricorda) dell’indimenticabile Peter Kolosimo. E così c’è chi attribuisce il sisma ad Haarp l’impianto segretissimo (ma se è così segreto perché tutti lo conoscono?) che gli Stati Uniti avrebbero in Alaska e che sarebbe in grado di influenzare la Terra attraverso onde elettromagnetiche, scatenando terremoti a comando. Prove scientifiche? Inesistenti. Ma soprattutto: perché colpire l’Emilia? Perché è una nota terra di comunisti?
    INFLUENZE CELESTI – C’è, infine chi per spiegare il sisma lascia decisamente la terrà per avventurarsi nel più alto dei cieli. Così nell’ordine, c’è chi da la colpa agli allineamenti planetari, alla Superluna e infine, ai Maya. Che se non spiegavano la fine del mondo almeno, secondo i credenti, l’avevano prevista
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  16. “La Repubblica”, 31 maggio 2012, http://www.repubblica.it/scienze/2012/05/30/news/ecco_perch_non_si_possono_prevedere_i_terremoti-36254051/

    QUANDO ARRIVA IL TERREMOTO? NESSUNO ORA PUO’ PREVEDERLO
    Malgrado gli sforzi della comunità scientifica mondiale, il fenomeno naturale resta imprevedibile. Il perché lo spiega Gianluca Valensise, geofisico dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia italiano (INGV)
    di Jacopo Pasotti

    Gli eventi del 20 e del 29 maggio in Emilia hanno dato origine alle più strane congetture sulle cause dei sismi. Idee, fantasie, timori ed anedotti che si intrecciano a scampoli di scienza, fantascienza e pseudoscienza. La realtà è che malgrado gli sforzi della comunità scientifica mondiale, i terremoti rimangono un fenomeno naturale imprevedibile. Il perché lo spiega Gianluca Valensise, geofisico dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia italiano (INGV).

    Valensise, molti si chiedono quale aspetto si può prevedere dei terremoti.
    “Oggi riusciamo a prevedere dove sono le faglie che possono dare terremoti distruttivi, la magnitudo massima attesa e un quadro dello scuotimento atteso. E questo include sia l’accelerazione attesa al bedrock sia le eventuali amplificazioni dovute a diversi aspetti nella forma e nella geologia dei siti. Per esempio l’origine dei due forti terremoti del 20 e 29 maggio erano ben identificate da anni nella nostra banca dati. Su questa base riusciamo anche a prevedere con buona approssimazione l’altezza dell’onda di maremoto che si può generare a seguito di un terremoto e come questa si propagherà (sia in termini di velocità che di altezza con cui l’onda inciderà sulle diverse coste)”.

    Cosa è invece che non si può prevedere dei terremoti?
    “Sicuramente l’istante di accadimento esatto. Ma anche il solo fatto che possano verificarsi: in altre parole, esistono ancora tipi di faglie di cui non sappiamo nemmeno l’esistenza, ad esempio perché cadono in mare o perché sono “cieche”. Questo sarebbe il caso anche della Pianura Padana, se non fosse per la formidabile conoscenza acquisita nei decenni dell’esplorazioni petrolifera”.

    Perché, dopo tanti studi i geologi non possono ancora prevedere quando avviene un terremoto?
    “Innanzitutto il geologo è comunque una figura professionale inadatta a esprimersi sul “quando”. Al geologo bisogna chiedere grandezze e valutazioni in linea con gli strumenti a sua disposizione, che sono l’osservazione diretta della geologia, della tettonica e delle geomorfologia, l’analisi di dati di sottosuolo, la datazione dei fenomeni di deformazione attiva”.

    Comunque presto o tardi si arriverà a poter prevedere con precisione il dove, l’intensità e il quando un terremoto può avvenire, o no?
    “No, non vedo questo traguardo raggiungibile nei prossimi due o tre decenni almeno. Anche perché nel frattempo molte agenzie internazionali hanno drasticamente ridotto il finanziamento dedicato ai precursori sismici preferendo focalizzarsi su altre ricerche più “solide” (per non parlare della ricerca in sismologia applicata, che giustamente oggi privilegia – ad esempio – gli studi sulla risposta sismica)”.

    Nei documenti degli istituti scientifici si parla di “faglie”, che poi sarebbero le zone da cui si sprigiona un evento sismico. Non sono convinto che tutti sappiano di cosa parliamo, ci puoi spiegare?
    “La faglia è una frattura della crosta terrestre lungo la quale due blocchi di roccia possono scorrere tra loro, se sollecitati dalle forze tettoniche. Lungo il piano di faglia normalmente esiste un certo attrito: l’accumulo di sforzo può portare al superamento di quell’attrito e quindi al movimento dei due blocchi, ovvero al terremoto, con liberazione di energia sismica e deformazione delle rocce circostanti. Le faglie possono avere dimensioni molto variabili, dal millimetro, ai 1000 km della faglia di Sant’Andreas, alle migliaia di km delle zone di subudzione del Pacifico”.

    E questo per il mondo. In Italia?
    “In Italia le faglie sismogenetiche (cioè che possono originare terremoti) sono mappate in un database, che per ognuna ipotizza anche una magnitudo massima attesa e un valore di dislocazione (che dà il tempo di ricarica della faglia e quindi in ultima analisi quantifica la frequenza con cui si muoverà). In generale esistono grandi faglie sismogenetiche lungo il piede delle Alpi meridionali tra la Lombardia e il Friuli, al piede dell’Appennino sotto la Pianura Padana e l’Adriatico, lungo tutto l’asse dell’Appennino fino allo Stretto di Messina, in Sicilia orientale, nel Gargano e nel Tirreno meridionale”.

    Poi ci sono i cosiddetti “effetti di sito”, ovvero le caratteristiche locali del terreno e la morfologia. Quali terreni sono a maggior rischio?
    “A partire dal forte terremoto di Città del Messico del 1985 si è iniziato a mettere a fuoco seriamente gli “effetti di sito”, ovvero effetti di amplificazione del moto del suolo dovuti a particolari condizioni della geologia superficiale. Tra queste condizioni vi è l’esistenza di sedimenti sciolti sovrapposti a un basamento più rigido, come avviene tipicamente nelle valli fluviali. In questo caso al passaggio dalla roccia più dura ai sedimenti sciolti si determina un forte aumento di ampiezza delle onde stesse e una tendenza di tutto il corpo sedimentario a entrare in riconanza, con l’effetto di aumentare sia l’intensità dello scuotimento sia la sua durata”
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  17. “La Stampa”, 1 giugno 2012, http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/456527/

    SE IL CANE ABBAIA PRIMA DELLA SCOSSA. LE LEGGENDE (DA SFATARE) SUL SISMA
    Le «verità» rivelate sul sisma e amplificate soprattutto dal web. Tutte, o quasi, false: eccole
    di Mario Tozzi

    Animali
    Si sente spesso dire che c’è aria di terremoto, come una cappa afosa, anche in inverno, che preluderebbe al sisma. Come l’agitazione di cani, gatti, galline e maiali. A parte il fatto che i poveri maiali restano sotto le macerie come gli uomini, il boato del terremoto si risente anche nel campo degli ultrasuoni non percepiti dagli umani, ma dagli animali. Solo però qualche decimo di secondo prima della scossa. E i fenomeni meteorologici avvengono migliaia di metri sopra le nostre teste, quelli sismici decine di migliaia sotto i nostri piedi: nessuna relazione è possibile.

    Cratere
    Si continua a utilizzare la similitudine nata in Irpinia con il terremoto del 1980 che interessò una vallata simile a un cratere. Il paragone deriva anche dal fatto che i paesi distrutti si presentavano con quella forma. Ma i crateri sulla Terra li fanno solo i vulcani e le bombe.

    Perforazioni & estrazioni
    I terremoti emiliani dipendono dall’estrazione di gas dal sottosuolo padano? Trivellazioni e pozzi, indagini di prospezione, o la tecnica dell’allargamento delle fratture nel terreno per sfruttare i giacimenti (fraking) provocherebbero crolli sotterranei e dunque voragini e sismi. In questo caso dovremmo registrare molti terremoti in Arabia Saudita, Texas e Mare del Nord. E, al contrario, basterebbe fermare quei progetti per ottenere una nuova calma tettonica. Non ci sono cavità sotterranee che contengono idrocarburi o acqua, ma la roccia funziona come una spugna imbibita. L’estrazione provoca un locale costipamento dei serbatoi rocciosi che possono portare a un lento sprofondamento del suolo che si chiama subsidenza e che è ben noto in Pianura Padana. Ma che è proprio il contrario di un terremoto, che avviene molto rapidamente e più in profondità. Nessun pozzo scavato dagli uomini supera i 14 km di profondità, mentre i terremoti arrivano fino a 700 km.

    Previsione
    Sarebbe la scoperta scientifica del secolo, se fosse vera. Andrebbe però verificata in un contesto internazionale permettendo di riprodurla in altri laboratori, cosa che, curiosamente, non mai stata fatta. Sostenere che «tra marzo e novembre ci sarà un terremoto di magnitudo superiore a 5 fra Modena e Ferrara» non è nemmeno una previsione, visto che la distanza è di 59 km e 270 giorni sono tanti. E poi, cosa si dovrebbe fare, evacuare le due province per nove mesi? Anche a L’Aquila si fece una «previsione», che, in realtà, riguardava Sulmona e un lasso di tempo di mesi. Purtroppo i terremoti non si possono prevedere e solo una volta, in Cina nel 1975, è stato possibile farlo, ma in quell’occasione succedeva qualsiasi cosa: il terreno si alzava e si abbassava, c’erano continue scosse sensibili, si seccavano sorgenti, si liberava gas. Il regime cinese evacuò la regione di Haicheng e il terremoto fece «solo» mille vittime. Ma l’anno successivo il Tangshan fu scosso dal più disastroso terremoto di sempre, con oltre mezzo milione di morti. Liberazioni di gas radon dal sottosuolo possono essere utilizzate a questo scopo, ma è ancora presto per trarne schemi scientifici oggettivi.

    Armi micidiali
    Terremoti indotti dagli uomini e programma Haarp (High Frequency Active Auroral Research Program). In Alaska si sta sperimentando un sistema (Haarp) per provocare onde radio di debole intensità nella ionosfera per motivi civili e militari. E’, invece, un tentativo di creare un’arma micidiale, una specie di cannone elettromagnetico che possa indurre terremoti? Nessuna forza controllata dall’uomo è in grado di generare terremoti di magnitudo elevata a distanza: la crosta terrestre ne modifica talmente il tracciato da non poter assolutamente indirizzare le onde sismiche eventualmente generate. Negli Anni 60 e 70 gli esperimenti atomici sotterranei di russi, cinesi e statunitensi hanno creato terremoti, ma deboli e ben riconoscibili su un sismogramma. L’aspetto assurdo è che i test cinesi avrebbero scatenato terremoti in Alaska e quelli statunitensi in Iran, scatenandosi due o tre giorni dopo l’esplosione. Un terremoto come quello emiliano sprigiona l’energia di decine di ordigni atomici che esplodono tutti insieme lungo una faglia in profondità
    .

  18. “La Stampa”, 1 giugno 2012, http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/456530/

    BASTA CON LE ESAGERAZIONI, L’EMILIA NON E’ SCOMPARSA
    Tutto viene enfatizzato a dismisura, a partire dalla paura della gente
    di Michele Brambilla

    Nelle ultime due settimane in Emilia Romagna ci sono stati 24 morti e danni per svariati miliardi di euro; gli sfollati sono quindicimila. Bastano queste cifre per dire che una situazione è grave e degna di attenzione da parte di tutti gli italiani? Evidentemente no, non basta. Così sono giorni che in tv, alla radio e sui giornali si sente parlare di «interi paesi cancellati dalle carte geografiche», o più sobriamente «rasi al suolo». Ho sentito dire che Cavezzo, dov’ero appena stato, «non esiste più». Ci sono titoli sui siti web – anche, ahimè, dei grandi giornali – che parlano di migliaia di emiliani che «soffrono la fame», di «assalti di sciacalli alle case danneggiate».
    Mi domando se chi dice e scrive queste cose sia stato davvero in questi giorni a Mirandola, Cavezzo, Rovereto sul Secchia, Medolla, Carpi. Paesi che hanno subito danni ingentissimi e molti lutti: ma che esistono ancora. Paesi popolati da persone in difficoltà: ma non ridotte alla fame. Paesi in cui i capannoni crollati sono per fortuna una piccolissima percentuale, non la norma. Paesi in cui le abitazioni private hanno tenuto, grazie al cielo: anzi, grazie agli emiliani che le hanno costruite meglio che altrove.
    C’è stato un terremoto, e basterebbe usare questa parola, terremoto: ce ne sono molte altre che incutono più terrore? E invece no: si parla di inferno, di un mondo spazzato via, di un’intera regione in ginocchio. Non è così: provate a girare per tutta l’area, da Modena fino su ai paesi dell’epicentro, e vedrete un film che non è quello che viene raccontato. Un film drammatico, certo. Ma perché dire e scrivere che è come il Friuli, l’Irpinia, L’Aquila? In Friuli ci furono mille morti, centomila sfollati, 18.000 case completamente distrutte, 75.000 gravemente danneggiate. In Irpinia tremila morti, 280.000 sfollati, 362.000 abitazioni distrutte o rese inagibili. L’Aquila è ancora oggi, quella sì, una città in ginocchio. L’Emilia no: la gente che vi abita ha paura, e questo è comprensibile, ma le grandi città sono intatte, il 95 per cento dei paesi pure, eppure l’altra sera in tv abbiamo sentito parlare (testuale) di «una regione distrutta».
    Tutto viene enfatizzato a dismisura, a partire dalla paura della gente, che già ha buoni motivi per avere paura. L’altra notte l’ho trascorsa in piedi fra la gente in tenda. Una notte certamente disagevole, soprattutto per la preoccupazione per il futuro. Ma non ho visto alcuna scena di panico. La mattina alle nove accendo la radio e sento: «Notte di terrore nelle tendopoli per sessanta nuove scosse». Che ci sono state, ma non tali da essere percepite.
    Non si tratta di sminuire la gravità di quello che è accaduto, ma di evitare che ai danni del terremoto si aggiungano quelli di un’informazione drogata. L’altra sera parlavo con Michele de Pascale, assessore al Turismo del Comune di Cervia. Mi diceva di non capire la contraddizione: «Stiamo accogliendo nei nostri alberghi gli sfollati perché qui da noi sono al sicuro. Poi riceviamo disdette per quest’estate: i clienti hanno sentito in tv che l’Emilia è distrutta. L’altro giorno un albergatore mi ha detto che lo hanno chiamato dalla Germania per annullare la prenotazione e hanno chiesto: ma siete ancora vivi?».
    Domande alle quali ne aggiungo una diretta umilmente alla categoria di cui faccio parte: vogliamo davvero aiutare gli emiliani a ripartire? Atteniamoci ai fatti. Sono già abbastanza gravi che non c’è bisogno di metterci il carico
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  19. Ad un anno dal terremoto in Emilia (maggio 2012), Beppe Grillo continua a sostenere che la colpa del sisma è del fracking. Ne scrive Leonardo, il cui post (29 maggio 2013) ho copiato QUI.

  20. “Il Mattino”, 23 aprile 2010, QUI

    «VESUVIO, ALLARME PER L’ERUZIONE». MA E’ UN ERRORE: TAM TAM VULCANO
    di Rosa Palomba

    NAPOLI (23 aprile) – Le parole sono rimbalzate all’alba. Dalla radio ai telefoni ai computer, è scattato ieri il nuovo tam tam vulcano. Tra gli argomenti di Radio 1, anche l’allarme eruzioni. La voce di Manuela Falcetti è rimbalzata dai microfoni di Istruzioni per l’Uso e di Rai News 24.
    La conduttrice ha chiesto alla collega del Gr1 se avesse avuto notizie su un’eventuale ripresa dell’attività del Vesuvio. Sms alla trasmissione e telefonate a centinaia. In pochi istanti bersagliato il centralino dell’Osservatorio Vesuviano. «Ha telefonato anche la prefettura di Napoli – dice il direttore Marcello Martini – per avere informazioni più dettagliate».
    Tanti i lavoratori rimasti con la radio accesa e il fiato sospeso. E poi i residenti, soprattutto quelli della fascia vesuviana, i cosiddetti Comuni della zona rossa, la più a rischio.
    È stata poi la stessa Falcetti a chiarire che il Vesuvio non desta alcuna preoccupazione e che è invece sotto stretta osservazione il Marsili, il vulcano sottomarino, tra la Campania e la Calabria. «Non c’è assolutamente alcun allarme – ribadisce il direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Marcello Martini – Il Vesuvio resta tra i vulcani più monitorati al mondo e al momento non c’è alcun segnale di ripresa dell’attività».
    Ma i centralini dell’Osservatorio sono rimasti bollenti fino a poco prima delle 12. Gli abitanti dell’area vesuviana proprio in queste settimane sono state «colpiti» da una serie di allarmi. Poco più di un mese fa la data di un’imminente eruzione diffusa con dovizia di particolari attraverso Youtube, spinse i residenti di alcune città vesuviane a partire verso mete più sicure. In quell’occasione anche le scuole furono disertate dagli alunni.
    E mentre ampie aree del pianeta vengono scosse da terremoti ed eruzioni, gli esperti di Cambridge tre giorni fa hanno fatto i conti su vittime e danni provocati da un’eruzione del Vesuvio. Non solo. Negli stessi giorni anche i canali satellitari si occupano del vulcano napoletano. E ogni volta Osservatorio Vesuviano e Istituto nazionale di Geofisica, scendono in campo con dati alla mano. Ma parlare di Vesuvio e «dire» paura è estremamente facile
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  21. «Corriere della Sera», 13 settembre 2013, QUI

    Un elenco compilato da 27 studiosi inglesi
    COME FINIRA’ IL MONDO? GLI SCIENZIATI DELINEANO NOVE SCENARI
    Poco probabile il maxiasteroide, le principali minacce provengono dall’umanità stessa
    di Simona Marchetti

    In apparenza, un astronomo ex presidente della Royal Society (Martin Rees), un fisico matematico di fama mondiale (Stephen Hawking), uno scienziato (Robert May), un filosofo (Huw Price), un economista (Partha Dasgupta) e un genetista (George Church) potrebbero passare per un gruppo alquanto improbabile di supereroi pronti a salvare il mondo. Eppure è proprio questo l’obiettivo del Cambridge Centre for the Study of Existential Risk (Cser), un progetto ancora alla fase embrionale (è stato fondato con il contributo iniziale di Jaan Tallinn, co-fondatore di Skype, ma si stanno cercando altri investitori) che ha riunito 27 fra le più brillanti menti accademiche di Oxford, Imperial College, Harvard e Berkeley, allo scopo di stilare un elenco stile «giorno del giudizio» degli eventi catastrofici che potrebbero rappresentare una minaccia per l’umanità, nonché portare all’estinzione della stessa.
    NOI SIAMO LA NOSTRA MINACCIA – E l’elenco dei disastri è da kolossal hollywoodiano, anche se in questo caso il lieto fine non è detto che ci sia, perché nel corso dei secoli la specie umana ci ha messo anche tanto del suo per complicarsi la vita. «Anche se il pericolo di un annientamento nucleare o di un gigantesco asteroide è concreto, siamo convinti che le principali minacce per l’uomo arrivino da lui stesso piuttosto che dalla natura», ha spiegato Lord Rees al British Science Festival all’Università di Newcastle, «e che nei prossimi decenni si potrebbero perciò profilare eventi all’apparenza poco probabili, ma dagli effetti catastrofici. Ecco perché abbiamo deciso di dare vita a questo progetto, nato con l’intento di stilare un registro il più possibile completo dei rischi esistenziali che sta correndo il mondo moderno e al tempo stesso lavorare per trovare il modo di respingere le minacce più credibili e garantire così la sopravvivenza del genere umano».
    ASTEROIDE POCO PROBABILE – Insomma, come si legge anche nel manifesto programmatico del gruppo, è la tecnologia, nonché la crescente dipendenza dell’umanità dalla stessa, a preoccupare maggiormente gli studiosi. «Gli asteroidi che s’infrangono sulla Terra sono una minaccia reale», ha confermato lo statistico David Spiegelhalter, un altro dei 27, «ma nella realtà c’è ben poco che possiamo fare per prevenire un simile evento. Quello di cui invece siamo poco consapevoli sono i pericoli derivanti dalla tecnologia. Oggi infatti usiamo sistemi interconnessi per qualunque cosa e questo rende la nostra società più vulnerabile nel caso in cui tali sistemi funzionino male o vengano sabotati per scopi terroristici».
    GLI SCENARI – Questi i nove possibili scenari apocalittici evidenziati dagli studiosi:
    1 – tecnologia intelligente: una rete di computer potrebbe sviluppare una mente propria e usare così le risorse per i propri scopi, a spese dei bisogni dell’umanità
    2 – attacchi informatici: il mondo moderno è basato e si gestisce grazie a un sistema d’interconnessioni e se queste dovessero collassare a causa di un attacco terroristico, la paralisi sarebbe totale
    3 – bioterrorismo: se un supervirus o un batterio per il quale non c’è antidoto sfuggisse al controllo di un laboratorio o venisse rilasciato dai terroristi, porterebbe alla morte di milioni di persone
    4 – sabotaggio dell’approvvigionamento alimentare: oggi non si tende più a fare scorte di cibo e se ci fossero problemi alle reti che controllano la distribuzione degli alimenti, scoppierebbero tumulti nel giro di 48 ore
    5 – condizioni climatiche: la Terra sta continuando a riscaldarsi e gli esperti temono che presto si arriverà al punto di non ritorno, con conseguenze facilmente immaginabili e catastrofiche
    6 – pandemie: i viaggi aerei sempre più frequenti rischiano di scatenare una rapida diffusione di nuovi virus-killer, mutati dagli animali, che possono spazzare via milioni di persone prima che venga scoperto un vaccino per fermarli
    7 – guerra: la crescita demografica ha messo in pericolo le risorse di cibo e acqua e così nei prossimi decenni le nazioni andranno in guerra per difenderle o conquistarle
    8 – apocalisse nucleare: le nazioni che dispongono della bomba atomica lanciano attacchi mirati, che possono comportare milioni di perdite umane. Un altro pericolo è rappresentato dal fatto che le testate nucleari possano finire nelle mani di terroristi
    9 – impatto di un asteroide: un gigantesco asteroide è ritenuto responsabile dell’estinzione dei dinosauri sulla Terra e anche il genere umano potrebbe fare la stessa fine
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    La notizia è riportata anche da «Repubblica», QUI.

  22. «La Stampa», 16 settembre 2013, QUI

    LE “SCIE CHIMICHE”. LA LEGGENDA DI UNA BUFALA
    In una foto scattata dallo spazio le tracce delle scie di condensazione degli aerei nei cieli del Portogallo. Come una storia inventata da due truffatori americani nel 1997, per colpa dell’irrazionalità e dell’antiscienza, è diventata un articolo di fede
    di Silvia Bencivelli

    È una bufala volante, che percorre i nostri cieli da più di quindici anni. Una bufala minacciosa, che parla di sostanze chimiche rilasciate tra le nuvole da misteriosi aeroplani scuri, per avvelenare l’aria e provocare, addirittura, genocidi. Eppure è una bufala di cui sappiamo tutto, vita, morte e miracoli: da quando fu lanciata su internet da una maldestra banda del buco, a tutte le volte che è stata smentita al di là di ogni dubbio sensato. È la storia delle cosiddette scie chimiche, rilanciata su internet con la caparbia irragionevolezza dei complottisti e la complicità (ingenua?) dei politici di mezzo mondo. Oggi continua a spaventare, probabilmente ad arricchire qualcuno, e sicuramente a far sghignazzare molti altri. Ma, come tutte le bufale che si rispettino, ha una storia lunga e istruttiva.
    Il padre delle scie chimiche si chiamava Richard Finke: non era uno scienziato, né un esperto di aeronautica, non aveva nessuna competenza in ambito di spionaggio. Però si mise in società con un certo Larry Wayne Harris che aveva aperto un’ambiziosa ditta di consulenza contro gli attacchi terroristici (la LWH Consulting). Era il 1997: i due, per farsi pubblicità, cominciarono a spammare email in cui annunciavano l’imminenza di un attacco. Ma le cose andarono male, il batterio della peste bubbonica non si fece vedere, e i due non si procurarono clienti. Fu così che Finke passò al contrattacco e scrisse a una mailing list sul bioterrorismo la seguente mail (questa è la versione riportata dal giornalista cacciabufale, o debunker, Jay Reynolds): “
    Il direttore di Aqua-tech Environmental… rivela oggi di aver trovato 1,2-dibromoetano (una sostanza molto tossica e cancerogena, ndr) in campioni di acqua… raccolti da contadini di Maryland e Pennsylvania. … La sostanza sembra essere mescolata al carburante degli aerei e dispersa costantemente nei nostri cieli. Le linee che riempiono i nostri cieli non sono scie di condensazione: vengono disperse e possono durare ore, rilasciando lentamente il flagello”. Il titolo, in perfetto stile complottardo, era scritto in maiuscolo, cominciava con Genocide on a wholesale (genocidio all’ingrosso) e conteneva la bellezza di cinque punti esclamativi su quindici parole.
    La bufala cominciò così a volare. Finché nel 1999 non trovò una legittimazione mediatica in un programma radiofonico dedicato a complotti e ufologia,
    Coast to Coast AM di Art Bell, grazie a William Thomas, un giornalista americano che tuttora ha un sito internet sulle chemtrails (cioè le scie avvelenate) e tuttora scrive libri sul tema. La sua homepage lancia oggi skyder alert: il primo social network per appassionati di scie chimiche che può essere scaricato sugli smartphone e permette di inviare foto del cielo solcato da strisce bianche direttamente ai propri politici di riferimento.
    Sì, perché le principali prove dell’esistenza del fenomeno sono, al momento, fotografie del cielo. Cieli azzurri o grigi, di campagna o di città, su cui si vedono coppie di strisce bianche che si allargano poi si dissolvono in fiocchi o in strie, che si intrecciano e si confondono fra loro. Solo con una rapida ricerca su internet se ne trovano a centinaia, forse migliaia, sono state scattate in tutto il mondo dai fautori della cospirazione aerea internazionale. Ci sono poi le fotografie dei velivoli che le rilascerebbero e, in Italia, dei cosiddetti elicotteri neri: secondo gli esperti di fotografia, sono solo foto controluce di normali elicotteri. Ma per i seguaci del complotto sarebbero strumenti del grande progetto di diffusione delle scie chimiche, che di volta in volta controllerebbero il territorio o disperderebbero le sostanze tossiche.
    Del resto, si scopre che esisterebbero anche aerei bianchi, deputati a spruzzare sostanze tossiche ad alta quota. Per gli esperti di aeronautica, bella scoperta: quasi tutte le livree degli aerei sono bianche, soprattutto sulla pancia, e tutte, viste dal basso, soprattutto in condizioni di aria umida, ai nostri occhi appaiono più chiare di quanto non siano e perdono i dettagli. Infatti, guarda caso, aerei bianchi ed elicotteri neri non avrebbero finestrini. Volendo esagerare, tra le varianti più bizzarre della teoria si deve anche segnalare la presenza di aerei invisibili, dei quali ovviamente non esistono foto, e talvolta addirittura di scie chimiche invisibili.
    Nella loro versione tradizionale, però, le scie chimiche vere e proprie sarebbero bianche e si riconoscerebbero dalle normali scie di condensazione degli aerei perché più spesse, più durature e genericamente insolite e sospette. Sarebbero anche recenti, cose degli ultimi vent’anni, a dispetto di documenti fotografici risalenti alla guerra civile spagnola e alla seconda guerra mondiale che mostrano il cielo striato dalle tracce dei bombardieri.
    Oltre a Jay Reynolds, anche i debunker nostrani del Cicap, come Simone Angioni, chimico dell’università di Pavia, si sono messi a dare spiegazioni. In sostanza la sintesi è questa: “
    l’atmosfera è un fluido non omogeneo, in continuo mescolamento, e le condizioni di temperatura, umidità e pressione variano anche nel giro di poche decine di metri, come variano i forti venti di quelle altitudini”. Per cui il gas di scarico degli aerei forma scie di condensazione che non hanno sempre lo stesso aspetto e la stessa durata. “In generale, perché si formino ci vogliono temperature basse, quindi l’aereo deve trovarsi ad alta quota”. Ma quanto alta? “Dipende”. E, comunque, è impossibile misurare l’altezza di un aereo a occhio, o con strumenti grossolani, qui da terra.
    Poi c’è la questione del contenuto delle scie chimiche: di che cosa sarebbero fatte? Di un sacco di cose. “
    Dal bario ai virus, da nanoparticelle a strani vaccini, da pesticidi tossici a misteriosi protozoi, fino a Ogm alieni”, spiega Angioni. Alcuni siti portano a sostegno della teoria analisi chimiche condotte su campioni di terra, di acqua, di materiali biologici, raccolti sotto la scia, in verticale, come se le polveri cadessero per terra, da dieci chilometri di altezza, giù a piombo. Molte di queste analisi riferiscono di concentrazioni di elementi chimici come il silicio, il bario e l’alluminio in linea con la normale presenza di questi elementi nel suolo terrestre. Per qualcuno, di recente, c’è anche il sospetto di un complotto internazionale per indurre modifiche climatiche con microparticelle metalliche o cose simili, che nasce dalla confusione con esperimenti veri, e pubblici, di modifica di microcondizioni climatiche. Ma in sostanza, niente di dimostrato e niente, alla fine, di veramente spaventoso. Solo una bufala che vola.
    Eppure, si contano innumerevoli interrogazioni parlamentari che l’hanno sollevata, anche in Italia (l’ultima nel dicembre 2012 e la penultima nel 2011, presentata dall’onorevole Domenico Scilipoti), e poi trasmissioni televisive come Voyager e radio generalmente dedicate ad altri tipi di temi che non la scienza, come Radio Deejay. “
    Non è un vero business – precisa Angioni – piuttosto serve ad avere l’attenzione dei media e del pubblico, fino alla prima serata in tv”.
    Altrettanti sono stati i relativi chiarimenti emessi dagli organi tecnici e scientifici, nell’inane sforzo di far fuori la bufala. Ci si è messo anche il debunker Paolo Attivissimo, che sul suo sito pone un legittimo dubbio: chi sarebbe tanto fesso da distribuire agenti tossici in aria, attraverso scie bianche in campo azzurro (quando di notte le stesse sarebbero invisibili) pur sapendo che, oltre alle sue vittime, anche lui stesso li respirerebbe?
    Nonostante tutto, la bufala delle scie chimiche continua a viaggiare indisturbata. Perché? Secondo Angioni, per una ragione molto umana: “
    la convinzione di essere i salvatori del mondo è appagante, soprattutto se si può diventare eroi restando comodamente seduti alla propria scrivania. Mentre rivedere le proprie convinzioni significa tornare alla dura realtà. Così molti preferiscono rimanere nel mondo delle cospirazioni globali”. Quello in cui le bufale volano, per esempio.

  23. Ancora scienza e fine del mondo. Dopo gli esperti di Cambridge (un paio di commenti più sopra), ecco quel che profetizza il geologo Kurt Lambeck sul futuro («tra millenni») del territorio italiano:

    «Ansa», 20 settembre 2013, QUI

    ADDIO STIVALE, L’ITALIA DESTINATA A CAMBIARE
    Il caratteristico profilo della penisola ha i millenni contati…

    Addio caro Stivale, il caratteristico profilo geografico del Bel Paese ha infatti i millenni contati: l’innalzamento dei mari unito ai movimenti geologici porteranno inevitabilmente a modificare la conformazione dell’Italia. Lo ha spiegato il geologo Kurt Lambeck, vincitore del Premio Balzan 2012 e ospite all’Accademia Nazionale dei Lincei.
    “Le linee di costa – ha spiegato Lambeck – dell’Italia, come di tutte le altre terre emerse, sono destinate a cambiare. E’ impossibile fare previsioni temporali ma è evidente che alcune zone del Nord Italia sono destinate ad essere sommerse mentre alcune zone del Sud ad emergere ulteriormente”.
    Si tratta di movimenti lentissimi che non si osservano in pochi anni ma che basta tornare indietro di pochi millenni e appaiono in tutta la loro evidenza. “Basti osservare – ha proseguito Lambeck – alcune costruzioni romane, realizzante prevalentemente per la pesca, che oggi si trovano sotto il livello del mare oppure al ponte di terra che univa Sicilia e Calabria appena 20.000 anni fa“.
    Il cambiamento dello Stivale non sarà però dovuto solo all’innalzamento dei mari ma anche a fenomeni geologici che possono avere un andamento opposto. Ospite a Roma nell’ambito di una collaborazione tra l’Accademia dei Lincei e la Fondazione Balzan, Lambeck ha ricevuto il premio per le scienza della terra in particolare per i contributi dati dal geologo olandese per la comprensione degli meccanismi dell’innalzamento dei mari e le conseguenze climatiche.
    Non è necessario creare allarmismi ingiustificati – ha concluso Lambeck – ma bisogna avere maggiore coscienza dei cambiamenti climatici in atto. Ciò che sta avvenendo sembrerebbe essere una ‘novità’ e dobbiamo esserne tutti più consapevoli, politici, ricercatori e cittadini, e cercare di capire quali decisioni vadano prese”
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  26. “Daily Wired”, 15 novembre 2013, QUI

    TUTTE LE BUFALE SUI TERREMOTI
    L’ultimo profeta è Luke Thomas, che guarda a caso non ha alcuna base scientifica. I terremoti non si possono prevedere, ma in Rete saltano fuori le ipotesi più strane. Dal fracking fino a Haarp
    di Lorenzo Mannella

    Fasi lunari, temperatura dell’acqua e comportamento degli animali: dietro alle previsioni sismiche sfornate in Florida da Luke Thomas c’è di tutto. Sul suo QuakePrediction si vedono paginate di tabelle con percentuali di rischio terremoto altissime. Tanto per fare un esempio, l’11 novembre a Pescara c’era il 100% di possibilità. In matematica, si capisce, significa evento certo. Ma non è successo nulla, proprio perché la teoria di Thomas è una accozzaglia di bufale pazzesca. I media statunitensi hanno sbugiardato il sismologo fai-da-te già nel 2010, ma l’onda dei suoi falsi allarmi non si è ancora fermata.
    Perché crediamo a persone come Thomas? Le catastrofi naturali – come il tifone Haiyan nelle Filippine – hanno effetti ben visibili sul nostro pianeta, ma non sempre sono anticipabili. Per tutto quello che accade in atmosfera esistono le previsioni dei super computer, ma sotto la crosta terrestre non c’è modello che tenga. I terremoti accadono tutti i giorni e noi non possiamo affidarci alla sfera di cristallo. Piuttosto, diamo uno sguardo alle pratiche di prevenzione sul sito della Protezione Civile e diffidiamo di chi offre rivelazioni confezionate in casa.

    Il fracking in Emilia-Romagna
    Nel maggio 2012 diverse scosse di terremoto colpiscono l’Emilia e insieme alle notizie sui soccorsi saltano fuori ipotesi da complotto sulle cause scatenanti dell’evento naturale. In rete circola subito la bufala del fracking, per cui l’omonima tecnica di estrazione petrolifera tramite iniezione sotterranea di fluidi avrebbe causato il sisma. Tutto perché nella provincia di Modena pendeva la realizzazione di un progetto – già ampiamente contestato – di un impianto di stoccaggio del gas. Il bello è che a volte anche sui quotidiani si fanno ipotesi sulla pericolosità del fracking superficiale. Se però andate a scaricarvi i dati sui terremoti dell’ultimo mese negli Usa, troverete che su più di 1.000 sismi con magnitudo 2,5 o maggiore, solo una quarantina sono avvenuti a meno di 5 chilometri di profondità.

    Il nemico numero uno: Haarp
    Come fai a trasformare le antenne di Haarp – una installazione di ricerca civile e militare – in un’arma da cattivo di James Bond? Semplice, ci costruisci sopra una serie di bufale apocalittiche del tutto campate in aria. Fatevi un giro sul blog di Gianni Lannes e traete le dovute conclusioni. Ora, il problema è che secondo i complottisti, Haarp sarebbe anche responsabile dei terremoti che hanno colpito la Toscana nel giugno 2013. Lannes dixit, e molti blog e siti non hanno tardato a rilanciare l’allarme. Per la cronaca: le onde radio emesse dalla macchina diabolica hanno una potenza ridicola se paragonata a quella necessaria per scatenare un terremoto. Il Cicap ha fatto i calcoli qui, e il bello è che Haarp ha pure chiuso i battenti nel maggio 2013. E ora non dite che è solo una mossa di copertura.

    Non si possono prevedere i terremoti
    È successo all’Aquila con le allerte lanciate da Giampaolo Giuliani e i suoi macchinari fatti in casa per leggere la concentrazione di radon fuoriuscito dal sottosuolo. Semplicemente, i modelli attendibili non funzionano così. Lo stesso vale per i modelli statistici, anche quelli tirati fuori dalle Università. Un caso è definire le mappe di rischio sismico, un altro è sostenere di avere un algoritmo che può prevedere i terremoti. Succede a Trieste, dove un gruppo di ricerca sostiene di avere sviluppato un modello in grado di indicare la probabilità di un sisma nel breve periodo conducendo calcoli sulla base di dati storici. A posteriori, quando intere città sono crollate, è facile illudersi di aver trovato correlazioni geniali. Non è cattiva fede, forse solo cattiva suggestione.

    Gli sciacalli
    Più le voci sulla previsione di un terremoto si diffondono in città, più gli abitanti rischiano di essere presi d’assalto da persone senza scrupoli. Dopo il sisma dell’Aquila del 6 aprile 2009, gruppi di sciacalli hanno diffuso sms fasulli spacciandosi per funzionari di Protezione Civile. I messaggi annunciavano nuove imminenti scosse e invitavano la popolazione a fuggire. Un espediente progettato con l’unico scopo di saccheggiare eventuali case abbandonate. La psicosi da falso allarme si è estesa fino a Roma, dove un gruppo di folli ha fatto il giro del quartiere Prati a bordo di un’auto con false insegne della Protezione Civile. Attraverso un megafono, incitavano le persone a lasciare le abitazioni in vista di una imminente scossa. Per fortuna qualcuno del posto ha capito che la cosa puzzava.

    L’apocalisse a Roma
    L’11 maggio 2011 la città eterna era condannata a cadere a causa di un terremoto catastrofico. Non è un film, ma la previsione circolata in Rete alla vigilia del fantomatico disastro. Tutto perché qualcuno ha distorto i lavori di un controverso personaggio del passato, Raffaele Bendandi. Per lui era l’influenza degli astri a causare i movimenti della crosta terrestre: segui i pianeti e la Luna in cielo e in qualche modo riesci a spiegare i grandi sismi. Peccato che i terremoti siano eventi assai comuni anche in Italia – in media la terra trema due volte al giorno sotto la capitale – e qualsiasi previsione altro non è che una semplice coincidenza
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  27. A proposito di Fukushima, qualche scienziato ha avanzato l’ipotesi di «evacuare l’emisfero nord della Terra e spostarsi tutti a sud dell’equatore». Ecco come il discorso apocalittico, nella sua finta e urlata preoccupazione, riesce a ridicolizzare un problema grave. In questo caso, però, quel che mi colpisce è l’idea che si possa disporre degli spazi altrui (il sud del mondo) come e quando si vuole.
    “ArticoloTre”, gennaio 2014: QUI.

    E comunque, vorrei davvero vederlo: ve li immaginate Bossi e Fini (e gli altri “difensori di frontiere”) profughi in Burundi o in Uruguay a causa delle radiazioni nucleari nell’emisfero boreale?

    Comunque, ne aveva già scritto “Megachip” il 16 settembre 2013: QUI.

  28. AGGIORNAMENTO del 19 gennaio 2014:
    Una galleria fotografica di “La Repubblica” (a cura di Ivano Pasqualino) riporta delle finte prime pagine di importanti quotidiani realizzate dal website “Buzzfeed.com”, il quale «ha provato a immaginare il modo in cui i giornali racconterebbero un eventuale Apocalisse nel 2014. Ogni testata presenta una diversa prima pagina in base al proprio taglio editoriale. Il sito infatti, usando fantasia ed ironia, accentua al massimo lo stile di ogni giornale nell’ipotesi di dover descrivere invasioni di zombie e cadute di asteroidi. A sorpresa spuntano anche i selfie degli zombie pubblicati su Instagram con l’hashtag #undeadselfies».

    Clicca sull’immagine per accedere alla galleria di “Repubblica”.

    • Non si tratta di una bufala, né di uno scenario apocalittico. E’ giusto un esercizio proposto dal website “Cracked.com“, il quale “ha chiesto ai lettori di inviare immagini sul tema “Che cosa succederebbe se i cellulari scomparissero all’improvviso” (alcuni l’hanno interpretata nella variante: “Se non fossero mai esistiti”). Prima conseguenza: dovremmo mandare gli sms via telegramma“. Ne riferisce il “Corriere della Sera” con una galleria fotografica (43 immagini) a cura di Paolo Ottolina (12 febbraio 2014).

  29. “L’Espresso”, 11 febbraio 2014, QUI (l’articolo originale è ricco di link)

    LA STORIA DELL’ARTE ABOLITA PER SEMPRE E LE ALTRE BUFALE DEL WEB
    Non ci sono anticorpi che tengano: la rete è attraversata ogni giorno da notizie false che diventano vere solo grazie alle centinaia di migliaia di “like” che ricevono. Storie verosimili o paradossali a cui crediamo perché ci arrivano da amici o conoscenti. E che siamo pronti a condividere prima ancora di aver letto cosa dicono. La spiegazione di un esperto
    di Francesca Sironi

    Gatti in bottiglia, Snowden su Twitter e la storia dell’arte abolita per sempre dai programmi scolastici. Le bufale che nascono e si diffondono in rete sono verosimili, attraenti e soprattutto ubiquitarie: capaci di propagarsi in un attimo e ritrovarsi velocemente copiate e incollate su centinaia di siti web. Fino a diventare, per forza di condivisione, vere a tutti gli effetti. Il fenomeno non è nuovo, ma gli anticorpi, a quanto pare, ancora carenti. Lo dimostra lo scandalo “Vermeer in classe” nato, cresciuto e scomparso dalla rete negli ultimi giorni.
    L’epicentro risale al 5 febbraio: un blogger lancia una campagna online per chiedere “il ripristino della storia dell’arte nei programmi scolastici” . A scatenare la sua indignazione sarebbe stata la bocciatura, in commissione Cultura della Camera, di un emendamento presentato da una deputata di Sel (Celestina Costantino, che nel post in questione diventa “Celeste Costantino”) che introduceva le richieste sottoscritte da oltre 18mila cittadini e intellettuali in un appello presentato dall’associazione Italia Nostra .
    L’appello, di cui anche “l’Espresso” si era occupato , non partiva però dal rischio che la storia dell’arte scomparisse per sempre dai corsi scolastici, quanto dalla – comunque grave – riduzione di spazio che l’argomento aveva avuto con l’entrata in vigore dei drastici tagli imposti dalla riforma dell’ex ministro Mariastella Gelmini. Dopo l’articolo de “l’Espresso” la stessa Maria Chiara Carrozza, ministro dell’Istruzione, aveva twittato il suo impegno personale per far sì che le ore venissero reintegrate.
    Il 30 ottobre, nel frattempo, arriva la proposta di Sel: rimettere in sesto subito le ore dedicate a Rembrandt e Canova. E la bocciatura: non c’è copertura finanziaria. Un caso che si ripropone con i toni dello scandalo a mesi di distanza, dopo la campagna del blogger, ripreso da testate online, quotidiani, pagine Facebook e siti web specializzati, mentre alcuni esponenti del Partito Democratico cercano di ribadire il fatto che ci sarebbe in discussione “un monitoraggio completo degli effetti della riforma Gelmini per riordinare le classi e riparare agli errori passato”.
    Insomma: la notizia era una semi-bufala, che è arrivata però a 350mila “like” su Facebook e oltre 1900 tweet. Come? Grazie a un paio di dati, un titolo ad effetto, (“Abolita la storia dell’Arte in Italia”), tre fotomontaggi ironici e una “proposta d’azione” alla fine del testo: aderire alla protesta. «Sono proprio i tre elementi chiave di un classico “meme”, ovvero di un elemento che si prepara a diventare virale sul web, vero o falso che sia», spiega Giovanni Boccia Artieri, professore ordinario di sociologia dei new media all’università Carlo Bo di Urbino. Il “meme” è un fenomeno neutrale, può essere un articolo serio, uno scoop, ma anche una frottola, come in questo caso e come in molti altri, segnalati ormai quasi quotidianamente da siti web “specializzati” come “bufaleuntantoalchilo”.
    Ma allora perché le mozzarelle avariate funzionano ancora così bene, in rete, nonostante le centinaia di esempi che testate come ilPost mettono all’indice da tempo? «Perché la veridicità di un messaggio viene data dal contesto», spiega Boccia Artieri: «Se io vedo i miei amici su Facebook condividere una notizia, la ritengo affidabile, perché i miei amici lo sono. Dimenticando però che spesso possiamo avere una rete di connessioni molto più vasta di quella reale, e quindi che la comunicazione che avviene nel nostro “stream” sia in qualche modo incontrollabile. Non importa, il ragionamento è istintivo: Facebook sono i miei amici. Dei miei amici ho fiducia. Per cui ci credo e condivido io stesso. Anche se è una balla stratosferica». Ma una volta letto il testo non ci si accorge dell’errore? «I link nella maggior parte dei casi non vengono nemmeno aperti», risponde il professore: «Diversi studi hanno dimostrato che la condivisione può essere spesso superiore alla lettura: dico “Mi Piace” o ripubblico una notizia solo per quel poco che ho potuto capire dal titolo e dalle due righe di presentazione. È la fonte che ne legittima il senso: non serve niente di più».
    Così, di rete di amici in rete di amici, la fandonia vola e guadagna audience e consensi. Fino a diventare una “doppia notizia”, come la definisce Boccia Artieri, anche per i giornali, che sulla verifica delle proprie fonti dovrebbero – in teoria – esercitare un dovere professionale: «Se una vicenda riceve una condivisione forsennata, diventa notiziabile, soltanto per il fatto di essere molto diffusa. Ma nel momento in cui racconto “il caso”, “il boom”, “il fenomeno”, informo anche del contenuto, ovviamente, amplificandolo». La fonte, così, scompare: troppo indietro nel web-spazio per poter ricostruire il primo step della catena. «A volte rischiamo anche di sbagliare completamente l’interpretazione di un fatto per via della distanza dal suo contesto originario», continua il sociologo: «Penso al caso della morte di Fidel Castro: il meme era nato su Twitter, ma ad opera di alcuni account sudamericani noti per la loro vena comica e ironica, e in un giorno che era una sorta di “primo d’aprile” locale. Ma entrata in circolazione la notizia ha perso i suo connotati e riprodotta in altri ambiti ha creato il caos».
    Se un falso viaggia poi in forma fotografica, e non solo testuale, la sua possibilità di essere ripreso, creduto, amplificato aumenta, «Perché la potenza di verità dell’immagine è tale che metterla in discussione è ancora più difficile». Il caso-scuola è quello dei “Gatti bonsai”, una gigantesca menzogna che però era riuscita a far scatenare i più sinceri animalisti. E per finire la rassegna non potevano mancare i Fake, account falsi di persone vere, come il profilo twitter di Edward Snowden che era riuscito a ingannare Ansa, la Stampa, Il Fatto Quotidiano e Repubblica.
    Non esistono quindi anticorpi? «Esistono, ma andrebbero insegnati», sostiene Boccia Artieri: «Le buone prassi sono semplici: avere una lista di “amici” prudenti e verificare i messaggi che arrivano da altre voci. Fare ricerche incrociate. Cercare di risalire sempre alla prima fonte del meme. Ma questi strumenti andrebbero insegnati a scuola, dovrebbero diventare un patrimonio comune. Io insegno alle matricole come trovare in rete contenuti: pensiamo che i ragazzi siano capaci, ma non è così. Si fermano alla prima pagina di Google, prendono per vera la prima fonte, si fanno poche domande. Non c’è orientamento. Come dalle elementari ci viene insegnato a scomporre un testo letterario, ad analizzarlo, metterlo in un contesto, comprendere il suo significato, così ci dovrebbe essere insegnato a smontare e approfondire i contenuti in rete. Finché non introdurremo questi temi nelle scuole gli utenti del web resteranno delle esche fin troppo facili da abbindolare»
    .

  30. “Wired”, 20 marzo 2014, QUI

    PERCHE’ GLI ITALIANI CREDONO ALLE BUFALE SU FACEBOOK
    di Fabio Chiusi

    «Ieri il Senato della Repubblica ha approvato con 257 voti a favore e 165 astenuti», si leggeva in un post divenuto virale su Facebook qualche tempo fa (35 mila condivisioni in meno di un mese), «il disegno di legge del senatore Cirenga che prevede la nascita del fondo per i “parlamentari in crisi” creato in vista dell’imminente fine legislatura». Il presunto «fondo» avrebbe dovuto prevedere lo «stanziamento di 134 miliardi di euro da destinarsi a tutti i deputati che non troveranno lavoro nell’anno successivo alla fine del mandato». Conclusione: «Rifletti e fai girare». Inverosimile? Certo, visto che si tratta di una evidente bufala, e sarebbe bastato contare i presunti voti per capire che non combaciano con il numero dei senatori. E del resto, il senatore Cirenga nemmeno esiste – anche se ha una pagina Facebook.
    Ma allora perché così tanti utenti di Facebook ci sono cascati? Un gruppo di ricercatori delle Università di Lucca, Lione e della Northeastern di Boston ha cercato di inquadrare il ruolo e le dinamiche delle bufale diffuse da troll sul social network di Mark Zuckerberg proprio a partire dall’esperienza del dibattito online durante le ultime elezioni politiche italiane. Analizzando un campione di 2,3 milioni di individui distribuiti in 50 pagine Facebook divise in tre categorie – media ‘mainstream’, pagine di informazione alternativa e di attivismo politico – tra il 1 settembre 2012 e il 28 febbraio 2013, gli studiosi sono giunti a diverse conclusioni interessanti.
    La più sorprendente riguarda il rapporto tra verità e menzogna nel dibattito pubblico su Facebook: a scambiare più spesso la satira e le bufale diffuse dai troll politici per fatti sono i lettori che frequentano maggiormente le pagine di «controinformazione». Ovvero, proprio quelli più critici dei media tradizionali; che li ritengono cioè più corrotti, manipolati e incapaci di dare notizie affidabili. «Abbiamo scoperto», si legge nella ricerca intitolata ‘Collective Attention in the Age of (Mis)Information’ (pdf), «che la maggior parte degli utenti che interagiscono con i memi prodotti dai troll è composta principalmente da utenti che interagiscono con le pagine di informazione alternativa».
    Non solo. Nello studio, proseguono Luca Rossi, Walter Quattrociocchi e colleghi, «mostriamo che i pattern dell’attenzione sono simili di fronte a contenuti diversi nonostante la differente natura qualitativa delle informazioni, il che significa che le affermazioni prive di fondamento si diffondono quanto le informazioni verificate». I dibattiti scaturiti da ogni singolo post, misurati dalla distanza temporale tra il primo e l’ultimo commento, non fanno eccezione: permangono allo stesso modo «indipendentemente dal fatto che l’argomento sia il prodotto di una fonte ufficiale o meno».
    Insomma, nel campione studiato le interazioni sociali sono complesse: «diverse culture coesistono, ciascuno in competizione per l’attenzione degli utenti». Il punto è che la diffusa scarsa considerazione delle notizie prodotte dai media tradizionali fa sì che «ogni tipo di processo di persuasione» sia «molto difficile, anche se basato su informazioni più affidabili». Il dibattito prodottosi in rete durante le ultime elezioni, in altre parole, si è sviluppato a prescindere dalla bontà delle notizie sulla cui base gli utenti hanno discusso. È questo il danno prodotto a partire dal cattivo giornalismo, e perpetuato da un’opinione pubblica incapace di fare lo sforzo per separarlo dal buon giornalismo.
    Se il World Economic Forum del 2013 ha sottolineato che «la disinformazione digitale di massa» è «uno dei principali rischi per la società moderna», come si legge all’inizio del paper, i ricercatori tra le conclusioni confermano, aggiungendoci un vero e proprio allarme: «I risultati del nostro studio segnalano un pericolo concreto, dato che più il numero di affermazioni prive di fondamento in circolazione è elevato, più utenti saranno tratti in inganno nella selezione dei contenuti». Perché in rete, certo, è possibile reperire – accanto alla bufala – ripetute segnalazioni del suo essere bufala. Ma se i lettori non fanno lo sforzo per capire la differenza, l’esito non pare molto diverso dalla situazione prodotta dai precedenti mezzi di comunicazione, di gran lunga meno interattivi e aperti a refutazione.
    Da parte sua, il fantomatico senatore Cirenga reagisce sulla propria pagina Facebook: «Continua questa indegna campagna di disinformazione basata su questo articolo pseudo-scientifico che parla della mia presunta non-esistenza», scrive. «Prego tutti i miei elettori passati, presenti e futuri di non lasciarsi influenzare dalle maldicerie della propaganda e di continuare a votarmi». Se i ricercatori hanno ragione, qualcuno l’avrà perfino preso sul serio
    .

  31. “La Stampa”, 22 marzo 2014, QUI

    Bufale online
    IL POTERE DELLA (DIS)INFORMAZIONE NELL’ERA DELLA GRANDE CREDULITA’
    Ricerca: in Rete sempre più difficile distinguere tra notizie reali e menzogne
    di Walter Quattrociocchi e Gianni Riotta

    Tra le notizie recenti che, magari, vi sono sfuggite potrebbe esserci la legge approvata dal Senato su proposta del senatore Cirenga: 134 miliardi di euro per trovare un posto di lavoro ai parlamentari non rieletti. La Camera Alta della Repubblica ha stanziato la cifra con 257 voti a favore e 165 astensioni. Come capirete, in questa stagione di corruzione politica e sdegno popolare contro i privilegi della «casta» l’improvvida iniziativa del senatore Cirenga ha sollevato online, nel cosiddetto «popolo del web», un’ondata di proteste. In oltre 36 mila condividono l’appello per denunciare Cirenga, la sua pagina Facebook, con tanto di foto, è consultata con irritazione, peccato però che non ci si accorga – Google sta lì per questo – che nessun senatore si chiama Cirenga, che il sito del Senato non reca notizia della legge, che la somma dei voti è 422, mentre i senatori son 315 (più i senatori a vita). 134 miliardi di euro sono un decimo circa del Prodotto interno italiano, cassaforte eccessiva perfino per l’ingordigia dominante.
    Perché in tanti abboccano a una notizia palesemente falsa, «una bufala» in gergo, come mai la Rete diffonde e discute sui siti un’ovvia finzione, come si informano online gli utenti e come distinguono tra testate con un controllo professionale dei testi e homepage dove invece ciascuno posta quel che gli aggrada senza controlli?
    Secondo una ricerca 2014 del World Economic Forum, curata dalla professoressa Farida Vis dell’Università di Sheffield, tra i dieci pericoli maggiori del nostro tempo c’è «la diffusione di false notizie», capaci di disorientare il dibattito politico dai temi reali, la Borsa e i mercati dall’economia concreta e sviare l’opinione pubblica su miti come l’Aids non legato all’Hiv, i vaccini che diffondono autismo, le scie chimiche degli aerei seminatrici di morte. Come dunque individuare le fonti inquinate dell’informazione e chi sono i cittadini più esposti alle fole?
    Se lo chiede un team di studiosi della Northeastern University di Boston, dell’Università di Lione e del Laboratory of Computational Social Science (CSSLab) del Centro Alti Studi Imt di Lucca (Delia Mocanu, Luca Rossi, Qian Zhang, Màrton Karsai, Walter Quattrociocchi) in una ricerca dal titolo rivelatore: «Collective Attention in the Age of (Mis)information», l’attenzione collettiva nell’età della (dis)informazione (http://goo.gl/6TxVfz).
    Dai risultati, purtroppo, si evince che l’attenzione pubblica è scarsa e la disinformazione potente al punto che spesso è considerata dai cittadini pari all’informazione classica. Per molti utenti della Rete il tempo dedicato ai miti e quello speso analizzando i fatti si equivalgono. Chi comincia a bazzicare siti dove complotti, false notizie e deformazioni vengono creati in serie, rapidamente si assuefà e perde senso critico. Lo studio conferma una delle caratteristiche più infide del nostro tempo online: su testate satiriche o forum aperti, i «trolls», utenti anonimi che diffondono battutacce, menzogne, grossolane e comiche esagerazioni, vengono spesso equivocati per fonti autorevoli e il loro teatrino scambiato per realtà.
    Un esempio recente, quando la voce dell’enciclopedia Wikipedia relativa al filosofo Manlio Sgalambro è ritoccata nelle ore della sua morte, rendendo l’austero studioso «autore di “Madama Doré” e “Fra Martino Campanaro”». All’assurda «trollata» credono persone comuni e autorevoli testate.
    Lo studio ha seguito oltre 2.300.000 persone su social media come Facebook durante la campagna elettorale politica italiana del 2013 e i risultati negano la tesi popolare dell’«intelligenza collettiva» che animerebbe la Rete, provando invece l’esistenza di un iceberg grigio di «credulità collettiva». I seguaci delle «teorie del complotto» credono che il mondo sia controllato da persone, o organizzazioni, onnipotenti, e interpretano ogni smentita alle proprie opinioni come una manovra occulta degli avversari.
    La ricerca prova come la dinamica sociale di Facebook, mischiando in modo apparentemente neutrale vero e falso, finisca per affermare le menzogne sulle verità. Gli attivisti online via Facebook evitano di confrontarsi con fonti che contraddicono le loro versioni, persuasi che spargano falsità per interessi spregevoli. Il dibattito langue, le versioni diverse non trovano una sintesi, i «trolls» spacciano sarcasmi per notizie.
    Preoccupazione suscita la par condicio online tra fonti prive di autenticità e siti professionali, chi cerca informazioni finisce per dedicare la stessa attenzione a bufale tipo «Senatore Cirenga» e alla vera riforma del Senato, spesa pubblica, governo.
    «Ex falso sequitur quodlibet» è massima della logica tradizionale, attribuita spesso al filosofo Duns Scoto, ma in realtà di autore ignoto: da premesse fasulle potete far derivare sia proposizioni «vere» che «false», con la terribile conseguenza di non potere distinguere bugie e realtà. Il web, dimostra la ricerca sulla (Dis)informazione, può trasformarsi in guazzabuglio «Quodlibet» alla Cirenga. E un cittadino, quando si avvia per la strada dei miti online, tende a perdersi nel labirinto delle bugie: chi è disposto a comprare la bubbola dell’Aids che non deriva dal virus Hiv, deduce poi che l’Aids è stato creato dal governo americano per decimare gli afro-americani, e così via via per l’11 settembre, il Club Bilderberg che controlla l’economia mondiale, le scie chimiche: date uno sguardo al web, edicole e talk show

  32. “ComUnità”, 31 marzo 2014, QUI

    IL 1° APRILE, LA FABBRICA DELLE BUFALE
    di Leonardo Tondelli

    Qualche giorno fa un parlamentare – non ha importanza di che partito – ha esordito un discorso col memorabile sfondone Sarò breve e circonciso, reso celebre (credo) da Diego Abatantuono in Eccezziunale veramente. La gaffe è stata coperta dagli organi di stampa con molta più attenzione di quanta non meritasse, mettiamo, l’Accordo Commerciale Transatlantico. Ne riparlo soltanto perché oggi è il primo aprile, e molti lo celebreranno pubblicando qualche bufala pescata in giro. È una tradizione ormai antica, e forse meno inutile di quanto sembri: un’occasione per esercitare la nostra capacità di distinguere il falso dal vero, e per identificare chi tra i nostri Amici o Contatti non ne è in grado: sono quelli che oggi rilanceranno la bufala più smaccata senza accorgersene. E tuttavia.
    E tuttavia proprio qualche giorno fa leggevo da qualche parte uno studio(*) che, partendo dall’impressionante mole di dati che mettiamo su internet, cercava di dimostrare da dove nascono le teorie del complotto. È una domanda interessante, anche perché chi se la pone rischia di ricadere nei confini della sua stessa ricerca (non si tratterà per caso di un complotto?)
    Lo studio in questione ovviamente non commetteva quest’errore, anzi difendeva un’ipotesi affascinante: i complotti nascerebbero dai malintesi. Ogni tanto qualcuno su internet scrive una storia smaccatamente falsa, volutamente paradossale (ad esempio un popolo rettile extraterrestre ha invaso la terra secoli fa e si nasconde tra noi); qualcuno la legge, la apprezza, la segnala ai suoi contatti; la storia si propaga finché non incontra esponenti di quella minoranza statistica che non riesce a capire la differenza tra cronaca e fiction. Purtroppo sono più di quelli che crediamo, e se a loro manca il senso critico, non fa difetto l’energia per indignarsi e trasmettere la loro indignazione: una volta arrivata fino a loro, la storia si spoglia di tutti quei tratti che ci consentivano di identificarla immediatamente come finzionale, e viene irradiata sotto forma di storia vera, da condividere con chi non crede alla realtà ufficiale!!1!
    Per intenderci: se oggi Jonathan Swift pubblicasse Una modesta proposta, tra qualche mese qualcuno su internet comincerebbe a parlare di un complotto di massoni irlandesi infanticidi e antropofagi. L’informazione arriverebbe a loro in modo talmente indiretto che sarebbero incapaci di riconoscere la fonte originaria anche se gliela mettessimo sotto il naso: costretti a leggere il testo di Swift, direbbero che beh, sì, è chiaro che Swift scherza, ma… sta soltanto coprendo qualcuno che i bambini li vuole cucinare lo stesso, ne ho sentito parlare su facebook.
    Non so se le cose vadano sempre così, ma in certi casi mi è capitato di assistere a qualcosa di simile. C’è un gruppo cospicuo di persone, su internet, convinto che ai concessionari di slot machine sia stata “scontata” una multa di cento miliardi. Questa multa non esiste: chiunque può controllare; è vero che per una serie di infrazioni riscontrate la procura aveva quantificato un danno di 98 miliardi, ma alla fine la Corte dei Conti ha inflitto multe per 2,9 miliardi (poi ulteriormente ridotte a 600 milioni). A un certo punto qualcuno – un giornalista, probabilmente – ha iniziato a chiamare la differenza tra i 98 miliardi inizialmente richiesti della procura e i tre miliardi della sentenza uno “sconto”. È soltanto un modo di dire, che identifica un certo atteggiamento nei confronti della giustizia (l’assunzione acritica del punto di vista dell’accusa); una definizione insidiosa, perché gli “sconti di pena” esistono e sono una cosa ben diversa. È triste constatarlo, ma molti lettori non sono equipaggiati per capire la differenza. Hanno letto “sconto” e hanno capito: sconto. Da cui la legittima domanda: chi è che sconta le multe per cento miliardi? Perché già che c’è non ci sconta le cartelle equitalia? Segue l’ondata di indignazione, cavalcata con molta sapienza, tra gli altri, da Grillo e dal Fatto Quotidiano.
    In questo caso nessuno si è inventato niente: è stato sufficiente distribuire una metafora a un pubblico che non sa leggere tra le righe. Purtroppo è un pubblico un po’ più folto di quanto non crediamo noi irradiatori di messaggi scritti, già frustrati dalla consapevolezza di poter comunicare soltanto col 53% dei nostri compatrioti in grado di leggere e scrivere. Stima fin troppo ottimistica, che include ancora quella percentuale che leggere sa, ma non tra le righe. Un disagio linguistico che forse non abbiamo ancora studiato abbastanza: la condizione di chi, per esempio, non è in grado di decodificare i messaggi ambigui o ironici, per limiti cognitivi o culturali. La situazione in cui negli USA, al varo di un progetto sanitario denominato Children’s Health Insurance Program (CHIP), qualche voce critica lo ha magari scherzosamente definito intrusivo come un vero e proprio “chip” da iniettare sottopelle, e qualcun altro ci ha creduto – e dopo qualche anno anche questa leggenda è sbarcata nel parlamento italiano.
    Qualcosa di analogo può essere capitato allo sventurato parlamentare “breve e circonciso” – ammesso che non si tratti di un più banale lapsus. Un bel giorno, tanti anni fa, Diego Abatantuono o chi per lui inventa un gioco di parole, fondato peraltro sull’idea che il termine “circonciso” sia di uso abbastanza comune: se non sai cosa vuol dire non è divertente. Per molto tempo il gioco di parole rimane davvero divertente: milioni di fruitori lo citano alla noia. Molto presto probabilmente smette di essere divertente in quanto tale e diventa divertente in quanto citazione. Il che significa purtroppo che molti non ridono più per la battuta ma perché ridono gli altri (è la cosiddetta “soglia Ricci”, che i miei coetanei riconoscono perché divideva quelli che ridevano alla prima puntata di ogni stagione di Drive In da quelli che ridevano dalla seconda in poi; la differenza tra chi trova divertente una battuta e chi trova divertente un ritornello). Trent’anni dopo l’espressione è di uso talmente comune da potersi quasi definire una polirematica: sicché può capitare che la ripeta acriticamente anche chi non conosce il senso di “circonciso”. Questa gente vive tra noi: cerca di leggere gli stessi quotidiani e siti che leggiamo noi, ma non è un caso che si incazzi di più, o che rida più sguaiatamente alle battute, proprio come chi intuitivamente cerca di mascherare la sua incapacità di capirle.
    Questa gente esiste, e oggi pubblicherà contenuti ridicoli, esponendosi al pubblico ludibrio. La questione però è molto meno divertente di quel che sembra, e forse dovrebbe stimolare un dibattito sull’atteggiamento di chi divulga notizie in rete: quanto è giusto usare l’ironia in un contesto in cui il 20% non la capisce? È chiaro che chi sta qui per far satira continuerà a farla, ma chi invece si veste di una relativa serietà fino a che punto può permettersi di usare un linguaggio figurato? Anche chi accusa Napolitano di golpe probabilmente all’inizio stava scherzando; se dopo qualche mese però si trova costretto a chiedere un procedimento di impeachment, è evidente che qualcosa sta sfuggendo di mano pure a lui. Disseminare storie false su internet è un passatempo che con gli anni mi sembra sempre meno divertente e sempre più pericoloso. È pieno di bambini, qui, e in generale di gente che si beve troppe cose. Oltre a ridere di loro, bisognerebbe preoccuparsi di fornire a loro anche qualche strumento.

    (*) La cosa buffa è che non la trovo più. L’ho letta più di una settimana fa e google non mi aiuta. Possibile che me la sia inventata? Al massimo sarà la mia bufala del primo aprile.

  33. Pingback: La colpa dei disastri | Paesaggi vulcanici

  34. A chi giovano le bufale e le teorie del complotto? Lo spiega (con linguaggio forte e colorito) Fabrizio Leone sul blog “Gente con le PalleQuadre” in un post del 2 aprile 2014, QUI:

    COMPLOTTISTI: LE CONTRADDIZIONI E CHI GUADAGNA REALMENTE

    Ormai l’ho notato da tempo, e non credo di essere l’unico: molti non fanno altro che sbraitare su siti web, canali youtube e conferenze che ci sono “grossi interessi economici” dietro qualsiasi cosa stanno screditando, e che i media nascondono tutto, manovrati da gente potentissima e occulta che controlla l’intero pianeta. Ovviamente lo fanno per spirito protettore verso la popolazione, lo fanno per filantropia!
    Certo, lo dice anche napoleone vestito da prete che fa bungee jumping dal ponte di Brooklyn…
    Parto subito con il complottista medio, stile “losai”, “coscienza sveglia” e “scienza di confine”.
    Il complottista medio sfoggia una malcelatissima allergia a qualsiasi tipo di lavoro, e la manifesta parlando di signoraggio “lavoreremmo solo due ore al giorno” bancario, le grandi “ci rendono schiavi a vita” aziende oppure le terribili “arrivi alla pensione svuotato e senza aver vissuto” multinazionali.
    Insomma, il lavoro li infastidisce tanto che non fanno altro che sputare su grosse aziende e multinazionali, denigrando il concetto stesso di lavoro e tutto il resto, ma lo fanno intascando bei soldoni da Google (multinazionale) che mostra pubblicità di grosse aziende.
    Saranno coglioni? Di certo non da quel punto di vista, perché il complottismo rende BENE.
    Passiamo ai complottisti che millantano una censura totale e continua dei media in stile “1984” di Orwell, romanzo stuprato più volte dai nostri simpatici mentecatti del web.
    Secondo loro esiste la cura per il cancro fatta di erbette ma non lo dice nessuno (grillo docet) perché big pharma non ci guadagna. Secondo loro le malattie non esistono ma non lo dice nessuno altrimenti idem come sopra, non ci guadagnano. Secondo loro stanno irrorando con le scie chimiche e non lo dice nessuno. Secondo loro la sperimentazione animale è inutile e non lo dice nessuno perché le case farmaceutiche ci si stanno arricchendo sopra.
    Secondo me sono tutti dei gran coglioni…
    Accendi la televisione non fai altro che trovarti bombardato di stronzate del solito ciarlatano di turno.
    E parlano di scie chimiche, e parlano di complotti bancari, e parlano di alternative alla “vivisezione”, e parlano di beveroni che curano il cancro…
    Insomma, i media non fanno altro che parlare di queste stronzate che non sono mai state scientificamente provate ma continuano a parlare di “media manovrati”.
    Questa volta la risposta è si, lo sono totalmente…
    Veniamo ora ai ciarlatani, quelli che “mi hanno censurato perché o ragione svegliaaaa”.
    Ultimo caso la dottoressa comparsa nel famoso servizio delle iene, di una seguitissima emittente nazionale censurata dai poteri forti ma che mostra comunque ‘ste stronzate, che parlava del beverone di merda, vegan crudista e “alcalino” che cura il cancro.
    Ebbene, dice di essere stata licenziata e ora si sta facendo un bel tour nazionale di conferenze, biglietto di ingresso 180 euro.
    Ora, a parte il fatto che se sei veramente un filantropo non ti fai pagare tanto, a parte l’esclamare “alla faccia dei guadagni delle case farmaceutiche”, qua c’è da sottolineare una cosa: non è stata licenziata.
    E’ una bufala messa in giro da lei stessa per far presa sui coglioni che credono al complotto.
    Come disse LeFou: se dici una cosa hai bisogno di una prova, ma se dici che quella cosa è stata censurata tutti ci crederanno senza chiedere prove.
    Doppia inculata signori miei, anzi forse tripla. E comunque non è impiegata, ma fa solo un lavoro di consulenza una volta ogni due settimane.
    Aggiungo anche una bella immagine sull’antivaccinista per eccellenza: wakefield

    Venne pagato 400 mila sterline (quasi mezzo milione di euro) per pubblicare la farsa sul vaccino dannoso, lo pagarono degli avvocati che cercavano una scusa per far causa all’azienda produttrice.
    La beffa?
    I dementi che vengono pascolati come caproni da complottisti e ciarlatani accusano ME, e gli altri debunker, di essere PREZZOLATI. Secondo loro io vengo pagaro per nascondere la verità.
    Qua quelli che guadagnano sono ben altri, altroche cazzi.
    Ki ti paka?
    A me nessuno, ma pare che a wakefield qualcuno lo abbia pagato profumatamente.
    Certe associazioni contro la “vivisezione” abbiano raddoppiato l’attivo di bilancio parlando di green hill.
    Certi incassano bei soldi con vendite di libri, dvd, conferenze e donazioni.
    Il giro d’affari del complottismo è talmente alto che ci hanno dedicato una trasmissione televisiva intera, ora con tanto di rivista in edicola (in un periodo in cui tante riviste storiche chiudono per via di crisi e avvento di internet a banda larga).

    Il tariffario della petris

    E faccio una domanda a te, orrido complottista: ma sei seriamente così idiota da non capire chi è che guadagna dalle cazzate che dice e prendi i debunker come mercenari nel libro paga di gente varia ed eventuale?

  35. Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini (“La Repubblica”, 9 aprile 2014, via-Associazione Luca Coscioni) spiegano perché «irrazionalità, fanatismo, emotività, tecnofobia, antimodernismo, anti-industrialismo, populismo» (in merito al caso Stamina, alla sperimentazione animale, al presunto ruolo dei vaccini nell’eziologia dell’autismo e alla ricerca e coltivazione di ogm) sono «una corda alla quale si sta impiccando il futuro di questo Paese», l’Italia. «La confusione sistematica e strumentale tra quel che si può credere, desiderare o preferire soggettivamente, e quel che si può provare o che è stato controllato e accertato oggettivamente, avrà un impatto diseducativo e destabilizzante sul piano di un presupposto culturale e civile che è da secoli il fondamento per una sana e funzionale convivenza democratica: la fiducia nelle istituzioni e quindi anche nella politica». «Manipolare i fatti è pericoloso anche perché si rischia di aizzare le deboli menti impreparate». (Si veda anche “Il Post“).

    QUELLE MISTIFICAZIONI SUGLI OGM
    di Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini

    Un filo nero o rosso se qualcuno preferisce, intrecciato di irrazionalità, fanatismo, emotività, tecnofobia, antimodernismo, anti-industrialismo, populismo, etc., collega il caso Stamina, la propaganda politica che ha portato al recepimento restrittivo della legge sulla sperimentazione animale, le sentenze e le indagini sul presunto ruolo dei vaccini nell’eziologia dell’autismo e l’azione politica e legislativa contro la ricerca e la coltivazione di ogm.
    Si tratta di una corda alla quale si sta impiccando il futuro di questo Paese. Perché i problemi che verranno non saranno causati tanto dagli effetti immediati di decisioni irresponsabili, ma da quelli a medio termine prodotti dalla manipolazione dei fatti accertati e accertabili. Manipolazioni a cui troppe volte una stampa culturalmente impreparata sul fronte scientifico presta ascolto. La confusione sistematica e strumentale tra quel che si può credere, desiderare o preferire soggettivamente, e quel che si può provare o che è stato controllato e accertato oggettivamente, avrà un impatto diseducativo e destabilizzante sul piano di un presupposto culturale e civile che è da secoli il fondamento per una sana e funzionale convivenza democratica: la fiducia nelle istituzioni e quindi anche nella politica Si voleva trasformare l’ Italia in una meta di turismo delle staminali, cioè far fiorire cliniche e protocolli per somministrare pseudocure fantasiose che costano decine di migliaia di euro? Bastava dirlo apertamente, anche se sarebbe stato difficile farlo passare. Non è peri eticamente e medicalmente tollerabile che, in assenza di prove, si proponga la somministrazione di staminali, anche se fossero prodotte da veri medici e non da un professore di lettere, come cura consolidata per molte malattie.
    Checché dicano le sentenze di alcuni giudici che prescrivono i ‘trattamenti Stamina”. Cosi come il vaccino trivalente non causa l’autismo, checché ne pensi qualche giudice capace di andare contro montagne di fatti e buon senso, per deragliare e sconfinare in attribuzioni che non gli si addicono. E ancora. Amiamodi più gli animali non umani dei bambini, dei malati o degli anziani? Lo si dica pubblicamente—equalcuno che magari non ha figli o è insensibile alle sofferenze umane lo dice—che sono uguali agli uomini. Ma non ci s’inventi che i ricercatori “fanno vivisezione e che la sperimentazione animale non serve, o che esistono alternative per trovare nuove cure o migliorare quelle esistenti per gravi malattie, tra cui Parkinson, Alzheimer, etc. Perché noi queste cose le studiamo e conosciamo davvero, sappiamo come si progredisce nello studio di gravissime patologie e conosciamo le precauzioni nell’uso di animali. Si pensa che alcuni imprenditori più capaci di catturare le “credenze popolari” godano di maggiori diritti economici di altri e che coloro i quali coltivano credenze ingenue sul cibo ne sappiano di più o siano più affidabili di chi conosce la biochimica dell’alimentazione o la genetica molecolare delle piante? Anche in questo caso lo si dica apertamente. Chiedendo per esempio che invece di pagare ricercatori e docenti universitari che studiano e insegnano genetica, si affidi agli astrologi, agli omeopati o ai teosofi la formazione dei nostri agronomi, dei medici, e di coloro che poi entreranno nel circuito produttivo di innovazione industriale per partecipare alla crescita economica del Paese. Sarebbe più onesto, invece di sostenere che gli ogm sono dannosi per l’ambiente e mettono a rischio la sicurezza alimentare.
    Tout court e acriticamente. Anche perché larga parte dei prodotti derivati da piante come la soia e importati in Europa, tra cui i mangimi che nutrono gli animali da cui si ottengono i prodotti Dop, sono ogm. Ovvero, in Italia non si possono produrre mais e soia ogm per fare mangimi economicamente competitivi rispetto a quelli ogm ipocritamente importati da Argentina, Brasile, etc. penalizzando l’agricoltura italiana. Un documento pubblicato l’anno scorso dall’European Academies Science Advisory Council — di cui è parte anche l’Accademia dei Lincei—sullesfidee le opportunità della piante geneticamente migliorate dice esplicitamente che gli ogm non sono dannosi per l’ambiente e non attentano alla sicurezza alimentare. In esso si dice che utilizzati tenendo conto delle esigenze ecologiche e delle caratteristiche della tecnologia, le biotecnologie genetiche possono ridurre l’impatto ambientale dell’ agricoltura, limitando l’erosione dei terreni e riducendo l’uso di pesticidi ed erbicidi, ovvero consentendo di sviluppare miglioramenti genetici mirati secondo diverse esigenze locali. Manipolare i fatti è pericoloso anche perché si rischia di aizzare le deboli menti impreparate. Perché non si permette in Italia di continuare almeno a fare ricerca sugli ogm? E perché non si possono adattare, e rendere anche più efficaci se lo si ritiene necessario, i metodi che già esistono per evitare le temute contaminazioni da ogm, consentendo così agli agricoltori che lo chiedono di coltivare questi nuovi prodotti?

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    Giulio Finotti (blog “Dai diamanti non nasce niente”, su “L’Espresso”, 9 aprile 2014), a proposito di bufale, pone l’accento su «cosa produce o rischia di generare questo sistema di pseudo-informazione, che per aumentare i profitti, inietta nella rete informazioni false, spesso inventate di sana pianta, che continuano ad essere poi diffuse anche per anni». Se ci rifacciamo ai soli website di news, la ragione per cui si producono e/o si diffondono notizie false «non può che essere quella legata al marketing virale. Si creano appositamente contenuti dal potenziale virale, ovvero che hanno un’alta probabilità di essere condivisi e diffusi attraverso gli stessi utenti sul web, al solo scopo di generare traffico. Anche se poi la notizia può essere smentita in un secondo momento, l’effetto è ormai ottenuto». Il problema, però, è a lungo termine: «cosa produrrà una tale massa di informazioni false? […] Penso alla sostituzione della realtà che viene effettuata, forse spesso inconsapevolmente (chissà) attraverso queste operazioni. [E’ così che pian piano si crea] il nostro universo percettivo. Come vediamo il mondo, che idea abbiamo di ciò che ci circonda».

    TUTTA LA VERITA’ SULL’AEREO DELLA CIA ABBATTUTO CON VIRUS A BORDO
    di Giulio Finotti

    Qualche mattina fa ci siamo svegliati con la notizia di un aereo della CIA abbattuto dalla Cina. Aereo che trasportava un virus da spruzzare nei cieli di ignare popolazioni che ne avrebbero subito i nefasti effetti.
    Si tratta dell’ultima bufala in ordine di tempo (ma la velocità di internet potrebbe far sì che mentre scrivo questo post, altre nuove bufale siano già in circolo sulle bacheche di migliaia di persone).

    Bufale. Non è la prima e non sarà l’ultima. Purtroppo
    Quello che mi ha spinto a scrivere questo post è stato una telefonata ricevuta oggi, di un caro amico, giornalista, che mi chiamava per manifestarmi il suo stupore e la sua preoccupazione per una discussione ascoltata al bar poco prima, in cui si parlava proprio del presunto aereo della CIA e del suo carico malefico. Secondo i frequentatori del bar, sarebbe tutto un complotto delle multinazionali farmaceutiche, allo scopo di far ammalare le popolazioni e, di conseguenza, produrre vaccini.
    Ho già accennato in un altro post, alla questione della disinformazione, intesa in quel caso come una teoria (o una convinzione) diffusa in rete, secondo la quale il sistema dei media mainstream sarebbe più o meno controllato e organizzato per diffondere menzogne, ingannare la popolazione o tenerla all’oscuro di fatti e informazioni importanti.
    In quel post accennavo anche alla pratica diffusa su internet di richiami e titoli urlati e sensazionalistici, in cui si chiede agli stessi utenti di diffondere il contenuto, per il bene della democrazia, perché “non lo leggerete sui giornali”, o “perché i tg non ve lo diranno”. Una tecnica che definivo tra il marketing e il giornalismo. Spesso utilizzata per portare più visitatori su una determinata pagina e generare così traffico e di conseguenza profitti.

    Produttori di bufale e giornali che non verificano
    In questo caso vorrei porre l’accento su cosa produce o rischia di generare questo sistema di pseudo-informazione, che per aumentare i profitti, inietta nella rete informazioni false, spesso inventate di sana pianta, che continuano ad essere poi diffuse anche per anni.
    Intanto bisogna fare una distinzione, tra quelli che producono queste notizie-bufala e, quelli che le riprendono in buona fede, o comunque senza verificare le fonti o che la notizia sia vera. Purtroppo, tendenza questa che si sta verificando anche su testate di informazione vere e proprie, regolarmente registrate come tali presso i Tribunali di competenza.

    Secondo le prime bufale che mi vengono in mente:
    – i Rom sarebbero esentati dal fare il biglietto sui mezzi pubblici per una decisione del governo
    – per chi si sposa entro il 2015 sarebbero pronti 25mila euro di incentivi da parte della Comunità Europea
    – sarebbe stato clonato un dinosauro a Liverpool
    – esisterebbe un fondo per trovare lavoro ai parlamentari non rieletti
    – l’insegnamento della storia dell’arte in Italia sarebbe stato abolito
    – in Cina farebbero crescere i gatti in barattoli di vetro per farli restare di piccole dimensioni

    Sono solo alcune, non le più famose probabilmente, ma che credo diano il senso di ciò di cui stiamo parlando.
    Notizie che senza alcun fondamento vengono diffuse in rete e circolano sulle bacheche di migliaia di persone.

    La prima domanda è: perché?
    Se escludiamo i siti cospirazionisti, dove vengono diffuse presunte informazioni volte ad avvalorare determinate tesi, e ci rifacciamo solo ai siti apparentemente di news, la risposta non può che essere quella legata al marketing virale.
    Si creano appositamente contenuti dal potenziale virale, ovvero che hanno un’alta probabilità di essere condivisi e diffusi attraverso gli stessi utenti sul web, al solo scopo di generare traffico. Anche se poi la notizia può essere smentita in un secondo momento, l’effetto è ormai ottenuto.
    Molti altri siti invece, non creano ad arte una notizia bufala, ma ridipingono una notizia vera, dandole altri connotati, ammantandola di un’aurea di mistero, o più spesso, condendola con un testo o con foto dal tono pruriginoso, che richiamano la curiosità più sordida dell’utente. Esempio: “Guardate cos’ha fatto in aula questa deputata”, con tanto di foto della donna in questione casomai chinata su un banco o cose del genere.

    La grande macchina della disinformazione
    Quello che mi chiedo è quanto rimarrà di tutto questo. E cosa produrrà una tale massa di informazioni false?
    Se la maggioranza degli italiani dedica poco tempo ad informarsi, leggendo spesso solo i titoli, senza avere il tempo o la voglia di verificare, o anche, senza avere spesso gli strumenti cognitivi, e non solo, per farlo, cosa produrrà questa massa di vera disinformazione?
    Siamo di fronte ad una grande macchina di disinformazione di massa che produce quotidianamente bufale ad uso e consumo di ignari cittadini che, fidandosi del fatto di aver appreso la notizia dalla bacheca facebook di un amico, o del titolo della testata che la riporta, che apparentemente è un sito di news, contribuiscono alla loro formazione di quanto accade, anche con pezzi di realtà inventata di sana pianta.
    In qualche modo mi viene in mente la macchina della propaganda di Goebbels. E penso alla sostituzione della realtà che viene effettuata, forse spesso inconsapevolmente (chissà) attraverso queste operazioni. Non credo che ogni informazione letta e diffusa su internet (così come su qualsiasi altro mezzo), sia letta dal fruitore come autenticamente vera al 100%, ma che comunque questa contribuisca a creare il nostro universo percettivo. Come vediamo il mondo, che idea abbiamo di ciò che ci circonda.
    Ma credo che il grande rischio sia quello che una quantità di informazioni false sempre più massiccio e pervasivo, difficile da controllare e verificare per gli utenti, finisca per rendere un’idea di realtà molto distorta: la discussione al bar sul perché dell’esistenza dell’aereo della CIA con armi chimiche a bordo da irrorare nei cieli… Tanto per capirci.

    C’è modo di difendersi?
    Certamente si. Alcuni accorgimenti potrebbero aiutarci a metterci in guardia su quanto stiamo per leggere. Ad esempio: se leggiamo un post che rimanda a una notizia incredibile, e una volta cliccato sul link ci ritroviamo su una pagina che ci chiede a sua volta di cliccare su un secondo link per sapere la verità, potremmo già decidere di chiudere il tutto e archiviarlo sotto la categoria “informazione non sicura”. Quello che dobbiamo chiederci è: perché se questo sito riteneva questa informazione così importante non me la mostra subito e mi fa saltare da una parte all’altra?
    Qui però non voglio fare un manuale di autodifesa dalle bufale sul web (che forse farò), ma solo porre l’attenzione sui rischi. E sulla necessità di un sistema che ci educhi e ci alfabetizzi anche nell’uso di internet come fonte di informazione. Un’alfabetizzazione che probabilmente dovrebbe partire dalle scuole. Ormai è tempo. Prima di ritrovarsi con una popolazione credulona e priva della capacità critica di lettura del mondo dell’informazione e quindi alla mercé di spietati manipolatori
    .

  36. “Vice”, 16 aprile 2014, QUI (l’articolo originale è ricco di link e di screenshot)

    IN ITALIA NON C’È NESSUNA EPIDEMIA DI EBOLA
    di Leonardo Bianchi

    Il 21 marzo 2014 il governo della Guinea ha annunciato che nel paese è in corso un’epidemia di Ebola, una malattia particolarmente letale dato che al momento non esistono cure o vaccini (il tipo più mortale, l’Ebola-Zaire, ha un tasso di mortalità pari al 90 percento).
    Stando alle agenzie di stampa, finora l’epidemia in Africa occidentale avrebbe mietuto 121 vittime. L’organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ha affermato di aver registrato un totale di 200 casi confermati o sospetti in Guinea e negli stati confinanti di Liberia e Mali. Keiji Fukuda, vice direttore generale dell’Oms, non ha nascosto la sua preoccupazione: “Si tratta di una delle epidemie più virulente con la quale ci siamo confrontati.” Le autorità sanitarie internazionali e locali, che hanno già predisposto cordoni sanitari e misure di prevenzione, non si aspettano che l’epidemia diventi globale e sottolineano che prendere l’Ebola è molto difficile, dato che serve un contatto diretto con i fluidi corporei del contagiato.
    In Italia il Ministero della Sanità non ha preso sottogamba l’epidemia in corso in Africa. Con una circolare del 4 aprile inviata a Enac, Farnesina, Regioni, Croce Rossa e Ministero della Difesa, il Ministero ha “comunicato l’attivazione di misure di vigilanza e sorveglianza nei punti di ingresso internazionali in Italia.” Nel documento si evidenzia anche la necessità di controllare gli arrivi “diretti e indiretti”, soprattutto a Lampedusa. Pietro Bartolo, coordinatore sanitario dell’isola, ha detto all’Espresso che “i migranti arrivati in questi giorni provengono in gran parte dalla Libia, e questo dovrebbe escludere la presenza di portatori del virus Ebola. Ma in ogni caso è meglio stare con gli occhi aperti perché la situazione è drammatica e non è possibile procedere all’identificazione dei migranti che arrivano.”
    Da diverse parti d’Italia stanno giungendo rassicurazioni in merito allo “sbarco” dell’epidemia nel nostro paese. Il coordinatore del centro profughi di Bolzano, ad esempio, ha dichiarato: “Sono state prese tutte le precauzioni necessarie e inoltre i profughi che vengono dai Paesi ‘a rischio’ hanno lasciato i rispettivi luoghi di nascita molto tempo prima che l’epidemia scoppiasse. L’Ebola ha un periodo d’incubazione di venti giorni. I profughi arrivati a Bolzano sono stati in viaggio per molto più tempo prima di sbarcare a Lampedusa.” Il comune di Pisa ha fatto sapere che in città, dove nei giorni scorsi sono arrivati una quarantina di migranti dall’isola, non c’è alcun “allarme Ebola”.
    E fin qui ho parlato della realtà; su Internet e sui social network, infatti, la storia è nettamente diversa. Da almeno una settimana si è scatenata una caccia all’untore in cui l’Italia viene descritta come un paese in balia totale di “clandestini” ed “extracomunitari” che spargono il virus letale. Il tutto avviene con il silenzio complice delle autorità, che tacciono sul punto per non diffondere Il Panico tra la popolazione.
    Tutto è iniziato non appena i vari siti complottari hanno rilanciato la nota del Ministero della Salute come se fosse un qualcosa di segreto, un documento che il Governo non vuole farci vedere ma che è stato scoperto grazie al fiuto paranoide. Presentandola come un bollettino dall’inferno la circolare diventa sicuramente allarmista—molto di più rispetto alle intenzioni originarie del Ministero—ma non è comunque sufficiente a sventare l’epidemia. La previsione di controlli più stringenti alle frontiere, infatti, “fa ridere, visto come viene affrontata l’invasione di clandestini.”
    L’unica misura sensata per bloccare l’Ebola è quella suggerita in un incerto italiano dalla pagina Facebook Catena Umana: “BLOCCATE GLI SBARCHI, CHIUDETE LE FRONTIERE, O TENETELI IN QUARANTENA IN MARE O VOLETE DARE LA CITTADINANZA ANCHE ALL’EBOLA?”
    Il tema delle frontiere violate dai “clandestini contagiati” è particolarmente sentito, tant’è che “persino il Marocco ha bloccato le frontiere e nessun africano può entrare.” Noi, che a differenza del Marocco siamo schiavi del “politicamente corretto”, non possiamo chiudere le Sacre Frontiere e siamo esposti all’Apocalisse. Renzi, insomma, deve muoversi prima che sia troppo tardi.
    Per qualcuno, però, è già troppo tardi. Nella lettera di un’anonima “Madre Italiana”—pubblicata su vari blog e condivisa più di 8mila volte—si avverte che “ad oggi dal 19 di marzo 2014 sono 5 le NAZIONI, ribadisco 5 Nazioni colpite da EBOLA.” La situazione è già “fuori controllo” ed è questione di attimi prima che il virus arrivi anche da noi.
    “Madre Italiana” spiega perché proprio l’Italia sia il target più appetibile: “abbiamo un servizio di taxi via mare EFFICIENTISSIMO D’ECCELLENZA, e con la DEPENALIZZAZIONE del reato di clandestinità siamo la meta più attraente del momento ora che offriamo vitto alloggio e vitalizio a chi ci porta in cambio regalini come la tubercolosi!”
    Le caratteristiche ideali per il diffondersi dell’epidemia, continua l’autrice, ci sono tutte: “i migranti viaggiano stipati uno addosso all’altro per ore in mare e lo scambio di umori in quella situazione è più facile che mai e nei centri di accoglienza idem, IN QUELLE CONDIZIONI NE BASTA UNO INFETTO per portarci alla catastrofe.” Nell’articolo c’è anche spazio per l’immancabile complotto del Big Pharma: “i laboratori di diagnosi una volta che il virus avrà preso piede in Italia, saranno inutili. A meno che qualcuno non stia VENDENDO la salute pubblica MONDIALE a qualche azienda del settore, a beh allora!!! avanti tutta mare nostrum!!!!” Con tutta evidenza, dunque, c’è “un filo [che] ci lega alla morte ma non lo si recide. ALFANO E LORENZIN FATE QUALCOSA !!”
    La politica però sembra ignorare la minaccia che viene dall’Africa. La denuncia dell’inazione parlamentare arriva da questo impagabile fotomontaggio—che ovviamente deve essere FATTO GIRARE!1 il più possibile per sventare la tragedia.
    E mentre la politica sottovaluta criminalmente la minaccia biochimica, le persone in prima linea—i poliziotti—lanciano un accorato appello da Tumblr: “I poliziotti a stretto contatto con stranieri risulterebbero i più a rischio per il contagio… e allora mi chiedo: quando partirà una profilassi per tutelare tutti i colleghi più sottoposti a rischi? Si aspettano forse i primi contagi?”
    La psicosi del contagio, secondo Vox News, avrebbe già varcato le Alpi. Un deputato dell’UDC svizzero (partito xenofobo noto per alcuni manifesti lievemente razzisti) avrebbe già chiesto di fare i controlli alla frontiere con l’Italia per tutelare la popolazione ticinese. La chiusura dell’articolo non potrebbe essere più chiara: “Se continuiamo con l’operazione Mare Nostrum, a breve, gli altri paesi europei, quelli sani di mente, ci metteranno in quarantena.”
    Il culmine di questa caccia alle streghe probabilmente è stato raggiunto due giorni fa, quando il fantomatico sito CorriereSalute ha lanciato l’angosciante notizia del primo caso di Ebola registrato a Lampedusa—notizia di cui “ancora le tv non ne parlano.”
    Questo il testo dello “scoop”: “Secondo alcune voci sul posto, alcuni individui presentano degli stati influenzali molto simili alla fase d’incubazione dell’ebola. Le autorità sanitarie insieme all’esercito stanno programmando l isolamento dell’isola in caso di contagio.Si pensa che tra altri extracomunitari sbarcati sulle coste siciliane, la possibilità di soggetti infetti e molto alta.”
    La bufala, che ha avuto più di 20mila like, è poi stata rimossa in seguito a “sollecitazione da parte della sicurezza nazionale.” Ora sul sito si specifica che “nell’isola di Lampedusa non è presente nessun contagio” e che “le forze dell’ordine e il ministero stanno vigilando 24 ore su 24.”
    L’Ebola è un virus che si presta benissimo a infiammare l’isteria complottista e causare slittamenti razzisti. I motivi sono svariati: anzitutto, non esiste una cura definitiva. Proprio per questo, mass media e cultura pop hanno usato a ripetizione l’Ebola come espediente narrativo per immaginare la fine della civiltà (soprattutto occidentale). Basta pensare a film apocalittici quali Virus letale (1995), in cui lo scenario è quello di una pandemia incontrollabile che nemmeno il governo più potente del mondo è in grado di arginare.
    L’immagine di eserciti per strada e cadaveri ammassati alla rinfusa nelle metropoli si sovrappone e si mescola alla paura più pressante dell’“invasione” di migranti, che insieme ai corpi “ingombranti” e alla cultura diversa porterebbero anche le loro malattie “esotiche”. Come si vede dagli articoli e dai post riportarti sopra, il terrore per l’Ebola—un virus con cui non si può scendere a patti—deve essere necessariamente razionalizzato, in modo da farlo incarnare in un nemico a cui addossare la colpa. E in questo caso il “clandestino”, buono per ogni stagione ed evenienza, è il perfetto caprio espiatorio.
    Insomma, il rischio che l’epidemia di Ebola raggiunga le coste italiane continua a essere molto remoto. Quello che sta accadendo nel sottobosco internettiano, tuttavia, dimostra inequivocabilmente come all’interno dei nostri confini sia in corso un’altra epidemia, ben più radicata e diffusa: quella del razzismo
    .

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    “Il Post” (16 aprile 2014) ha linkato questo articolo con le seguenti parole:

    LE BUFALE SU EBOLA IN ITALIA
    Circolano da giorni sui social network e prendono di mira soprattutto gli immigrati irregolari, come racconta Vice
    di Redazione

    Dallo scorso febbraio in Guinea è in corso un’epidemia causata dal virus ebola che ha fino a ora causato la morte di almeno 108 persone e ha fatto registrare contagi negli stati confinanti, con altre 19 morti tra Liberia e Sierra Leone. I casi finora registrati sono stati 203: il virus provoca una febbre emorragica nella maggior parte dei casi mortale. Si tratta della prima epidemia di ebola nell’Africa occidentale degli ultimi 20 anni e per questo è osservata con molta attenzione non solo dalle autorità sanitarie locali, ma anche da quelle mondiali che vogliono evitare che il virus possa diffondersi in altre zone.
    La trasmissione di ebola avviene solo attraverso il contatto con fluidi corporei, cosa che ne riduce almeno in parte la pericolosità e a oggi non c’è nessun rischio al di fuori delle zone dove si sta verificando l’epidemia. Il ministero della Salute italiano ha diffuso per precauzione una circolare a inizio aprile in cui ha comunicato l’avvio di ulteriori procedure di controllo sui flussi di persone verso il nostro paese. Nonostante ciò, da settimane sui social network circolano post e appelli molto allarmistici, dove si parla di un concreto rischio per l’Italia legato soprattutto all’immigrazione. Leonardo Bianchi ha messo insieme su Vice una ricca raccolta delle bufale che circolano online su ebola in Italia, e che forse vi sono passate davanti negli ultimi giorni su Facebook e Twitter
    .

  37. “Rivista Studio”, 29 aprile 2014, QUI

    DENTRO LA NOTIZIA (FALSA)
    Il vivacissimo ecosistema delle bufale ha trovato un habitat perfetto nei social media: c’è chi ha fiutato il business e i click e ha fatto della disinformazione la sua linea editoriale, e non solo. Il passato e il luminoso futuro delle hoax.
    di Pietro Minto

    No, non c’è nessuna nave abbandonata e infestata di ratti cannibali in avvicinamento alle coste britanniche. Justin Bieber non è mai finito in prigione e non è mai stato seviziato dal compagni di cella. Quanto a quell’hoverboard – lo skateboard volante reso noto dal film Ritorno al Futuro – non esiste veramente e non c’è nessuna azienda che lo sta sviluppando usando «tecnologia più sofisticata di quella necessaria a mandare in orbita un satellite». E no, ancora, l’Unione Europea non elargirà 1500 euro a chi ospiterà in casa una studentessa ucraina. E quel video virale in cui degli sconosciuti limonano davanti alla telecamera? Erano modelli, non sconosciuti, pagati per fingere imbarazzo.
    Tutte queste notizie hanno due caratteristiche in comune: a) si sono diffuse su Internet diventando “virali” di condivisione in condivisione; b) sono tutte false, parzialmente o del tutto. Sono bufale giornalistiche che hanno sfruttato il pruriginoso, l’inaspettato e alcune forti emozioni per dilagare, finendo per essere riprese da testate mainstream e diventare di conseguenza vere – perlomeno nella percezione del pubblico. L’hoax, la notizia-farsa, non è un prodotto dell’era digitale: ha anzi radici piuttosto profonde nella cultura umana. Nel mondo anglosassone abbraccia la tradizione dell’April’s Fool, il pesce d’aprile, fornace annuale di storie incredibili, bugie e panzane che vengono tollerate e celebrate per 24 ore. Alla base della panzana di tipo 1, quella tradizionale, c’è però lo svelamento, il momento in cui la notizia viene smentita e dichiarata falsa: si raccontano bugie, si ride un po’ e poi tutto viene messo in chiaro. Fine. Una bufala invece punta a contrastare ogni svelamento, mirando all’ambiguità; è lì, nella palude tra il vero e il falso, che trova l’habitat ideale per continuare a vivere.
    È passato alla storia il radiodramma del 1938 in cui Orson Welles lesse brani da La Guerra dei Mondi di H. G. Wells, un racconto fantascientifico, spacciandoli per resoconti giornalistici, breaking news. Il risultato fu il terrore generale e la diffusa convinzione che l’Inghilterra fosse stata attaccata dagli alieni. A metà tra lo scherzo letterario e l’esperimento radiofonico, il caso Welles non rientra propriamente nella categoria della “bufala”, che invece possiamo definire come una notizia creata per venire diffusa a uno scopo ben preciso. Negli scorsi anni, grazie anche alla viralità massiccia tipica dei social network, la bufologia è stata sfruttata anche a fini commerciali: il video dei baci tra sconosciuti era in realtà una pubblicità per una marca di vestiti; il finto hoverboard era un esperimento condotto da Funny or Die, sito umoristico co-fondato dall’attore comico Will Ferrell. Gli altri esempi sono invece notizie gonfiate o inventate di sana pianta – «all’antica» – per seminare panico o curiosità. Ci sono moltissimi motivi per raccontare una bufala ma negli ultimi anni se ne è aggiunto un altro, essenziale: i click.
    Blog, siti di news e portali di informazione si basano sulla pubblicità online, un settore in cui serve accumulare enormi numeri di visite e pagine viste per avere guadagni sufficienti a far quadrare i bilanci. Ryan Holiday è un giovanissimo media strategist americano che conosce perfettamente i meccanismi morbosi del settore e li ha usati per promuovere i marchi per cui lavorava, tra cui American Apparel. Lui sa come attirare l’attenzione dei blogger su un suo cliente, creando esche con cui ha incastrato anche testate giornalistiche prestigiose. Tutto però parte dai blog. Ne basta uno, anche di nicchia, e l’effetto valanga fa il resto: redattori e blogger sono alla costante ricerca di nuove notizie, e Holiday è lì per fornirgliele. Quando il suo cliente Tucker Max doveva promuovere il film ispirato al suo libro I Hope They Serve Beer in Hell, Holiday decise di puntare sull’odio diffuso ispirato dallo scrittore – autodefinitosi «un coglione di professione» – vandalizzando delle locandine del film e mandando le foto del fattaccio a due siti piccoli ma molto letti dalle persone giuste. Il bufalaro produsse quindi quella che Felix Salmon, esperto di media statunitense, ha definito frovocation: una provocazione falsa. Le frovocazioni hanno due caratteristiche principali: sono false; incuriosiscono milioni di persone. Come già detto, per quanto eticamente vomitevole, questa pratica rende tutti contenti, almeno superficialmente: è contento il blogger, il suo editore, chi ha inventato la bufala e chi lo ha pagato per inventarsela. È un meccanismo bulimico e autoalimentante. Funziona.
    «Da quando esistono i mass media, le persone sono state in competizione per attrarre l’attenzione del pubblico», spiega a Studio Alex Boese, curatore del sito Museum of Hoaxes, che dal 1997 raccoglie, studia e racconta le più grandi bufale della Storia. In quasi 20 anni di attività Boese è diventato uno dei maggiori esperti del settore, e lo ha visto evolversi da vicino: «Oggi chiunque può inventarsi un hoax, postarla su Twitter e raggiungere potenzialmente un pubblico di milioni di persone. Questo non succedeva nel XIX secolo e il risultato è che il numero di hoax è aumentato esponenzialmente, ne siamo bombardati di continuo. È facile, veloce, remunerativo e non è neppure così rischioso, se siete una di quelle persone che non sanno che farsene della morale: «Oggi chi pubblica bufale non ha molto da perdere, i siti internet sono strumenti facili da operare» continua l’esperto. «Nel XIX secolo, invece, gli editori evitavano di pubblicare troppe bufale per timore di perdere lettori».
    State pensando a quello che penso io? Aprire un sito, renderlo vagamente credibile con un aspetto da “giornale online” riempiendolo però di stronzate, aspettando che si compi la magia? Arrivate tardi. È già stato fatto, e con discreto successo. Foto Imbarazzanti, per esempio, è nato dalla costola di “Foto imbarazzanti feste – Italia”, un gruppo Facebook che pubblica immagini di party selvaggi e gioventù sbronza. Grazie a questo materiale ha accumulato più di 220 mila fan sul social network, una notevole base che ha sfruttato per il lancio del sito vero e proprio. Tra gli articoli proposti, una commistione di notizie assurde-ma-credibili come “Cerca una prostituta sul web e si ritrova con la fidanzata del figlio”, e prodotti di fiction come “Si laurea in filosofia e dopo 2 settimane trova lavoro. La Questura indaga”, o la bufala su Justin Bieber citata a inizio articolo. A causa del rapporto superficiale e veloce che molti utenti hanno con le notizie anche i post più improbabili possono essere presi per veri: succedono tante cose strane al mondo, dopotutto, perché non credere a queste panzane? E quindi si pigia il “like”, lo si twitta. Le condivisioni sui social network di Foto Imbarazzanti lo dimostrano – soprattutto quello dei like su Facebook, spesso sull’ordine delle decine di migliaia per articolo.
    Negli Stati Uniti succede qualcosa di simile con The Onion, noto settimanale umoristico i cui articoli vengono spesso presi sul serio anche da altri giornalisti (numerosi i precedenti, dalla Reuters al Corriere della Sera). Prendere sul serio un articolo di The Onion è un errore diffuso, un rischio calcolato per gli utenti, perché la testata usa uno stile giornalistico molto alto mascherando l’intento ironico della pubblicazione. Il sito Literally Unbelievable raccoglie post Facebook in cui utenti commentano seriamente articoli assurdi come “Il livello dei mari potrebbe alzarsi di un piede se molte persone andranno a nuotare” e “Nuovo studio sulla marijuana suggerisce che tutte le persone che conosci sono fumati e tu sarai fuori per sempre”. Aveva ragione P. T. Barnum, il creatore dei più famosi circhi della storia, quando disse: «Sarebbe qualcosa di meraviglioso per l’umanità se qualche yankee filosofico creasse un termometro in grado di misurare l’incidenza delle fandonie in qualsiasi cosa. Fandonia-metro, potrebbe chiamarlo. Sarebbe un successo». E non è un caso che sia stato proprio un genio dell’intrattenimento ad odiare le balle, le truffe, gli imbrogli, strumenti così ridicoli e potenti in grado di rubare il lavoro a chi prende certe cose sul serio.
    Da poco tempo anche il pubblico italiano ha potuto osservare il fenomeno The Onion da vicino: Lercio, un sito nato nell’ottobre 2012 come blog personale di Michele Incollu, è presto diventato la Mecca nostrana delle anti-notizie create per far ridere, non per disinformare. «La nostra intenzione non era (e non è) creare bufale, ma elaborare notizie false e divertenti (satiriche e non)», spiega a Studio Eddie Settembrini, collaboratore del sito. «Le nostre notizie sono palesemente false, nella maggior parte dei casi non è necessario nemmeno leggere l’articolo per capirlo, basta il titolo. E se alcuni lettori credono che davvero un governo possa mettere un bollo sulle carrozzine per disabili e che «…Tra le altre norme contenute nel maxi-emendamento ci sono da segnalare: la tassa sulle scarpe che superano il numero 40 perché “consumano più asfalto”, la tassa sulla scarpetta, voluta dalla lobby delle lavastoviglie, la tassa di passaggio per tutte le donne più basse di 150 cm e più pesanti di 80 chili perché assimilabili ai mini-Suv…», mi dispiace, ma non è colpa di Lercio». Ovviamente no – ma l’assenza di sense of humor può fare miracoli. Settembrini si è fatto un’idea del fenomeno: «Molte persone non leggono gli articoli e non verificano le fonti, vedono il titolo girare sulla loro bacheca e questo è di per sé sufficiente. Altri si lasciano ingannare dal taglio giornalistico del sito: “l’articolo è scritto bene, fanno nomi e cognomi quindi la notizia è vera”, pensano in molti». Molti studi hanno dimostrato la superficialità che contraddistingue la lettura degli articoli online: letture non completate, condivisioni fatte senza aver letto veramente il pezzo, un torrente continuo di informazioni delle quali abbiamo sempre meno il controllo. Un modello di business basato sulla quantità e su dei lettori poco attenti: è l’Eden delle frottole.
    Successe anche a metà dell’Ottocento negli Stati Uniti, quando gli editori pubblicavano articoli umoristici che venivano presi per veri da parte dei lettori. «Mark Twain cominciò così» continua il fondatore del Museum of Hoaxes, ricordando che «l’idea di stampare bufale per aumentare lettori è vecchia quanto la stampa commerciale», quindi è nata attorno al 1830, quando i quotidiani venduti per strada dagli strilloni cominciarono a sostituire quelli venduti per abbonamento. D’un tratto, i titoli scioccanti e curiosi divennero la base del mercato, esche buone per il cittadino indaffarato disposto a spendere un nichelino per gli ultimi croccanti aggiornamenti su una notizia morbosa. È la nascita del gossip, della cronaca nera e delle bufale giornalistiche moderne.
    Ci vuole equilibrio per destreggiarsi sulla sottile linea che divide bugia, sciocchezza e bufala. Il filosofo americano Harry Frankfurt ha dedicato alla questione un agile pamphlet, On Bullshit (Princeton University Press, 2005), nel quale ha indagato il ruolo delle stronzate nella cultura moderna, dimostrando quanto esse siano distanti dalle bugie tout court, caratterizzate da una maggiore purezza d’intenti. «Una persona mente solo se crede di sapere la verità», scrive lo studioso, mentre il bullshitter, «non sta ne dalla parte della verità né dalla parte del falso. I suoi occhi non guardano in nessun modo».
    Secondo Frankfurt, nulla è veramente cambiato: «Non c’è mai stata tanta comunicazione di qualsiasi tipo come in questi tempi, eppure la proporzione delle stronzate potrebbe non essere aumentata».
    È difficile capire se il settore si sia espanso negli ultimi anni. Qualora fosse successo, comunque, è il caso di precisare che i mass media non ne sarebbero i soli responsabili. Oggi chiunque può dire la sua – e in qualche modo, siamo tutti tenuti a dire la nostra, uno di quegli obblighi bullshit-alimentanti di cui scrive Frankfurt: «Le stronzate sono inevitabili in qualunque circostanza in cui siamo tenuti a parlare d’argomenti che non conosciamo».
    Che fare, quindi? Possiamo imparare dai nostri errori. Un consiglio? Andate su Facebook o Twitter a ripescare la diatriba La Grande Bellezza sì-La Grande Bellezza no di qualche settimana fa. Rileggete il tutto. E pentitevi
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  38. “Il Post”, 27 maggio 2014, QUI (traduzione da “Slate”)

    È TUTTO UN COMPLOTTO?
    Secondo Slate gli studi più popolari sui complottisti raccontano solo una parte del fenomeno e nessuno è davvero immune alle teorie cospirazioniste
    di Jesse Walker

    Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche in Italia, l’anno scorso, il Senato non approvò – ripeto: non approvò – nessuna legge che avrebbe distribuito 134 miliardi di euro ai parlamentari «perché potessero trovare un lavoro in caso di sconfitta elettorale». La norma era raccontata in un articolo di un giornale satirico: circolò molto online, ma non tutti quelli a cui passò davanti compresero che era una bufala. In un solo giorno circa 36mila persone firmarono una petizione contro la presunta nuova legge. Presto la storia circolò anche nelle manifestazioni di protesta contro il governo.
    L’equivoco fu notato da cinque esperti che stavano studiando il modo con cui gli utenti italiani di Facebook avevano a che fare con differenti tipi di articolo, provenienti da fonti diverse: un famoso giornale, un sito “alternativo”, quello di un attivista politico e uno noto per far circolare bufale e materiale da troll. In marzo, la rivista del MIT Technology Review si è occupata dello studio dei cinque esperti con un articolo intitolato “Una ricerca sui dati rivela in che modo le teorie complottiste nascono su Facebook“. L’articolo descriveva la storia della finta legge italiana sui 134 miliardi ai politici e il tipo di persone che ci erano cascate, concludendo l’aneddoto con la frase: «Benvenuti nel torbido mondo del complottismo».
    Fu un modo strano di etichettare la questione. La storia riguardava una finta legge che si diceva fosse passata al Senato, e non un certo piano tramato da qualche società segreta: il complottismo, in senso stretto, non c’entrava nulla. L’esteso studio riguardava la circolazione delle notizie false, a prescindere dal fatto che prevedessero o meno teorie complottiste: la parola “cospirazione” e le sue varianti lessicali compaiono solamente quattro volte in tutto lo studio. Eppure l’articolo della Technology Review non tiene conto di questa distinzione, e più avanti nel corso dell’articolo peggiora l’equivoco speculando lungamente a partire dallo studio. L’autore spiega che «le teorie complottiste sembrano circolare a partire da un processo nel quale normali commenti satirici o notizie palesemente false in qualche modo riescono a superare una certa soglia di credibilità. E questo sembra accadere a causa di gruppi di persone che si espongono volontariamente al flusso di fonti “alternative”». È evidente che quelle soglie di credibilità non siano state le sole a essere state scavalcate.
    Se la definizione di “teorie complottiste” della Technology Review è troppo ampia, altri ne hanno invece accolta una eccessivamente stretta. Nel 2013 il gruppo di ricerca PublicMind Poll della Farleigh Dickinson University, del New Jersey, concluse che il 63 per cento degli elettori registrati negli Stati Uniti «creda ad almeno una teoria complottista». I media riportarono il notevole dato con precisione, sebbene non fosse accurato di per sé: il sondaggio scoprì che il 63 per cento degli elettori credeva in almeno una «delle quattro teorie complottiate presenti nelle domande del sondaggio». Il numero degli elettori che crede in almeno una teoria complottista in generale è sicuramente molto più alto.
    Queste non sono state le uniche occasioni in cui ricercatori o giornalisti che si occupano dell’argomento hanno compiuto questo errore. Per decenni, gli psicologi e i sociologi hanno studiato le teorie complottiste e le persone che le sposano. Sono stati scoperti un sacco di casi interessanti, e alcune teorie notevoli sono state avanzate in seguito a questi studi. Ma spesso hanno incontrato un problema: il mondo e il contesto che studiano è differente da quello a cui credono i complottisti.
    Le teorie complottiste dispongono di diverse figure notevoli. Nel libro Gli Stati Uniti della Paranoia, una mia ricerca sulla storia della cultura paranoica americana, ho diviso i presunti cospiratori in cinque categorie. C’è “il nemico che sta fuori”, una forza aliena che vive appena al confine con la comunità umana; “il nemico è fra noi” composto da persone difficilmente riconoscibili; “il nemico che sta in alto”, che cioè fa le sue cose dall’alto della scala sociale; infine, ci sono il “nemico dal basso”, quello cioè che sta tramando all’interno della classe proletaria, e il Benevolo Cospiratore (che quindi non può nemmeno essere considerato un “nemico”).
    È superfluo ricordarlo, ma questo non è l’unico criterio possibile per ordinare le storie complottiste. Nella pratica questi cinque tipi si prestano spesso a una sorta di sovrapposizione: il “nemico da fuori”, per esempio, può essere accusato di tramare assieme al “nemico dal basso”, cosa che accadde quando negli anni Sessanta vari e autorevoli americani accusarono il blocco delle nazioni comuniste di fomentare le rivolte urbane. Ma almeno questa distinzione è utile, perché tiene dentro moltissimi esempi del passato.
    Negli studi di questo tipo, ad ogni modo, le storie sul “nemico che sta in alto” tendono a essere la maggioranza. E questo può in qualche modo distorcere i risultati: quando i ricercatori traggono conclusioni sulla gente particolarmente incline a credere alle teorie complottiste, potrebbero intendere quelli particolarmente inclini a un certo tipo di teorie.
    A volte questo errore è palesemente esplicitato. Nel 2010, il sociologo Ted Goertzel scrisse un articolo per EMBO Reports, un magazine di biologia molecolare, nel quale spiegava che la logica complottista tende a «mettere in discussione tutto ciò che è “istituzionale”, sia che si tratti di governi sia di scienziati». Come prova, adduceva il fatto che la “Rough Guide” sul complottismo della casa editrice Penguin Random House parlava di teorie riguardo «elite politiche, religiose, militari, diplomatiche ed economiche».
    Ma gli stessi ambienti istituzionali hanno le proprie teorie complottiste, anche se la “Rough Guide” le ha ignorate. In momenti della storia in cui alcune vicende generano tensione sociale, la prassi dei vari governi e dei media dare la colpa a vari capri espiatori, spesso con un’accezione complottista (la “caccia alle streghe”), riguardo a crisi reali o immaginarie. Gli esempi vanno dalla preoccupazione di una nuova “schiavitù bianca” di un secolo fa, oppure quando si credeva che un esteso sindacato internazionale stesse arruolando migliaia di ragazze in una specie di industria della prostituzione. Oppure l’allarme riguardo il satanismo negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, quando politici, magistrati, giudici e giornalisti erano convinti che gruppi di persone che adoravano Satana stavano molestando ed uccidendo bambini. Spesso le teorie complottiste delle persone relativamente poco potenti sono bilanciate da altrettante e speculari teorie complottiste da parte di un ristretto e potente gruppo di persone. Nello stesso periodo storico in cui gli schiavi neri erano convinti che i medici bianchi stessero complottando per rapirli e dissezionarli, i latifondisti bianchi erano periodicamente afflitti dal terrore che gli schiavi stessero segretamente organizzando una rivoluzione.
    Tenendo a mente tutto questo, esaminiamo la letteratura accademica riguardo chi crede alle teorie complottiste. Nel 1992 Goertzel fece un sondaggio fra 348 abitanti del New Jersey riguardo dieci teorie complottiste che circolavano all’epoca. Ben sette di queste erano sul “nemico che sta in alto” e parlavano del fatto che il governo fosse coinvolto nell’omicidio di Martin Luther King, oppure stesse diffondendo l’AIDS, oppure avesse coperto le attività di organismi extraterrestri oppure stesse danneggiando l’interesse pubblico in altri modi. Altre due – una riguardo l’omicidio di John F. Kennedy – potevano sulla carta assumere la forma del “nemico che sta in alto”, mentre una sola non era con certezza una teoria sul “nemico che sta in alto”: quella riguardo al fatto che i giapponesi stessero cospirando per distruggere l’economia americana (era una delle più popolari: ci credeva il 46 per cento degli intervistati).
    Questo non vuol dire che i dati di Goertzel siano inutili o che non abbia prodotto uno studio interessante. Ma quando scrive, per esempio, che i complottisti hanno qualcosa a che fare con l’illegalità e alla disoccupazione, ha davvero individuato due tratti caratteristici di queste persone? O ha semplicemente chiesto a persone che sperimentano illegalità e disoccupazione cosa ne pensavano riguardo teorie complottiste a cui hanno maggiori possibilità di credere?
    Goertzel spiegava inoltre che «le persone che credono in una particolare teoria complottista sono più inclini a credere alle altre». Quest’idea è diventata una specie di stereotipo, nella letteratura: come hanno scritto Michael Wood, Karen Douglas e Robbie Sutton in uno studio del 2012 per il magazine Social Psychological and Personality Sciences, “la scoperta più notevole in uno studio sulla psicologia delle teorie complottiste è che le persone che credono in una di esse sono particolarmente inclini a credere alle altre – anche a quelle che non c’entrano nulla con la prima”. È anche diventato una componente molto frequenti degli articoli scientifici “pop” sul tema apparsi per esempio su Newsweek o su Bloomberg.
    A spanne, è un’idea plausibile: tutti siamo capaci di pensieri complottisti, e alcuni individui più degli altri. Ma è vero che queste persone sono inclini a credere a tutte le teorie complottiste, o sono sensibili solo a quelle di un certo tipo?
    Analizziamo uno studio del 2013 degli psicologi inglesi Robert Brother, Cristopher French e Alan Pickering. I partecipanti a un sondaggio effettuato dagli studiosi hanno detto la loro riguardo 59 teorie complottiste. La lista era stata compilata per rivelare un esteso e generico interesse nelle teorie complottiste, piuttosto che riguardo specifici eventi (l’11 settembre) o nemici (la CIA). Il numero di domande era inoltre sufficiente a dividerle in categorie: c’erano vicende riguardo il malfunzionamento del governo, gli alieni, società segrete internazionali, intrusioni nella libertà e salute personali, controllo sull’informazione. In breve, uno degli studi più completi sul tema. Anche in esso, però, la maggior parte delle teorie riguardava il “nemico che sta in alto”, e le risposte erano scritte in una maniera per cui i partecipanti potevano scegliere per il ruolo del cattivo o un “nemico che sta in alto” o una sua variante. Per esempio: “alcune delle persone ritenute responsabili per alcuni atti di terrorismo erano state messe lì dai mandanti, i veri responsabili”.
    Oppure consideriamo lo studio di altri due psicologi inglesi, Patrick Leman e Marco Cinnirella, pubblicato nella rivista Frontiers in Psychology l’anno scorso. In esso, l’attitudine cospiratrice delle persone coinvolte era determinata dalla risposta, che poteva essere graduale, alla “credenza in una teoria complottista”. Ce n’erano sei, delle quali cinque riguardavano il “nemico che sta in alto”. L’altra – “l’Unione Europea sta cercando di prendere il controllo del Regno Unito” – è del tipo “nemico che sta fuori”, ma i suoi sostenitori credono che le elite inglesi sostengano questo piano.
    I diversi tipi di teorie incluse negli studi, inoltre, può spiegare perché talvolta possono dare risultati completamente diversi riguardo chi crede alle teorie complottiste. Uno studio del 1999, per esempio, chiedeva conto di teorie complottiste non solo riguardo il governo, ma anche su società segrete sioniste, terroristi infiltrati e la mafia. Trovò un legame fra teorie complottiste e atteggiamenti autoritari. Un’altra ricerca, usando una diversa lista di teorie complottiste, scoprì invece che i complottasti tendevano ad avere forti valori democratici unito a disprezzo per l’autorità. Sembra che in generale non sia facile applicare teorie generiche a un gruppo di persone esteso come quello dei complottisti.
    Arrivati a questo punto, immagino che qualche lettore sia pronto per gridare una cosa tipo “E CHE MI DICI DELLE TEORIE COMPLOTTISTE CHE SONO VERE?”. È possibile che qualcuno di questi lettori abbia già mollato l’articolo e sia andato qui sotto, nella pagina dei commenti, a scrivere questa cosa. Che è un’osservazione corretta, fra l’altro: alcuni teorie complottiste sono vere. La parola “complottare” si trova nel dizionario per una ragione. E questo aggiunge ulteriori complicazioni riguardo la definizione di “chi” crede a queste cose.
    Molti di questi studi, a dire il vero, sollevano la questione, spiegando che alcuni complotti sono davvero esistiti e che non è completamente irrazionale credere in essi. L’articolo di Goertzel ne parla estesamente, spiegando inoltre come distinguere una teoria complottista possibile da una implausibile. L’anno scorso, in un numero magazine PSYPAG Quarterly dedicato alla psicologia di chi crede nelle teorie complottiste, Brotherton scrisse un articolo riguardo all’utilizzo della definizione stessa di “teoria complottista”, notando che non l’usiamo mai – per esempio – per descrivere l’attacco dell’11 settembre. Una teoria complottista, suggerisce Brotherton, ormai non è semplicemente una teoria che invoca un complotto; è una «contestazione non verificata di un complotto che non è assolutamente la più plausibile, e che sottintende implicazioni e temi sensazionalistici. In aggiunta, la contestazione racconterà di sinistri e competenti cospiratori. Infine, sarà basata su prove fragili ed epistemologicamente a prova di contestatori». È una definizione più limitata di quella che darei io – e apre tutta una nuova riflessione riguardo quali teorie possono essere incluse in uno studio e quali no – ma ha il vantaggio di chiarire esattamente cosa stanno indagando i ricercatori.
    Eppure qualcosa non torna, a escludere teorie complottiste che si sono poi rivelate vere. Nel 2014 il Journal of the American Medical Association ha pubblicato un sondaggio e ha chiesto ad alcuni americani cosa ne pensano riguardo alcune teorie a tema medico. Ci sono cose tipo “La CIA ha deliberatamente infettato un esteso numero di afro-americani con il virus dell’HIV tramite presunte vaccinazioni contro l’epatite” e “Gli alti dirigenti del settore medico-sanitario sanno che i cellulari causano il cancro ma non stanno facendo nulla a riguardo perché le grandi multinazionali non glielo permettono”. I ricercatori hanno concluso che “il complottismo si lega a un uso più esteso di medicina alternativa e di sottrazione alle terapie tradizionali”.
    È uno studio solido e rispettabile. Eppure mi chiedo cosa sarebbe successo se la domanda del sondaggio avesse incluso tra le informazioni questi tre fatti:
    – Come parte di un esperimento per il controllo della mente, la CIA somministrò LSD a soggetti che non avevano accettato volontariamente di farlo; il programma è continuato anche dopo aver causato malattie e decessi.
    – Con uno stratagemma durato quarant’anni, il servizio sanitario americano ha detto a centinaia di agricoltori neri che avrebbe fornito loro copertura sanitaria gratis. In realtà avevano la sifilide: invece che informarli della cosa, continuarono a non curare la malattia per fare degli studi e scoprire se il virus interessasse neri e bianchi in modo diverso.
    – Per circa quindici anni alcuni scienziati utilizzarono una scuola di New York per lo studio di una cura per l’epatite: erano soliti infettare i porcellini d’india presenti nelle classi per poi cercare una cura per la malattia studiando gli effetti su di loro.
    Tutti e tre questi racconti sono veri. Il primo venne fuori da una notevole indagine del Senato sulla CIA condotta a metà degli anni Settanta. La seconda è tratta del famoso “esperimento Tuskgee”, condotto dal 1932 al 1972, che una volta scoperto causò grandi proteste e ribellioni. Il terzo, che andò avanti dal 1956 al 1971 alla Willowbrook State School, è spesso portato come esempio nelle discussioni sul “consenso informato”: i genitori sapevano dell’esperimento mentre i ragazzi non erano nella posizione di comprendere ciò con cui avevano a che fare.
    Se questi fatti fossero stati inclusi nello studio JAMA, cosa ci avrebbero detto i risultati? Le persone che credono a teorie complottiste a sfondo medico sarebbero ancora considerate più inclini a credere a quelle finanziarie oppure le loro convinzioni sarebbero considerate più solide rispetto a quelle degli altri? Le loro credenze si legherebbero all’uso della medicina alternativa o ci sarebbe una notevole differenza fra il loro comportamento e quello di altri complottisti? In che modo, insomma, la consapevolezza riguardo i veri complotti si lega con le teorie complottiste?
    Proprio come la vicenda di Facebook ci insegna che non tutte le notizie false hanno legami con una teoria complottista, così una diversa versione dello studio JAMA ci ricorderebbe che non tutte le teorie complottiste sono false. Questo può dire molto sul fenomeno. Ma, per arrivarci, bisogna cambiare lo scopo con cui si effettuano questi studi
    .

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  40. “Vice”, 20 ottobre 2014, QUI

    L’UOMO CHE HA TROLLATO I FAN DELLA TEORIA DELLE SCIE CHIMICHE
    di Michael Allen

    La teoria del complotto sulle scie chimiche circola da un po’ e con una certa fortuna, soprattutto tra chi crede che l’11 settembre sia un auto-attentato e che le celebrità siano controllate dalla CIA. In poche parole, i complottisti pensano che le scie di vapore bianco lasciate in cielo dagli aerei siano in realtà composte da agenti chimici o biologici utilizzati dai governi per modificare il clima tramite la geoingegneria, creare una super-arma elettromagnetica, controllare mentalmente la popolazione o—insomma, avete capito. Non ci sono vere e proprie prove a sostegno di questa teoria, eppure molti sono convinti che questo piano diabolico sia realmente in atto.
    Il primo ottobre, Chris Bovey—un quarantunenne del Devon, in Inghilterra—ha deciso di trollare tutte queste persone. Era su un volo partito da Buenos Aires e diretto nel Regno Unito, quando il suo aereo ha dovuto effettuare un atterraggio di emergenza a San Paolo e, per alleggerirsi in vista della manovra, ha riversato all’esterno il carburante in eccesso. Dato che era seduto vicino al finestrino, proprio accanto all’ala, Chris ha deciso di riprendere il liquido che veniva spruzzato nell’aria.
    Quando è atterrato ha caricato il video su YouTube con una didascalia nella quale sosteneva che fosse la prova dell’esistenza delle scie chimiche. Oggi, quel video ha più di un milione di visualizzazioni, circa 20.000 condivisioni e decine di commenti nei quali si invitano gli utenti a “svegliarsi!” o li si accusa di essere dei “disinformatori pagati.”
    Chris si è anche inventato di essere stato trattenuto all’aeroporto di Heathrow all’arrivo, e di essere stato interrogato dalle autorità che gli avrebbero anche confiscato il cellulare. Il suo racconto ha convinto ulteriormente i complottisti, tanto che alla fine il sito NeonNettle.com ha pubblicato la sua testimonianza presentandola come la prova dell’esistenza delle scie chimiche.

    Il video fatto da Chris:

    Mick West—editor di Metabunk, un sito che si occupa di sbugiardare le teorie del complotto e che ha pubblicato un articolo nel quale definisce il video di Chris una bufala—mi ha dato qualche informazione in più. “[La teoria del complotto sulle scie chimiche] è cominciata negli anni Novanta,” mi ha detto. “È stato allora che alcune persone hanno iniziato a notare le scie di condensazione lasciate dagli aerei, e hanno pensato che le scie normali non dovrebbero essere visibili così a lungo. Quindi, se una di queste scie rimaneva visibile per più di qualche minuto, doveva per forza trattarsi di qualcosa spruzzato di proposito.”
    Secondo West, il motivo per cui questa teoria è ancora così diffusa è il fatto che internet sia pieno di “prove”, nessuna delle quali è stata mai soggetta a verifica.
    Chris è stato persino invitato a una trasmissione radio condotta di Richie Allen, un amico di David Icke—il tizio che afferma che tutti i leader mondiali che ci governano siano in realtà dei rettiliani. Una volta in diretta, Chris ha ammesso di essersi inventato tutto e ha discusso in modo acceso con il conduttore del programma sulla validità scientifica della teoria del complotto sulle scie chimiche.
    Da quel momento, Chris ha ricevuto un sacco di insulti—anche se, va detto, se l’è cercata. L’ho chiamato per sapere come se la passa.

    VICE: Ho saputo che ti hanno ricoperto di insulti, è così?
    Chris Bovey: Sì, ho ricevuto alcuni messaggi davvero disgustosi. Sono stato accusato di essere un complice pagato dal governo—se è davvero così, dove sono i miei soldi? L’insulto peggiore è ancora sulla mia pagina Facebook. L’ho lasciato lì perché è talmente squallido da far sembrare l’autore un vero idiota. Diceva che mi scopo le capre e mi augurava di finire in prigione ed essere sodomizzato.
    Un altro mi ha detto che sarei finito all’inferno per aver infranto il primo comandamento. Non sono religioso e non so cosa sia il primo comandamento. Forse dice, “Non postare prove fasulle sulle scie chimiche.” Altri ancora sostengono che io sia stato costretto a tornare sui miei passi, e che quelle nel video siano davvero scie chimiche.

    Secondo te perché così in tanti hanno creduto al tuo video?
    Penso che le persone ci vogliano credere, e penso che molte non si fidino dei governi. Il fatto che la gente lo ritenga capace di fare una cosa del genere la dice lunga sul nostro governo. Poi, spesso si tratta anche di persone a cui mancano nozioni scientifiche basilari. Non ci vuole molta ricerca per scoprire che è una bufala, basta andare su contrailscience.com, dove si spiega in modo molto chiaro come e perché si formino tali scie.

    Un video in cui si afferma che easyJet non sarebbe in grado di operare se non fosse pagata per rilasciare sostanze chimiche durante i suoi voli:

    Adesso che hai spiegato di esserti inventato tutto, la gente ha smesso di affermare che il tuo video sia una prova?
    No, per niente. Mentre parliamo ci sono ancora persone che lo condividono e persone che commentano scrivendo “scie chimiche” in ogni lingua.
    Circa 500 persone mi hanno inviato richieste di amicizia, e io le ho accettate. Adesso però le ho eliminate, perché continuavano a invitarmi a mettere mi piace a strane pagine. Sapevo dell’esistenza di questo genere di persone—è stato proprio per questo che ho pubblicato il video. Ma non non avevo idea di quanto fermamente credessero in questa teoria. Ho provato a ragionare con alcuni di loro, portando loro delle prove che spiegassero loro perché si sbagliano, ma in quasi tutti i casi mi hanno detto che ero un disinformatore e mi hanno bloccato.

    Da quanto tempo ti interessi alle scie chimiche?
    Mi ricordo che le guardavo da piccolo, quando andavo alle elementari a South Devon, dove sono cresciuto. A volte, al parco giochi, guardavo il cielo e mi chiedevo perché alcuni aeroplani lasciassero scie più lunghe di altri. Chiaramente, all’epoca non sapevo ancora che si trattava di un complotto degli Illuminati.

    Perché hai deciso di dire che il video era una bufala?
    Perché la cosa mi metteva a disagio e perché non volevo che i miei amici sani di mente mi considerassero un cretino. Avevo l’opportunità di uscirne pulito e allo stesso tempo di prendermi gioco dei complottisti.

    Pensi che esistano prove attendibili a favore della teoria del complotto sulle scie chimiche?
    No, è stata smentita più volte. Non ci sono prove, punto
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  41. “Libernazione”, 28 ottobre 2014, QUI

    COMPLOTTISMO, MON AMOUR
    di Alessandro Capriccioli

    Ve lo sarete chiesti tutti, almeno una volta: com’è possibile che (metteteci pure il nome che preferite), una personcina così intelligente, creda ciecamente alle scie chimiche, all’allunaggio finto, all’olocausto che non c’è mai stato e magari pure alla morte di Paul McCartney?
    Perché, diciamoci la verità, i complottisti ci restituiscono spesso e volentieri l’immagine degli scemi: ci sembra da scemi essere immuni all’evidenza, o reinterpretarla ostinatamente e minuziosamente finché non si adatta a quello si vuole dimostrare; ci sembra da scemi espanderla ed estenderla all’infinito, quell’evidenza, adducendo e manipolando via via nuovi fatti man mano che i propri ragionamenti vengono confutati; ci sembra da scemi coltivare e propagare certezze fondate su dubbi vaghi, intuizioni traballanti e supposizioni astruse, senza lo straccio di una prova decente e spesso adducendo a sostegno delle proprie teorie argomenti contraddittori tra loro; ci sembra da scemi credere non a una sola di quelle teorie bizzarre, ma il più delle volte a tutte, in blocco, come se si trattasse della fabbricazione di una realtà completamente alternativa rispetto a quella degli altri.
    Ve lo sarete chiesti tutti, almeno una volta: possibile che (lo stesso nome di prima) sia scemo e io non me ne sia mai accorto? E avrete fatto fatica a rispondervi, come spesso è successo anche a me, perché magari il tizio è vostro amico da anni, avete studiato e chiacchierato e vissuto insieme e mai, mai si è dimostrato scemo come invece sembra diventare quando la conversazione casca su Elvis, sui vaccini che fanno venire l’autismo o sugli UFO.
    La realtà, ed è sufficiente documentarsi un po’ per scoprirla, è che probabilmente avete ragione: il vostro amico non è scemo per niente, giacché non esiste, a quanto pare, una correlazione misurabile tra la tendenza al complottismo e l’intelligenza cognitiva.
    Per il complottismo spinto, tuttavia, esistono delle ragioni: alcune delle quali, una volta che ve le trovate davanti agli occhi, hanno un effetto letteralmente illuminante.
    Tanto per iniziare, e paradossalmente solo in apparenza, il complottismo è rassicurante perché placa l’ansia di controllo di chi lo pratica: del resto ipotizzare che esista una ragione, per quanto complicata e terrificante, per cui le cose succedono, è molto più confortante che rassegnarsi alla casualità. Tanto per fare un esempio, ammettere che un virus come l’AIDS sia spuntato fuori e basta significa contemplare la possibilità che da un momento all’altro, in modo incontrollabile, esplodano altre malattie altrettanto gravi: mentre ipotizzare che sia stato fabbricato di proposito in un laboratorio contiene in sé l’illusione che una volta scoperto quel laboratorio, messi nelle condizioni di non nuocere i birbaccioni che lo gestivano e scongiurata la possibilità che altri facciano lo stesso si potrà finalmente vivere al riparo da ulteriori malanni.
    Ma non è tutto: spesso e volentieri il complottismo soddisfa la vanità. Voglio dire: quelli che vedono una cospirazione in ogni riga di giornale tendono a percepire se stessi come esseri capaci di pensare a un livello più alto degli altri, ponendosi intellettualmente al di sopra delle “masse” e alimentando in tal modo la propria autostima. Vi sara capitato decine di volte di sentirvi dire frasi del tipo “Non devi credere a quello che ti raccontano”, o “Te lo dico io, come stanno davvero le cose”, e quando è successo avrete percepito senz’altro, magari provando un certo disappunto, il senso di superiorità di cui erano intrise. Ecco, quella roba là.
    Dopodiché, tanto per chiudere una panoramica che non ha la minima pretesa di completezza, trovo molto interessante la spiegazione di stampo popperiano, secondo la quale il complottismo sarebbe una conseguenza della secolarizzazione: fino a qualche tempo fa si attribuiva tutto ciò che accadeva alla volontà di Dio, ma adesso che il padreterno non c’è più diventa necessario sostituirlo con qualche altro onnipotente (non importa se un politico, un gruppo finanziario o una genìa di rettiliani) che manovra il pianeta sopra, e al di là della propria volontà.
    Sull’argomento, naturalmente, c’è una letteratura psicologica, antropologica e sociologica enorme, che sarebbe impossibile sintetizzare in poche righe; ciò che conta, però, è prendere atto che forse il vostro amico, quello che è diventato un complottista scatenato, ha semplicemente bisogno del complottismo per vivere un po’ meglio.
    E no, non è scemo.
    Ammesso che non lo sia a prescindere, ovviamente: ma questo è un altro paio di maniche
    .

  42. “La Stampa”, 22 aprile 2015, QUI

    GLI AVVOCATI SFORNA-BUFALE PER RECLAME
    Da anni lanciano notizie da prima pagina. False
    di Raphael Zanotti

    La storia è di quelle ghiotte: un 97enne fa causa all’Inps per una pensione di invalidità. Ci vogliono 13 anni per arrivare al primo grado. Perde per un difetto di notifica. Ricorre in appello e il tribunale fissa la prima udienza al 2018. Il nostro malcapitato dovrà aspettare di essere centenario prima di veder tutelati i suoi diritti. Due avvocati annunciano una causa per danni al ministero della Giustizia.
    C’è tutto: anni, nomi, una storia accattivante, soprattutto vista la lentezza del nostro sistema giudiziario. Peccato che la notizia, ripresa da siti internet e giornali, alla prima verifica si sbricioli. E peccato che, queste notizie, ormai siano diventate un marchio di fabbrica. Da due anni un gruppo di legali le inventa, cambiando solo qualche dato, a volte utilizzando foto identiche per vittime differenti. Sono un traino pubblicitario eccezionale, e internet è un moltiplicatore straordinario.

    RINTRACCIARE LE FONTI
    Ci siamo imbattuti in questa bolla mediatica cercando di sapere qualcosa di più del nostro 97enne. Lo studio legal-commerciale citato, però, non ha una sede o un proprio sito. Dei due legali intervenuti con tanto di dichiarazioni, uno – Francesco Conte – non risulta appartenere al foro di Roma. L’altro, Silvia Notaro, invece esiste. Risalire al suo cellulare non è stato facile. Chiamiamo, numero coperto. Risponde. Non appena poniamo qualche domanda, ci stoppa: «Mi scusi, può richiamarmi tra una mezzoretta?». Certo. Richiamiamo. Col cellulare, numero in chiaro. Risponde. «Mi scusi, non so nulla di questa storia. Forse il collega che è citato». Ci dà il numero? «Non lo conosco bene. Forse è un collega con la barba che collabora come me per l’Agitalia. Ma sa, io sono lì da meno di un mese». L’Agitalia esiste. Ha un sito. Ai numeri di telefono, però, non risponde nessuno, così come all’email. La sede di Roma è un negozio di abbigliamento che non c’entra nulla.

    NOTIZIE IN BATTERIA
    Approfondiamo. Si scopre così che l’avvocato Notaro e l’avvocato Conte sono una coppia piuttosto attiva mediaticamente per essere due estranei. Il loro studio legal-commerciale compare con una notizia il 4 aprile scorso: una 99enne di Terni ha trovato un certificato di debito pubblico dello Stato del ’56 che oggi varrebbe 177.000 euro. Il 7 aprile è una 40enne originaria di Parma che ha ereditato 5 miliardi di lire ma la Banca d’Italia si rifiuta di cambiarli. Il 14 aprile è la volta di uno spezzino 96enne: avrebbe ereditato un Bot da un milione di euro.
    Sono solo gli ultimi episodi perché Agitalia sembra una fabbrica sforna bufale. Dal 2013 ne ha inanellate una dietro l’altra. Tutte meritevoli di paginate sui giornali vista la particolarità delle vicende raccontate. Come quella volta che l’associazione avrebbe tutelato una donna che aveva perso il bimbo durante il naufragio della Concordia. O il secondo caso di scambio di embrioni al Pertini di Roma, falso. L’associazione aveva annunciato che avrebbe chiesto danni per un milione di euro.

    I GUARDIANI DELL’ADUC
    Perché? Secondo l’Aduc, che da tempo segue le gesta di Agitalia, per pubblicità. «Le persone si rivolgono a questi legali che, per prendere in mano la pratica, chiedono un contributo iniziale di 150 euro – spiega Giuseppe D’Orta che ha più volte denunciato le false notizie sul suo canale Investire Informati – Sono legati all’avvocato Giacinto Canzona, a suo tempo pizzicato da Striscia la Notizia e sospeso per un anno dall’ordine. L’Aduc sta seguendo due persone a cui l’avvocato ha chiesto 3000 euro per una causa che non avrebbero mai potuto vincere impostata in quel modo». E il 97enne in attesa di processo? Per ora resta un anonimo
    .

  43. Le complotisme, c’est du sérieux. Et, aujourd’hui, il a pris une dimension préoccupante, au point que le Gouvernement français a lancé une campagne intitulée «On te manipule»:
    http://www.gouvernement.fr/on-te-manipule .

    Jonathan Bouchet-Petersen n’a écrit sur “Libération”:
    Le grand complot qui est-il, quel est son réseau ?
    Alimenté par la défiance envers les institutions, répandu via Internet, le conspirationnisme se renforce, en particulier chez les moins diplômés.
    http://www.liberation.fr/france/2016/03/11/le-grand-complot-qui-est-il-quel-est-son-reseau_1439150

    Tuttavia, “La Stampa” riferisce che con quelli “de coccio” pare che non ci sia niente da fare: Perché smentire le bufale è inutile, una completa perdita di tempo.
    http://www.lastampa.it/2016/03/16/tecnologia/news/perch-smentire-le-bufale-inutile-TOO8DQvonPvwxgdK5MLWAP/pagina.html

    Secondo i debunker italiani, però, smascherare le bufale online non è inutile. Paolo Attivissimo (Il disinformatico), Michelangelo Coltelli (Bufale un tanto al chilo) e David Puente (Bufale.net) lo spiegano in un articolo di Chiara Severgnini su “La Stampa” del 17 marzo 2016: https://www.lastampa.it/2016/03/17/tecnologia/idee/smascherare-le-bufale-online-non-inutile-ecco-perch-secondo-i-debunker-italiani-sVRlXFNUXOijBns8ligtfL/pagina.html

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