I Maya e il diamante d’Este

Un anno e mezzo fa Red Ronnie scrisse sul suo seguitissimo account twitter [qui e qui] [*] e, successivamente, disse in un tg italiano, che il terremoto in Emilia del 2012 fu «previsto dai Maya» (e vabbè, si è liberi di credere a qualsiasi cosa), ma soprattutto che «Ci hanno sempre detto che noi in Pianura Padana non avremmo mai avuto terremoti distruttivi». Quest’ultima è un’affermazione dalle ripercussioni più serie, non a caso vi lucrano alcuni politici che si ergono ad autorità morale e che imbastiscono un vero e proprio processo di blaming della società complessa quando gridano che quell’evento è stato causato dal fracking.
Nelle ore successive alle prime scosse emiliane, Red Ronnie occupò un vuoto là dove attualmente passa gran parte della comunicazione e, in particolare, dove si vanno a cercare le prime informazioni: i social-media. Si trattava del vuoto – che spesso è ancora tale – lasciato dagli istituti di ricerca sismologica e dalla Protezione Civile (ma l’INGV ha poi aperto un blog ed è attivo quotidianamente su fb): un vuoto che, evidentemente, fu riempito con un altro vuoto, l’ignoranza.
In realtà bastava conoscere qualcosa in più della storia del proprio territorio o anche solo qualche “curiosità” di quei luoghi per evitare castronerie: l’Emilia è una terra sismica, lo si sa da secoli e lo si era ripetuto già diversi anni fa, come ricorda un articolo “di recupero” de «L’Espresso» del 29 maggio 2012:

La zona di Ferrara è «tutt’altro che priva di rischi». Diverse «scosse distruttive sono già avvenute e la possibilità di un evento sismico di grossa portata non è remota». L’allarme fu lanciato da due geologi nel 1993. Ed è rimasto inascoltato.

Oggi, il 17 novembre del 1570, un terremoto distrusse Ferrara, ma se ne era persa la memoria. C’è stata, cioè, una rimozione collettiva del rischio sismico in quell’area che non è legata solo ad una frattura nella trasmissione, da una generazione e l’altra, dell’evento in sé, ma anche ad un più generale sfilacciamento della cultura orale, che spesso conserva dettagli piuttosto rivelatori. Sarebbe interessante uno studio orientato a questo scopo sulle leggende italiane, intese dunque come “documenti” storici e antropologici sui rischi dei singoli territori in cui sono ambientate. A Ferrara, ad esempio, assumerebbe una nuova dimensione il racconto secondo cui in un palazzo di Ercole I d’Este è nascosto un diamante, al fine di «concentrare determinate energie telluriche direttamente all’interno dell’edificio, dove, non a caso, si tenevano intense sedute riguardo l’astrologia e l’alchimia con studiosi rinomati e colti. Questo palazzo era stato creato con lo scopo di attirare le forze positive dell’Universo» [qui].
Il rischio riguarda la possibilità che un evento accada nel futuro e, com’è evidente, per prevenirlo bisogna agire oggi, conoscendo il passato. Con questo obiettivo è possibile immaginare anche un contributo degli studi folklorici: le fiabe e le leggende, scriveva Italo Calvino, «sono tutte vere, sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna» [qui].
Beninteso, il riferimento è alle leggende locali (perché localizzate), non a quelle nate altrove e diffuse attraverso dei film hollywoodiani.

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PS: Come riporta ancora l’articolo dell’«Espresso», anche nel 1570 l’evento fu oggetto di rappresentazioni e contenziosi politici: «la Segreteria Ducale minimizzò l’evento per il timore di una perdita di prestigio politico […], mentre certi rivali ne esagerarono l’entità. La popolazione inoltre interpretò il terremoto come un fenomeno di origine sovrannaturale il che portò all’esodo di oltre 1000 persone dalla città per oltre un anno».

PPS: In questo blog mi sono occupato anche altre volte di cultura folklorica e disastri: a proposito del mostro di Lochness [qui], di Namazu, la carpa gigante sotto l’arcipelago giapponese [qui] e in un post che raccoglie varie bufale [qui].

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INTEGRAZIONI al post:
Eventi catastrofici e stabilità politico-sociale sono spesso legati, nella storia se ne possono individuare numerosi esempi. Il blog “INGV Terremoti” ha pubblicato un post sul rapporto tra i sismi dei primi del XVI secolo in Friuli e le coeve rivolte popolari: Terremoti e rivolte popolari nel Friuli di inizio ‘500 (26 marzo 2014, QUI).

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AGGIORNAMENTO del 16 aprile 2014:
Secondo il rapporto della commissione Ichese (International commission on hydrocarbon exploration and seismicity in the Emilia region) anticipato da Science e poi reso pubblico il 15 aprile 2014, non si può escludere che il sisma del 20 maggio 2012 in Emila-Romagna sia stato scatenato dall’estrazione di petrolio dal pozzo di Cavone, a circa 20 chilometri dall’epicentro del terremoto.
È improbabile che l’estrazione di petrolio e l’immissione di fluidi da soli abbiano potuto generare la pressione necessaria a provocare un forte terremoto, ma potrebbero aver contribuito a innescarlo.
Alcuni dei principali articoli che trattano dei risultati della commissione Ichese:

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AGGIORNAMENTO del 30 maggio 2014:
In occasione del secondo anniversario del sisma in Emilia, il blog “INGV Terremoti” ha pubblicato 10 risposte su quell’evento fornite dai ricercatori che lo stanno studiando: Luigi Improta (INGV-Roma1), Enrico Serpelloni (INGV-BO), Romano Camassi (INGV-BO), Carlo Meletti (INGV-Pi), Claudio Chiarabba (Direttore Struttura Terremoti INGV).
In particolare, il primo quesito chiede se i terremoti del 20 e 29 maggio 2012 siano stati una sorpresa: “No, perché i terremoti del maggio 2012 sono accaduti in un’area geologicamente attiva, ben conosciuta e descritta in tutti i modelli geologici e sismologici“. Il link è tra i commenti.

5 thoughts on “I Maya e il diamante d’Este

  1. Eventi catastrofici e stabilità politico-sociale sono spesso legati, nella storia se ne possono individuare numerosi esempi. Il blog “INGV Terremoti” ha pubblicato un post sul rapporto tra i sismi dei primi del XVI secolo in Friuli e le coeve rivolte popolari:

    “INGV Terremoti”, 26 marzo 2014, QUI

    TERREMOTI E RIVOLTE POPOLARI NEL FRIULI DI INIZIO ‘500


    Il castello di Villalta di Fagagna (UD) fu tra quelli dapprima attaccati e incendiati dai contadini nella rivolta del febbraio-marzo 1511 e poi gravemente danneggiati dal terremoto del 26 marzo (Fonte: http://www.tourismfriulicollinare.it/public/castello-di-villalta/).

    Il 26 marzo 1511, attorno alle ore 15.40 locali (14.40 UTC), un violento terremoto colpì le Alpi orientali nell’area che oggi si trova ai confini tra Italia, Slovenia e Austria. Secondo le fonti storiche dell’epoca ci furono gravissimi danni in diverse località sia friulane, come Cividale del Friuli, Gemona del Friuli, Osoppo, Venzone, Tricesimo, sia slovene, come Bovec, Tolmin e Skofja Loka. Crolli e danni gravi interessarono numerosi altri centri dell’area, tra cui Udine, Ljubljana (attuale capitale della Slovenia), Villach (in Carinzia, Austria). La scossa inoltre causò danni minori, ma diffusi in un’area molto vasta, da Trieste, Gorizia e Pordenone, fino a Venezia, Belluno, Padova, Treviso e Vicenza.
    Secondo uno studio recente (Fitzko et al., 2005), l’evento ebbe una magnitudo pari a 6.9 (analoga a quella del terremoto dell’Irpinia del 1980), calcolata sulla base della distribuzione degli effetti macrosismici combinata a modelli di tettonica attiva validi per l’area che si stende tra Alpi orientali e Dinaridi. Questi autori ipotizzano anche quale sia la faglia responsabile di questo evento; questa ipotesi insieme ad altre saranno trattate in un post che uscirà sull’argomento nei prossimi giorni.
    Il terremoto avvenne in uno scenario storico e geopolitico molto complesso che non rende facile la ricostruzione dettagliata degli effetti sul territorio. Una recente revisione storica compiuta da Camassi et al. (2011) ha messo in luce la complessità tanto dell’area quanto dell’epoca. La regione era una zona di confine tra vari differenti Stati e perciò suddivisa in aree distinte tra loro per appartenenza politico-amministrativa e culturale-linguistica: tutta la regione di pianura e di collina nota come ‘Friuli’ era sotto il dominio della Repubblica di Venezia, con principale centro amministrativo la città di Udine; la parte nord-orientale, nel cuore delle Alpi orientali, apparteneva invece al Sacro Romano Impero ed era a sua volta suddivisa nei due ducati montani della Carinzia (capoluoghi erano le città di Klagenfurt e Villach) e della Carniola (il centro amministrativo principale era Laibach, l’odierna Ljubljana, oggi capitale della Slovenia). La situazione era ulteriormente complicata dall’esistenza, all’interno di queste tre principali realtà politiche, di parti di territorio localmente governate da vescovi e signori feudali
    .


    Antica stampa che raffigura Laibach (Ljubljana, Slovenia) nel 1600 (Fonte: Valvasor [1689], vol. 3, pag. 422).

    A questa frammentarietà politico-amministrativa corrispondeva una altrettanto frammentata realtà linguistica, con zone in cui si parlava il Friulano/Veneziano e il “Toscano” (l’Italiano volgare) e altre dove le lingue usate erano il Tedesco o i dialetti slavi; a queste si aggiungeva un po’ ovunque il Latino come lingua franca, parlata dai ceti più acculturati. Se si considera che nelle decadi e nei secoli successivi i confini politici (e linguistici) hanno subito mutamenti frequenti a seguito di guerre e sconvolgimenti politici, è facile comprendere come molte località di quell’area abbiano nel tempo cambiato denominazione, con i toponimi che venivano tradotti nella lingua dei nuovi governanti. Tutto questo rende difficile, a volte impossibile, identificare oggi le località colpite dal terremoto e citate dalle fonti storiche contemporanee o di poco successive all’evento.
    Alla complessità geopolitica si aggiunge anche quella della particolare epoca storica. La prima decade del XVI secolo fu, infatti, un periodo davvero turbolento per tutta l’area nord-orientale. Il territorio friulano, regione veneziana di confine ambìta per la posizione strategica dei suoi passi alpini, fu teatro di frequenti incursioni e saccheggi che causarono vere e proprie devastazioni. Nel 1499 arrivarono le scorrerie dei Turchi e poi, a partire dal 1508, fu la volta della guerra tra Venezia e l’Impero che, fra periodi di fragile tregua e momenti di sanguinoso conflitto, durerà fino al 1516. Le devastazioni e i saccheggi diffusi, insieme ai numerosi focolai epidemici di Peste, esacerbarono il già infuocato clima di tensione sociale che si respirava nel Friuli a causa di lotte e faide intestine tra i vari clan locali. La situazione si fece esplosiva e portò presto allo scoppio di quella che è probabilmente la più vasta rivolta popolare avvenuta in epoca rinascimentale all’interno dell’attuale territorio italiano: la rivolta della Joibe Grasse (o Zobia Grassa, cioè il Giovedì Grasso). Il 27 febbraio 1511 (un mese prima del terremoto), appunto il Giovedì Grasso, nella città di Udine affollata per il Carnevale scoppiò una spaventosa insurrezione che avrebbe lasciato numerosi palazzi nobiliari saccheggiati e distrutti dagli incendi; nei giorni seguenti la rivolta popolare da Udine si estese al resto del Friuli (si vedano a questo riguardo le note di Carlo Puppo e di Andrea Zannini).
    E’ in questo arroventato clima di violento scontro sociale e politico che, il 26 marzo 1511, il terremoto si abbatte su un territorio già allo stremo. E’ importante collocare il disastro sismico in questo turbolento contesto perché le distruzioni del terremoto vanno a sommarsi a quelle già causate dall’uomo e ne completano l’opera. Nel valutare gli effetti e le intensità macrosismiche, perciò, si è dovuto tenere conto delle condizioni già precarie e compromesse in cui versavano molti edifici e castelli della zona. L’impatto del terremoto, infatti, fu amplificato e aggravato dallo scenario di guerra e di rovina che aveva indebolito il territorio friulano negli anni e nelle settimane precedenti (Camassi et al., 2011)
    .


    Distribuzione degli effetti prodotti dal terremoto del 26 marzo 1511. L’area in cui sono compresi i danni più gravi si estende per tutto il Friuli e nell’area della Slovenia al confine con l’Italia (Fonte: Camassi et al, 2011).

    La violenta scossa del 26 marzo 1511 fu parte di una complessa sequenza sismica. Un secondo, forte terremoto si verificò due giorni dopo, il 28 marzo, e causò ulteriori gravi danni; altri forti aftershocks si verificarono il 1 aprile e il 26 giugno. Le fonti storiche parlano di molte scosse minori avvertite, soprattutto nella zona di Gemona, fino alla fine del 1516.
    Il terremoto friulano-sloveno del 1511 è uno dei 3 grandi terremoti storici (magnitudo M≥6.5) che determinano l’elevata pericolosità sismica delle Alpi orientali (insieme al “terremoto di Villach” del 1348 e al terremoto del Friuli del 1976), area per il resto caratterizzata da eventi frequenti ma di media entità, con magnitudo non superiore a 6.0
    .

    A cura di Filippo Bernardini (INGV-Bo).

    Bibliografia

    Camassi R., Caracciolo C.H., Castelli V., Slejko D. (2011). The 1511 Eastern Alps earthquakes: a critical update and comparison of existing macroseismic datasets. Journal of Seismology, 15, pp. 191-213.

    Fitzko F., Suhadolc P., Aoudia A., Panza G.F. (2005). Constraints on the location and mechanism of the 1511 Western-Slovenia earthquake from active tectonics and modeling of macroseismic data. Tectonophysics, 404, pp. 77–90.

    Valvasor J.W. (1689). Die Ehre des Herzogthums Krain, Laibach-Nürnberg, 4 voll.

  2. Pingback: La colpa dei disastri | Paesaggi vulcanici

  3. “La Repubblica”, 15 aprile 2014, QUI

    SISMA E TRIVELLE, LE CONCLUSIONI DEL RAPPORTO ICHESE
    di Redazione

    La Commissione tecnico-scientifica incaricata di valutare le possibili relazioni tra attività di esplorazione per idrocarburi ed aumento dell’attività sismica nell’area colpita dal terremoto dell’Emilia-Romagna del mese di maggio 2012 (ICHESE) è stata istituita l’11 dicembre 2012 con decreto del Dott. Franco Gabrielli, Capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri su richiesta del Presidente della Regione Emilia. La composizione della Commissione è stata modificata con successivi decreti. La Commissione ha avuto il seguente incarico:“La Commissione Internazionale dovrà produrre un rapporto che, sulla base delle conoscenze tecnico- scientifiche al momento disponibili, risponda ai seguenti quesiti:

    1. E’ possibile che la crisi emiliana sia stata innescata dalle ricerche nel sito di Rivara, effettuate in tempi recenti, in particolare nel caso siano state effettuate delle indagini conoscitive invasive, quali perforazioni profonde, immissioni di fluidi, ecc.?

    2. E’ possibile che la crisi emiliana sia stata innescata da attività di sfruttamento o di utilizzo di reservoir, in tempi recenti e nelle immediate vicinanze della sequenza sismica del 2012?

    La Commissione ha iniziato i suoi lavori il 2 maggio 2013 e si è riunita per la prima volta in forma plenaria il 18 giugno 2013. La Commissione ha acquisito dati sulla attività sismica e deformazioni del suolo, sulla geologia e sismica a riflessione e sulle operazioni di esplorazione, e sfruttamento di idrocarburi, stoccaggio di gas e attività geotermica, tra l’altro attraverso riunioni con rappresentanti dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), dell’OGS (Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale), del Servizio Sismologico della Regione Emilia Romagna e delle Ditte che svolgono attività di esplorazione e sfruttamento idrocarburi nell’area. La Commissione ha incontrato altresì la società Independent Gas Management Srl che ha studiato le caratteristiche geologiche dell’area di Rivara per preparare un progetto di stoccaggio in acquifero.
    Il lavoro della Commissione è iniziato con una revisione della letteratura scientifica e dei rapporti disponibili. Esiste infatti una vasta letteratura scientifica, sviluppata soprattutto negli ultimi venti anni, che mostra come in alcuni casi azioni tecnologiche intraprese dall’uomo, comportanti iniezione o estrazione di fluidi dal sottosuolo, possano avere una influenza sui campi di sforzi tettonici principalmente attravers o variazioni nella pressione di poro nelle rocce e migrazione di fluidi. Pertanto sull’attività sismica che si verifica in prossimità spaziale con i siti e temporale con le operazioni sorge il sospetto che le operazioni antropiche possano aver avuto una influenza. Nella letteratura scientifica viene spesso adottata una distinzione dei terremoti nelle seguenti categorie:

    Terremoti tettonici, che sono prodotti dai sistemi di sforzo naturali, dove lo sforzo tettonico ha superato lo sforzo di attrito esistente e la regione era “matura” da un punto di vista sismico.

    Terremoti antropogenici, nei quali l’attività umana ha avuto un qualche ruolo nel portare il sistema al punto di rottura:
    a) Terremoti indotti, nei quali uno sforzo esterno, prodotto dalle attività antropiche, è sufficientemente grande da produrre un evento sismico in una regione che non era necessariamente sottoposta a un campo di sforzi tale da poter generare un terremoto in un futuro ragionevolmente prossimo (in senso geologico). Cadono in questa c ategoria i terremoti prodotti da procedimenti di
    stimolazione termica o idraulica di una roccia, quali la Fratturazione Idraulica (Fracking) e gli Enhanced Geothermal Fields
    b) Terremoti innescati, per i quali una piccola perturbazione generata dall’attivit à umana è sufficiente a spostare il sistema da uno stato quasi critico ad uno stato instabile. L’evento sismico sarebbe comunque avvenuto prima o poi, ma probabilmente in tempi successivi e non precisabili. In altre parole, il terremoto è stato anticipato. In questo caso lo sforzo perturbante “aggiunto” è spesso molto piccolo in confronto allo sforzo tettonico pre-esistente. La condizione necessaria perché questo meccanismo si attivi è la presenza di una faglia già carica per uno sforzo tettonico, vicina ad un sito dove avvengono azioni antropiche che alterano lo stato di sforzo, dove vicina può voler dire anche decine di kilometri di distanza a seconda della durata e della natura dell’azione perturbante. In alcuni casi queste alterazioni possono provocare l ’attivazione della faglia già carica. E’ importante ricordare che, poiché in questo caso le operazioni tecnologiche attivano solamente il processo di rilascio dello sforzo tettonico, la magnitudo dei terremoti innescati può essere grande, dello stesso ordine di quella dei terremoti tettonici, e dipenderà dall’entità della deformazione elastica accumulata sulla faglia a causa del carico tettonico.

    Numerosi rapporti scientificamente autorevoli descrivono casi ben studiati nei quali l’estrazione e/o l’iniezione di fluidi in campi petroliferi o geotermici è stata associata al verificarsi di terremoti, a volte anche di magnitudo maggiore di 5. E’ difficile, a volte impossibile, utilizzare il termine provata per questi casi. I casi riportati sono solo una picco la percentuale di tutti i casi esistenti di estrazione ed iniezione di fluidi, e si riferiscono in gran parte all’aumento di pressione di carico legato a serbatoi molto grandi e a iniezioni di grandi volumi di fluido (in genere acqua di processo) nella roccia circostante, non nello stesso serbatoio in cui avviene l’estrazione, durante operazioni per recupero avanzato di idrocarburo per tenere costante la pressione. Esistono comunque alcuni casi in cui l’attività sismica è stata associata a re-iniezione di acqua di processo nello stesso serbatoio dal quale è stato estratto olio o gas.

    Le principali conclusioni che si possono trarre dai casi riportati sono:
    -Estrazioni e/o iniezioni legate allo sfruttamento di campi petroliferi possono produrre, in alcuni ca si, una sismicità indotta o innescata;
    -La maggior parte dei casi documentati in cui una attività sismica è stata associata a operazioni di sfruttamento di idrocarburi è relativa a processi estrattivi da serbatoi molto grandi o a iniezione di acqua in situazioni in cui la pressione del fluidonon è bilanciata;
    -Il numero di casi documentati di sismicità di magnitudo medio-alta associabile a iniezione di acqua nello stesso serbatoio da cui ha avuto luogo l’estrazione di idrocarburi è una piccola percentuale del numero totale;
    -La sismicità indotta e, ancor più, quella innescata da operazioni di estrazione ed iniezione sono fenomeni complessi e variabili da caso a caso, e la correlazione con i parametri di processo è ben lontana dall’essere compresa appieno;
    -La m agnitudo dei terremoti innescati dipende più dalle dimensioni della fagliae dalla resistenza della roccia che dalle caratteristiche della iniezione;
    -Ricerche recenti sulla diffusione dello sforzo suggeriscono che la faglia attivata potrebbe trovarsi anche a qualche decina di kilometri di distanza e a qualche kilometro più in profondità del punto di iniezione o estrazione, e che l’attivazione possa avvenire anche diversi anni dopo l’inizio dell’attività antropica;
    -La maggiore profondità focale di alcuni terremoti rispetto all’attività di estrazione associata è stata interpretata come una evidenza diretta del fatto che l’estrazione o l’iniezione di grandi volumi di fluidi può indurre deformazioni e sismicità a scala crostale;
    -Esistono numerosi casi di sismicità indotta da operazioni di sfruttamento dell’energia geotermica. La maggior parte di essi è legata allo sviluppo di Enhanced Geothermal Systems, nei quali vengono provocate fratture in rocce ignee impermeabili per produrre delle zone permeabili. Esistono anche diversi casi di terremoti associati all’utilizzazione tradizionale dell’energia geotermica. I terremoti prodotti sono di magnitudo medio- bassa e a distanze non più grandi di alcuni kilometri dai pozzi di estrazione o iniezione.
    -L’esame di tutta la letteratura esistente mostra che la discriminazione tra la sismicità indotta o innescata e quella naturale è un problema difficile, e attualmente non sono disponibili soluzioni affidabili da poter essere utilizzate in pratica.

    Partendo da questo stato delle conoscenze, la Commissione ha cercato di stabilire l’eventuale nesso esistente tra le operazioni di iniezioni/estrazione e stoccaggio di fluidi e l’attività sismica nell’area dell’Emilia Romagna colpita dalla crisi sismica del maggio -giugno 2012. L’area colpita dalla sequenza sismica in questione ha forma di una ellisse lunga circa 30 km e larga circa 10 km, che si estende in direzione est- ovest sopra l’anticlinale di Cavone -Mirandola. La Commissione ha definito, su basi sismo-tettoniche, una area di interesse di circa 4000 km2 che include la zona dell’attività sismica del 2012. Nell’area sono presenti tre concessioni di sfruttamento per idrocarburi, Mirandola (con incluso il campo di Cavone), Spilamberto e Recovato, nonché il il campo geotermico di Casaglia (Ferrara) e il giacimento di stoccaggio di gas naturale di Minerbio situato al margine sud- est dell’area. Nella zona è inoltre inclusa l’area del progetto Rivara per un sito di stoccaggio di gas naturale in acquifero, cui si riferisce il primo quesito posto alla Commissione. Dopo aver analizzato la documentazione fornita dalla Compagnia Independent Gas management e preso visione della dichiarazione del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), il quale ha certificato che non era stata concessa alcuna autorizzazione per attività minerarie e che non risulta sia stata effettuata alcuna attività di esplorazione mineraria negli ultimi 30 anni, la Commissione ritiene che la risposta al primo quesito sia NO.

    Per la risposta al secondo quesito, dopo aver considerato le informazioni disponibili sia sull’attività sismica che sulle operazioni relative allo sfruttamento e allo stoccaggio nelle concessioni nell’area, la Commissione ha deciso, per le ragioni di seguito esposte, di concentrare la sua attenzione sui campi più vicini all’ attività sismica del 2012, e cioè:

    La concessione di coltivazione di Mirandola
    Il campo geotermico di Casaglia

    Il giacimento di idrocarburi di Cavone, è situato nella concessione di Mirandola, si trova circa 20 km a ovest della scossa principale del 20 maggio 2012, è molto vicino agli epicentri degli eventi di magnitudo maggiore di 5 del 29 Maggio e del 3 Giugno. Gli epicentri di altre due scosse di magnitudo superiore a 5, verificatesi il 20 maggio, sono spostati vers o il campo geotermico di Casaglia, che si trova 15-20 km a nord-est dell’epicentro della scossa principale del 20 maggio. Sebbene l’attività estrattiva sia proceduta con continuità fino ai giorni del terremoto sia a Cavone che a Spilamberto e Recovato, il pozzo Cavone-14 era l’unico attivo nel re-iniettare l’acqua di processo prima e durante la sequenza sismica del 2012. Inoltre, mentre il serbatoio di Cavone è situato nelle rocce carbonatiche Mesozoiche e potrebbe essere connesso idraulicamente con le faglie di sovrascorrimento sottostanti, gli altri serbatoi sono situati in formazioni Plio-Pleistoceniche al disopra di livelli di rocce altamente impermeabili. Ciò rende altamente improbabile un contatto diretto con le faglie sismogeniche. Allo scopo di avere un quadro quanto più omogeneo possibile sulle caratteristiche dell’attività sismica, sulle conoscenze geologiche e sulle operazioni di iniezione ed estrazione di fluidi, la Commissione ha ritenuto opportuno procedere ad una rielaborazione dei dati es istenti più rilevanti.

    In particolare a:
    -Rianalizzare i profili di sismica a riflessione e le informazioni fornite dai log dei pozzi di perforazione per verificare il modello tettonico dell’area e costruire un modello 3D di velocità delle onde sismiche da usare per la ri-localizzazione dell’attività sismica. L’utilizzazione di un modello 3D è opportuna data la forte asimmetria in direzione nord-sud delle strutture geologiche superficiali.

    -Ricalcolare i parametri classici (coordinate geografiche, profondità, meccanismi focali) dell’attività sismica, con epicentro nella zona in esame, registrata dalla rete sismica INGV a partire dal 2005 quando il catalogo strumentale INGV ha raggiunto la configurazione attuale.

    -Stimare il trasferimento di sforzo di Coulomb prodotto dalle scosse principali del 20 maggio allo scopo di verificare se esse possano aver contribuito a portare più vicino al punto di rottura la faglia degli eventi dal 29 maggio al 3 giugno.

    -Effettuare un’analisi statistica dell’attività sismica nell’area di interesse a partire dal 2005, inclusa la sequenza del maggio 2012, cercando possibili deviazioni dall’andamento tipico della sismicità naturale e possibili correlazioni con le variazioni dell’attività di estrazione/iniezione.

    -Studiare il modello fisico di serbatoio disponibile, in particolare verificando se vi erano evidenze di forti variazioni di permeabilità.

    La produzione nel campo di Cavone è iniziata nel 1980, attingendo da un serbatoio di 400-700 m di spessore il cui tetto si trova ad una profondità minima di 2.500 m, situato nei carbonati mesozoici in una struttura anticlinale. Il campo è diviso in 5 blocchi segmentati da faglie, ma connessi tra di loro, che si estendono in direzione est- ovest, e da un compartimento separato, il serbatoio di San Giacomo, che è stato inattivo dal dicembre 2010 all’ aprile 2011, ed è stato riattivato in quest’ ultima data. Queste strutture, in totale, coprono un’area di circa 15 km². Le riserve recuperabili furono originariamente stimate in circa 3 Mm³ da un volume totale di 15 Mm³; nel 2012, dopo aver estratto 3,06 Mm³, è presente una riserva residua di circa 0.16 Mm³. Dal 1993 l’acqua estratta insieme agli idrocarburi viene re-iniettata attraverso il pozzo Cavone-14 a circa 3350 m di profondità nello stess o serbatoio dal quale avviene l’estrazione; dal 2005 nello stesso pozzo viene anche re-iniettata l’acqua estratta dal serbatoio di San Giacomo. La pressione di fluido nel serbatoio sembra essere sostenuta dalla falda acquifera confinante, con il contributo dell’acqua re-iniettata. Il volume complessivo di acqua re-iniettato è ad oggi pari a 2,6 Mm³ (di questi 0,07 Mm³, pari a circa il 2,5% del volume totale, vengono da San Giacomo). Il volume iniettato ha raggiunto un massimo di circa 200.000 m³ annui nel 2004, un minimo di circa 100.000 m³ nel 2010 per poi risalire a circa 130.000 m³ annui nel 2011. La pressione effettiva media mensile di re- iniezione a bocca pozzo è aumentata da 18 MPa nel 2005 a 21 MPa nel 2008, per poi diminuire a 13.8 MPa nel periodo 2009-2010 e infine aumentare di nuovo a 19 MPa nel maggio 2012. Il volume di acqua re-iniettato ha permesso di non avere grandi variazioni del volume di fluido nel serbatoio. La differenza di volume durante tutto il periodo di sfruttamento del serbatoio è di circa–21%.
    La presenza di diverse formazioni altamente impermeabili nella sequenza stratigrafica probabilmente impedisce una diretta connessione idraulica tra il serbatoio di Cavone e la zona sismogenica. Ciò non precluderebbe una connessione attraverso le faglie di sovrascorrimento che limitano le falde sovrascorse, ma l’alta permeabilità rende difficile la persistenza di pressioni differenziali. Di fatto le variazioni di salinità riscontrate durante tutto il periodo della produzione, testimoniano l’arrivo di flussi di acqua più salata dall’esterno.
    Considerando l’attività nei campi di Cavone e Casaglia , le caratteristiche geologico-strutturali e la storia sismica della zona, la Commissione ritiene che sia molto improbabile che la sequenza sismica dell’Emilia possa essere stata indotta (cioè provocata completamente dalle attività antropiche).
    Di conseguenza la Commissione ha concentrato la sua attenzione sulla possibilità che le scosse principali del 20 e del 29 maggio e la sequenza sismica connessa fossero state innescate, cioè che l’attività umana possa aver fornito un contributo allo sforzo tettonico che già agiva sul sistema di faglie. La Commissione ha considerato la possibilità che l’innesco possa essere dovuto a variazioni di carico conseguenti alle operazioni di estrazione e /o iniezione di fluidi. La variazione dello sforzo di Coulomb dovuta allo svuotamento del serbatoio ha valori negativi nella zona della scossa del 20 maggio e quindi avrebbe avuto l’effetto di inibirla, mentre le scosse del 29 maggio sono ubicate in una zona dove la variazione di sforzo di Coulomb è positiva ed è minore dei valori spesso assunti in letteratura come necessari per attivare una faglia. Tuttavia ricerche recenti suggeriscono che terremoti possano essere innescati per valori molto diversi delle variazioni di sforzo, a seconda delle caratteristiche del sistema di faglie e della natura del processo di innesco.
    Ricerche recenti indicano inoltre che fluttuazioni nelle iniezioni di fluidi potrebbero indurre variazioni di sforzo positive dovute a variazioni a largo raggio della pressione di poro. Tuttavia nel caso in esame non è possibile valutare questo effetto con i dati disponibili.
    L’area colpita dalla sequenza sismica del maggio 2012 è una regione ellittica lunga circa 30 km e larga circa 10 km che segue la cresta dell’anticlinale sepolta di Cavone-Mirandola. Le strutture geologiche identificate come responsabili dell’attività sismica sono le faglie di sovrascorrimento che delimitano il margine esterno dell’Appennino settentrionale. Secondo la letteratura geologica corrente, il regime tettonico compressivo attivo nella regione è stata associato alla convergenza Europa-Africa oppure all’arretramento flessurale del margine sud-occidentale del blocco di Adria in sprofondamento passivo al di sotto degli Appennini. Il quadro cinematico deducibile dalle informazioni geofisiche, geologiche e geodetiche si accorda bene con le caratteristiche della sismicità attuale dell’Italia settentrionale.
    In base alla sismicità storica della zona si può ritenere molto probabile che il campo di sforzi su alcuni segmenti del sistema di faglie nel 2012 fosse ormai prossimo alle condizioni necessarie per generare un terremoto di magnitudo locale (ML) intorno a 6.
    La scossa del 20 maggio 2012 caratterizzata da una magnitudo momento (Mw) stimata tra 5.63 e 6.11, è avvenuta a una profondità di 5.3 (±1.0) km e a una distanza di circa 20 km dalla concessione di Mirandola, mentre quella del 29 (Mw 5.44-5.96) è avvenuta ad una profondità di 9.2 (±0.9) km e in prossimità della concessione. Segnalazioni di terremoti innescati a distanze di questo ordine dal sito di estrazione e/o re-iniezione non sono frequenti ma esistono alcuni casi riportati in letteratura. La conversione tempo-profondità dei profili sismici interpretati mostrano che la faglia si trova tra 4000 e 4500 metri di profondità e, in accordo con i dati strumentali, essa potrebbe essere la sorgente del terremoto del 20 maggio. I terremoti del 29 maggio sono invece su una diversa struttura, per i quali la interpretazione dei profili sismici mostra che questa struttura giace ad una profondità compresa tra 10.000 e 11.500 metri, in discreto accordo con le determinazioni strumentali.
    I meccanismi focali dei terremoti della sequenza sono prevalentemente di faglia inversa, e concordano con lo stile tettonico di sovrascorrimento dovuto al movimento in direzione ONO-ESE del margine esterno dell’Appennino settentrionale, al di sotto della pianura padana. L’attivazione di diversi segmenti di questo sistema ha prodotto la sequenza sismicadel 2012. Questo sistema di faglie era stato identificato come struttura attiva prima del terremoto del maggio 2012, ed è riportato, seppure in modo non dettagliato, nel Database italiano delle Sorgenti Sismogeniche Individuali (INGV). Un’attività sismica di intensità medio -bassa (per lo più tra 1.5 e 3 ML, ma che ha raggiunto i 4 ML poche ore prima della scossa principale del 20 maggio) si è verificata nel periodo studiato prima del maggio 2012. Alcuni di que sti eventi sono ubicati vicino all’epicentro della scossa principale del 20 maggio, a circa 20 km di distanza dal pozzo di re-iniezione. L’analisi di alcune caratteristiche dell’attività sismica (andamento non poissoniano della distribuzione degli eventi nel tempo, variazione della distribuzione della magnitudo) hanno evidenziato un comportamento diverso rispetto a quello generalmente presentato dalla sismicità di fondo. Il risultato dell’analisi di clustering spazio-temporale è che almeno a partire dalla metà del 2008, una parte dell’attività sismica è connessa alla sequenza sismica del maggio 2012.
    Un’analisi dettagliata dei dati di produzione ed iniezione relativi alla concessione di Mirandola per il periodo temporale 2005 -2012 mostra un andamento fluttuante. In particolare per due volte i volumi di fluido estratto e iniettato e la pressione a bocca pozzo sono variati simultaneamente passando da un andamento crescente nel tempo a un andamento decrescente. Ciò si è verificato tra il 09/2008 e l’ 11/2008 e nel novembre 2010. Queste variazioni non sono correlate a variazioni nell’attività sismica. Nell’aprile-maggio 2011 c’è stato una repentina variazione di tendenza, da decrescente a crescente, di tutti i parametri di produzione, che risulta correlata statisticamente con un aumento della sismicità, sia in numero di eventi che in energia. L’ordine di grandezza delle variazioni dei parametri di produzione nel periodo da Aprile/Maggio 2011 a Maggio 2012 è di qualche MPa per la pressione effettiva a bocca pozzo, di centinaia di m 3/mese per i volumi di olio e di acqua re-iniettata. Per confronto si ricorda che le variazioni dei volumi di acqua di processo re-iniettatadei serbatoi sono circa dieci volte più grandi nei casi riportati in letteratura, quali quelli di Huang jiachange Rongchang in Cina.
    Queste valutazioni indicano che l’attività sismica immediatamente precedente il 20 maggio e l’evento principale del 20 maggio sono statisticamente correlati con l’aumento dell’attività di estrazione e re -iniezione di Cavone. Il problema successivo è stato di capire se per le scosse successive al 20 maggio, in particolare gli eventi del 29, sia possibile ipotizzare un contributo non tettonico. L’analisi con il metodo ETAS di 31 giorni di attività sismica successiva alla scossa principale del 20 maggio indica che si tratta di una tipica sequenza mainshock-aftershocks e non vi sono indicazioni di un contributo non tettonico. Generalmente un terremoto produce nelle rocce circostanti una variazione di sforzo di due tipi: statico e dinamico. La variazione di sforzo statico associato a terremoti di elevata magnitudo può attivare faglie adiacenti generando quindi nuovi terremoti. La stima del trasferimento di sforzo statico per la sequenza emiliana del 2012, considerando le in certezze in gioco sui parametri che descrivono le faglie sorgenti e riceventi, indica che la scossa del 20 maggio ha prodotto un trasferimento di sforzo positivo sulla faglia che ha generato i terremoti del 29 maggio (con un livello di significatività dell’80%).
    La variazione di sforzo dinamico è legata ad effetti transienti provocati dal passaggio delle onde sismiche che possono attivare una faglia già matura. Per la sequenza emiliana, la stima della variazione di sforzo dinamico dovuto al passaggio delle onde sismiche e prodotto da eventi consecutivi nella sequenza è disponibile nella letteratura. E’ stato calcolato che lo sforzo dinamico è maggiore di quello statico ed è sufficiente a innescare l’attività sismica del 29 maggio.
    Per quanto riguarda il sistema geotermico di Ferrara, il fluido geotermico viene prodotto dai pozzi “Casaglia 2” (open-hole dagli 890 ai 1950 metri) e “Casaglia 3” (open-hole dagli 890 ai 1950 metri). Dopo l’estrazione, il fluido geotermico circola in uno scambiatore di calore, viene filtrato e re-iniettato nel pozzo “Casaglia 1” (open hole da 1119 metri a 1950 metri) ad una distanza di 1 km dai pozzi produttori. Il serbatoio da cui il fluido viene estratto è un acquifero confinato in calcari Mesozoici fratturati facenti parte di un alto strutturale molto esteso. Dall’inizio della produzione nel 1990 ad oggi, la temperatura del fluido prodotto e le pressioni di produzione/re-iniezione non hanno presentato variazioni significative; é possibile quindi assumere che i confini del serbatoio siano a distanze molto maggiori dai pozzi rispetto alla distanza tra i pozzi stessi. Lo schema di funzionamento dei pozzi mostra che la reiniezione e la produzione avvengono nelle stesse rocce, che possono essere identificate con il serbatoio geotermico.

    Considerando che:
    (a) l’acqua viene estratta ad una temperatura di circa 100°C e reiniettata completamente a circa 70°C;
    (b) effetti geo-meccanici dovuti alle variazioni termiche sono stati osservati in altri casi quando la differenza tra le temperature di iniezione ed estrazione è di almeno 80°
    (c) dal 1995 al 2012 sono stati estratti ed iniettati in totale 36 Mm 3 di acqua a pressione costante

    La possibilità che l’attività sismica sia stata in qualche modo provocata dall’impianto geotermico risulta estremamente improbabile almeno per 3 motivi:

    1) la differenza di temperatura tra iniezione ed estrazione è di 30° e la subsidenza osservata non sembra essere influenzata dal campo geotermico essendo confrontabile con quella regionale della Pianura Padana, (<2,5 mm/anno).
    2) l’impianto funziona con un bilanciamento di volume in campo lontano, cioè il volume è bilanciato complessivamente, ma può non esserlo solo in vicinanza del punto di iniezione;
    3) l’attività sismica registrata in casi di questo tipo è generalmente localizzata in prossimità della sezione del pozzo di iniezione. Questo non sembra essere il caso di Ferrara dove la sismicità è stata minima.

    In conclusione, è molto improbabile che le operazioni effettuate nel campo geotermico di Casaglia possano avere influenzato l’attività sismica del 2012.
    I valori bassi e negativi della variazione di sforzo generato dal graduale svuotamento del giacimento di Cavone porterebbero argomenti a favore di una origine tettonica dell’intera sequenza sismica. Il piccolo, ma positivo, valore dello sforzo co-sismico trasferito dal terremoto del 20 maggio sulla faglia che ha generato gli eventi del 29 maggio può spiegare la seconda fase di sismicità. Comunque, esiste una correlazione statistica tra l’aumento della sismicità prima del 20 maggio 2012 e l’aumento dei parametri di produzione da aprile/maggio 2011. Quindi non può essere escluso che le azioni combinate di estrazione ed iniezione di fluidi in una regione tettonicamente attiva possano aver contribuito, aggiungendo un piccolissimo carico, alla attivazione di un sistema di faglie che aveva già accumulato un sensibile carico tettonico e che stava per raggiungere le condizioni necessarie a produrre un terremoto.
    La Commissione ritiene altamente improbabile che le attività di sfruttamento di idrocarburi a Mirandola e di fluidi geotermici a Casaglia possano aver prodotto una variazione di sforzo sufficiente a generare un evento sismico “indotto”. L’attuale stato delle conoscenze e l’interpretazione di tutte le informazioni raccolte ed elaborate non permettono di escludere, ma neanche di provare, la possibilità che le azioni inerenti lo sfruttamento di idrocarburi nella concessione di Mirandola possano aver contribuito a “innescare” l’attività sismica del 2012 in Emilia. Pertanto sarebbe necessario avere almeno un quadro più completo possibile della dinamica dei fluidi nel serbatoio e nelle rocce circostanti al fine di costruire un modello fisico di supporto all’analisi statistica.
    La predizione dei terremoti è come la ricerca del Santo Graal alla quale si sono dedicate generazioni di studiosi, e mentre si sono fatti significativi progressi nel campo della previsione probabilistica, al momento non è possibile predire in modo deterministico e affidabile quando e dove ci sarà un terremoto e quale sarà la sua intensità. Un terremoto innescato è un particolare tipo di terremoto tettonico, nel quale piccoli effetti prodotti da attività umane hanno anticipato il momento in cui il terremoto sarebbe avvenuto e pertanto è ancora più difficile da trattare. Più semplice è il caso della sismicità indotta, in quanto le azioni umane hanno una influenza significativa; pertanto possono essere studiate variazioni nelle metodologie operative utilizzabili per abbassare significativamente la probabilità di questi eventi. Sistemi di monitoraggio con livelli crescenti di allarme (i cosiddetti sistemi a semaforo) sono in effetti stati sviluppati e applicati solo per casi di sismicità indotta. Lo studio effettuato non ha trovato evidenze che possano associare la sequenze sismica del maggio 2012 in Emilia alle attività operative svolte nei campi di Spilamberto, Recovato, Minerbio e Casaglia, mentre non può essere escluso che le attività effettuate nella Concessione di Mirandola abbiano avuto potuto contribuire a innescare la sequenza.
    Va comunque considerato che tutto l’orogene appenninico sottostante la pianura padana è sismicamente attivo ed è quindi essenziale che alle attività produttive vengano associate azioni appropriate che contribuiscano a gestire il rischio sismico inerente queste attività.

    A tal fine la Commissione ha formulatole seguenti raccomandazioni. La sismicità indotta e innescata dalle attività umane è un campo di studio in rapido sviluppo, ma lo stato attuale delle conoscenze, e in particolare la mancanza di esperienza in Italia, non premette la elaborazione di protocolli di azione che possano essere di uso immediato per la gestione del rischio sismico. Ha quindi carattere prioritario lo sviluppo delle conoscenze attraverso l’acquisizione di dati dettagliati, alcuni dei quali devono essere forniti dagli operatori, e attraverso una ricerca che possa migliorare la conoscenza delle relazioni tra operazioni tecnologiche e sismicità innescata. Potrebbero essere studiati casi di sismicità nelle immediate vicinanze di campi di sfruttamento di idrocarburi, quali ad esempio quello di Caviago (1951) e di Correggio (1987-2000) e probabilmente anche altri, eventualmente utilizzando le metodologie applicate in questo rapporto dalla Commissione. Sarebbe necessario analizzare in dettaglio sia la sismicità che i parametri di produzione, ed è essenziale avere informazioni su più di un caso per poter sviluppare strumenti utili alla gestione del rischio, quale ad esempio i “sistemi a semaforo”.
    Nuove attività di esplorazione per idrocarburi o fluidi geotermici devono essere precedute da uno studi teorici preliminari e di acquisizione di dati su terreno basati su dettagliati rilievi 3D geofisici e geologici. Ciò deve essere volto alla determinazione dei principali sistemi di faglie con indizi di attività e delle loro caratteristiche sismogeniche (lunghezza della faglia, variazione dell’attività sismica nel tempo, ecc.). I periodi di ritorno dei terremoti principali (>5 ML) devono essere considerati attentamente per avere indicazioni sul grado di “maturità” dei principali sistemi di faglia.
    Le attività di sfruttamento di idrocarburi e dell’energia geotermica, sia in atto che di nuova programmazione, devono essere accompagnate da reti di monitoraggio ad alta tecnologia finalizzate a seguire l’evoluzione nel tempo dei tre aspetti fondamentali: l’attività microsismica, le deformazioni del suolo e la pressione di poro. Queste reti dovrebbero essere messe in funzione al più presto, già quando si attende la concessione, in modo da raccogliere informazioni sulla sismicità ambientale precedente all’attività per il più lungo tempo possibile. Il monitoraggio micro sismico può fornire indicazioni sulla attività delle faglie e sui meccanismi di sorgente che possono essere utili alla caratterizzazione delle zone sismogeniche. Il monitoraggio sismico dovrebbe essere effettuato con una rete locale dedicata capace di rilevare e caratterizzare tutti i terremoti di magnitudo almeno 0,5 ML.
    Le deformazioni del suolo devono essere rilevate principalmente con metodi satellitari. Dovrebbero essere utilizzate tecnologie interferometriche (INSAR) e GPS che permettono di identificare processi di subsidenza con una risoluzione di alcuni millimetri all’anno. La pressione de i fluidi nei serbatoi e nei pori delle rocce deve essere misurata al fondo dei pozzi e nelle rocce circostanti con frequenza giornaliera.
    Infine, utilizzando l’esperienza di altri casi simili nel mondo e le caratteristiche geologiche e sismotettoniche del l’area in studio, deve essere generato un sistema operativo “a semaforo”, e devono essere stabilite le soglie tra i diversi livelli di allarme. È consigliabile che tutti i dati sismici vengano continuamente analizzati con metodologie statistiche per evidenziare variazioni dagli andamenti tipici della sismicità di fondo, quali variazioni dell’intervallo di tempo tra eventi, variazioni nel valore di b della distribuzione della magnitudo, clustering spaziali o/e temporali, comportamenti non-poissoniani. L’utilizzo di metodologie ETAS e di eventuali altre nuove metodologie va incoraggiato.
    È necessario che i dati rilevanti per il conseguimento di quanto sin qui indicato e in possesso delle compagnie siano da esse messi a disposizione degli enti responsabili per il controllo. Infine, l’implementazione di un Programma di Interazione e Comunicazione con la popolazione e gli amministratori locali ha una importanza critica perché venga acquisita fiducia nella gestione ottimale delle operazioni
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    “La Repubblica”, 15 aprile 2014, QUI

    VERDETTO SHOCK DELLA SCIENZA: IL SISMA IN EMILIA COLPA DELL’UOMO
    L’estrazione del petrolio può aver provocato le tragiche scosse del 2012 Rapporto shock di un gruppo di studio internazionale
    di Silvia Bencivelli

    Non si può dire né sì né no, ma di certo non si può escludere. E di certo si deve continuare a indagare. Sarebbe questa la sintesi di un rapporto stilato per conto della Regione Emilia Romagna da un panel di esperti chiamati a dire se i terremoti che hanno colpito la regione nel 2012 possano aver avuto come concausa le attività estrattive del petrolio (che nella regione si praticano da decenni) e, più in generale, trivellazioni e perforazioni del suolo. Il rapporto non è ancora stato reso pubblico, ma già circola negli ambienti scientifici e politici. Se ne occupa l’ultimo numero della rivista scientifica Science, secondo la quale il documento è stato consegnato agli amministratori emiliani da almeno un mese, ma ci sarebbe imbarazzo nel parlarne. Non solo: la rivista americana precisa come sul rapporto si baseranno le decisioni in merito a nuove autorizzazioni per le attività estrattive nella regione. Ed è molto probabile che la linea sarà quella della massima cautela.
    Il panel si chiama Ichese (Commissione tecnico-scientifica per la valutazione delle possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e aumento di attività sismica nel territorio della regione Emilia Romagna colpita dal sisma del mese di maggio 2012) ed è stato convocato dalla Regione guidata da Vasco Errani nel maggio del 2013: è composto da due esperti italiani e da tre stranieri che hanno effettuato sopralluoghi sia nelle aree colpite dal terremoto sia negli impianti petroliferi di Cavone, quelli contro i quali oggi si punta il dito. Ichese ha interpellato esperti, aziende e istituzioni. Ed è giunto alle conclusioni che Science riporta tra virgolette: il legame tra le attività estrattive e terremoto «non si può escludere ». Da anni si sa che alcune attività umane possono causare terremoti. Non è mai stata una novità e gli scienziati hanno sempre preso l’ipotesi molto sul serio. L’idea è che il ricorso ad alcune tecniche geoingegneristiche, tra cui il famigerato fracking( che però in Italia non si pratica, almeno non ufficialmente), se effettuato ad alta intensità può causare l’instabilità delle faglie su cui poggiamo i piedi. In particolare, il nesso è stato studiato laddove le ricerche di petrolio comportano trivellazioni numerose e profonde, come nel centro degli Stati Uniti. Indagini statistiche hanno rafforzato questo timore e alcuni degli ultimi terremoti in Texas e Oklahoma sono stati ritenuti probabili “figli” delle trivellazioni. Bisogna però considerare che al momento è molto difficile dire se un dato sisma è stato causato da una certa attività. Resta il fatto che quelli per i quali è stata ipotizzata una concausa umana sono stati pochi e, in ogni caso, più deboli di quelli generati solamente dalla natura in una specifica zona. Comunque, se i sospetti su certe responsabilità dell’uomo dovessero diventare forti, è probabile che non sarebbe solo la Regione Emilia Romagna a rivedere le proprie scelte sull’utilizzo del territorio.
    Il rapporto di Ichese, prosegue Science, spiega anche che rimuovere e reiniettare liquidi non basta a causare un terremoto più intenso di quanto non sarebbe senza quell’attività. Ma è possibile che la faglia coinvolta nella sequenza sismica del maggio di due anni fa fosse sul punto di muoversi e che l’uomo abbia accelerato il processo. Non solo: le attività estrattive nel sito di Cavone erano state aumentate dall’aprile del 2011 e questo stabilirebbe un legame temporale. Però, conclude la rivista, manca ancora un modello fisico di sostegno: insomma, ipotizzato il nesso, non è ancora chiaro come e perché funzioni.
    Science spiega infine di non aver ricevuto risposte sul rapporto né da parte degli estensori né da parte delle compagnie che sarebbero implicate, ma riferisce di altri sismologi per i quali questi legami sarebbero molto deboli e tutto il rapporto poco chiaro: l’impianto di Cavone, del resto, è molto piccolo e si trova ad almeno venti chilometri dall’epicentro
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    “La Repubblica”, 15 aprile 2014, QUI

    TERREMOTO, REGIONE: STOP A NUOVE TRIVELLAZIONI IN EMILIA-ROMAGNA
    Viale Aldo Moro pubblica il dossier Ichese sulla possibilità che le perforazioni possano aver avuto un ruolo nel sisma del 2012. L’assessore Gazzolo: noi non occultiamo. Errani: “Chiedo scusa ma ero in buona fede”
    di Redazione

    Gazzolo rivendica infatti che la commissione Ichese è nata “da una nostra esigenza e su nostro impulso, per studiare e capire per poter prendere le decisioni giuste. La nostra intenzione era ed è di piena trasparenza, mirata a una informazione corretta e completa rivolta a tutti e in particolare alla comunità del cratere”. Insieme al rapporto Ichese, la regione pubblica anche le linee guida messe a punto dal gruppo di lavoro istituito a febbraio con il ministero dello sviluppo economico e la protezione civile, “non per rielaborare il rapporto Ichese, ma per dare prescrizioni operative alle compagnie petrolifere” nelle future attività di ricerca ed estrazione. Tra le tre cose, dunque, “la Regione ha deciso di estendere la sospensione” in tutta l’Emilia-Romagna delle trivellazioni.
    Pressioni a “Science” per non pubblicare il rapporto Ichese? “Non da noi”. Lo assicura il presidente dell’Emilia-Romagna, Vasco Errani, che corregge in aula il capogruppo M5s in regione Andrea Defranceschi. Il grillino, dopo la relazione della Gazzolo, stava elogiando il giornalista di “Science”, che la scorsa settimana ha diffuso il contenuto della commissione Ichese, ricordando anche le “pressioni” denunciate dal giornalista. “Non da noi”, lo corregge Errani fuori microfono. “Chiedo scusa di quanto accaduto” sul rapporto Ichese, dice Errani ma “mi sono interrogato, perché non mi dava risposte risolutive”. Non poteva insomma uscire così com’era “per non ingenerare allarme. Non rinuncio a ricomporre una relazione tra conoscenza e decisione, pagherò ma non rinuncio”. Ma il presidente rivendica la buona fede di fronte alle critiche dei consiglieri, “non posso essere contemporaneamente furbo e stupido”.
    La società Gas Plus che gestisce gli impianti di Cavone, vicino a Mirandola, nel cuore del cratere del sisma, è stata convocata per domani dal ministero dello sviluppo economico, “per stabilire le modalità operative del programma di monitoraggio sul campo di Cavone, che sarà avviato subito” dice la Gazzolo. I dubbi della commissione Ichese sul legame fra trivelle e sisma riguardano proprio il Cavone. Un rapporto di causa-effetto che “non può essere escluso- si legge nel rapporto- ma neanche provare”. Da qui la decisione di Regione, protezione civile e ministero di approfondire gli studi sul sottosuolo.
    Il movimento 5 stelle sfida la giunta Errani chiedendo in aula di revocare, insieme al ministero per le attività produttive, tutte le autorizzazioni rilasciate per il prelievo di idrocarburi dal sottosuolo in regione. Chiede uno stop deciso anche la Lega, con un intervento del capogruppo Mauro Manfredini letto in aula dal collega Roberto Corradi. “Questa vicenda getta un’ombra sull’operato della giunta. Il presidente chieda scusa ai cittadini”, afferma il leghista. Anche per Andrea Leoni (Fi) si tratta di un “disastro comunicativo della giunta”. Tenere “nascosto un rapporto- osserva poi- lo mette in un cono d’ombra, permette di dire ‘chissa’ cosa c’è sotto. Mi auguro che ci sia un rapporto migliore tra questa giunta e le popolazioni terremotate”.
    D’accordo con Leoni, a sorpresa, il capogruppo di Sel Gianguido Naldi, che parla di un “errore” della giunta nella gestione del rapporto: “questa situazione favorisce chi ha già un giudizio o un pregiudizio”. Naldi si dice però d’accordo sullo stop a nuove autorizzazioni alle trivelle “in attesa dei risultati definitivi”.
    “Abbiamo fatto un errore, presidente”, si rivolge a Errani anche la capogruppo Idv Liana Barbati, che chiede alla giunta di tenere più coinvolti i consiglieri. “Non ritengo che ci sia qualcosa da nascondere”, sottolinea il pd Luciano Vecchi. “Faccio fatica- dice- ad entrare nel merito del rapporto ma non vorrei che si dicesse ‘forse sì forse no’. Non vorrei che sulla base di qualche precedente chi dà un parere scientifico lo facesse per tutelarsi”. Per Monica Donini (Fds) “la possibilità di stabilire una relazione causa-effetto non è a portata della scienza” però la consigliera vede l’occasione per superare il “far west” dello sfruttamento del suolo da parte delle compagnia petrolifere. “La parola d’ordine deve essere precauzione ma all’insegna di una verità che sia fondata su aspetti scientifici”, afferma la udc Silvia Noè che auspica dunque ulteriori approfondimenti.
    “La Regione non è titolata a revocare le concessioni. Non può neanche votare perché è illegittimo”. L’ha detto, incontrando i comitati che si oppongono alle trivellazione presenti oggi in assemblea, l’assessore alle attività produttive della Regione Emilia-Romagna, Gian Carlo Muzzarelli. Durante l’incontro, l’assessore ha anche spiegato che il campo di Cavone (quello su cui il rapporto Ichese non ha di fatto escluso completamente una correlazione con il sisma) è in esaurimento. L’assessore ha spiegato che come Regione si possono solo impostare “trattative di carattere politico. Non si può imporre, bisogna trattare”. L’unico margine di decisione su questo fronte è in una fase preliminare come nel caso del rigassificatore di Rivara “lì abbiamo imposto il blocco con gli atti”. A chi tra i comitati ha legato il blocco delle attività al sisma, Muzzarelli ha risposto che lo stop è partito prima del terremoto. La collega alla protezione civile, Paola Gazzolo, è tornata invece a ribadire che, sulla pubblicazione del rapporto e sulla trasparenza, “non mettiamo il bavaglio a nessuno. Siamo qui a parlare con voi per questo”
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    “Internazionale”, 16 aprile 2014, QUI

    IL TERREMOTO IN EMILIA-ROMAGNA E L’ESTRAZIONE DI IDROCARBURI
    di Redazione

    Secondo il rapporto della commissione Ichese (International commission on hydrocarbon exploration and seismicity in the Emilia region) anticipato da Science e poi reso pubblico il 15 aprile, non si può escludere che il sisma del 20 maggio 2012 in Emila-Romagna sia stato scatenato dall’estrazione di petrolio dal pozzo di Cavone, a circa 20 chilometri dall’epicentro del terremoto.
    È improbabile che l’estrazione di petrolio e l’immissione di fluidi da soli abbiano potuto generare la pressione necessaria a provocare un forte terremoto, ma potrebbero aver contribuito a innescarlo.
    “L’evento sismico sarebbe comunque avvenuto prima o poi, ma probabilmente in tempi successivi e non precisabili. In altre parole, il terremoto è stato anticipato”.
    “È possibile che la faglia coinvolta nelle scosse del 20 maggio fosse vicina al punto di rottura e che le modifiche nella crosta indotte dall’attività umana, pur estremamente piccole, siano state sufficienti a scatenare il terremoto”, spiega Science.
    Il gruppo di lavoro della commissione, formata da geologi italiani e stranieri, “ha raggiunto questa conclusione sulla base di correlazioni tra l’incremento della produzione del giacimento Cavone dall’aprile 2011 e la crescente sismicità nell’area prima del maggio 2012″.
    Tutta la pianura padana è attiva da un punto di vista sismico e qualsiasi attività estrattiva deve essere preceduta e accompagnata da un’attività di monitoraggio e di studio che possa aiutare a gestire i rischi sismici, conclude il rapporto.
    La commissione Ichese è stata istituita l’11 dicembre 2012 dalla protezione civile su richiesta del presidente della regione Emilia-Romagna Vasco Errani per indagare le relazioni tra l’attività estrattiva e il terremoto del 20 e 29 maggio 2012.
    In tutta la regione sono sospese le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, mentre il gruppo è al lavoro per ulteriori approfondimenti.
    Nel terremoto del 2012 in Emilia-Romagna sono morte 17 persone, i feriti sono stati trecento, 15mila gli sfollati
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  4. Pingback: Sisma emiliano del 2012: non sono escluse responsabilità umane | Paesaggi vulcanici

  5. In occasione del secondo anniversario del sisma in Emilia, il blog “INGV Terremoti” ha pubblicato (il 30 maggio 2014) 10 risposte su quell’evento fornite dai ricercatori che lo stanno studiando: Luigi Improta (INGV-Roma1), Enrico Serpelloni (INGV-BO), Romano Camassi (INGV-BO), Carlo Meletti (INGV-Pi), Claudio Chiarabba (Direttore Struttura Terremoti INGV).
    L’articolo è consultabile QUI.

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