La collina del disonore

A SSV mi è stata definita come “la collina del disonore”. E’ una discarica cresciuta a dismisura tra gli anni Sessanta e i Novanta, chiusa (formalmente, perché intorno è ancora un disastro) solo ai primi degli anni Duemila.
Per il mio studio ha un ruolo molto importante, infatti ogni intervista che ho raccolto ne ha fatto cenno: quella collina squadrata ti entra nella testa con la sua innaturale geometricità, col suo colore malato e la sagoma di quei tre o quattro alberi sacrificati per un illusorio ripristino ecologico. Mi sono ritrovato spesso a volgervi lo sguardo, ma mai come ieri ne sono rimasto impressionato. Pendolavo tra la mia Penisola e Napoli col jet via-mare, guardavo le forme che il vulcano assume quando ci si sposta da sud a nord, scattavo fotografie, riconoscevo luoghi e cognoli. Poi la vista di una sorta di gradino m’ha fatto saltare sul sedile: era il profilo della Ammendola-Formisano.
Di seguito alcuni scatti degli ultimi mesi, da varie angolature. La foto al tramonto è di Ciro Teodonno, le altre sono mie.

Questo slideshow richiede JavaScript.

19 thoughts on “La collina del disonore

  1. “Il mediano”, 10 maggio 2011, http://www.ilmediano.it/aspx/visArticolo.aspx?id=13499

    QUALCOSA SI MUOVE SOTTO IL SITO DI STOCCAGGIO AMMENDOLA-FORMISANO
    Ciro Teodonno
    Nella famigerata cava ercolanese, adibita a discarica e a sito di stoccaggio “provvisorio” si notavano già da qualche giorno strane modifiche alla sua struttura. Siamo andati a verificare di persona lo stato delle cose.

    Erano giorni che, affacciandomi dalla provinciale del Vesuvio, notavo che il cosiddetto sito di stoccaggio provvisorio dell’Ammendola-Formisano (provvisorio dal 2008!) mostrava una strana sbavatura bianca sul suo lato ovest. Tutto ciò, conoscendo ormai bene la fisionomia della sua macchia verdognola, posta in essere dall’allora sindaco di Ercolano Daniele, mi aveva messo sul chi-va-là.
    Sta di fatto che domenica scorsa (8/5/2011), percorrendo la Provinciale, mi accorgo che il telone verde, che contiene da anni le balle di “tal quale”, cresceva alla sua sinistra. – Ecco! E ‘o sappevo! Prima o poi l’avrebbero fatto! – questo mi dicevo, pensando a male. Decido pessimista di andare a vedere, per capire bene di che cosa si trattasse. Ieri mattina, appunto, raggiungo la Cook, la stazione fantasma di quella che un tempo era la ferrovia del Vesuvio e che oggi altro non è che l’esempio di sperpero e incuria. A poca distanza s’erge la “Collina del disonore” come qualcuno la chiama ancora. Un centinaio di metri (e forse più!) di immondizia, accumulata lì per almeno 30 anni e finalmene, al suo lato, l’altro scempio, le balle del 2008.
    A dire il vero ci sarebbero anche quelle del 2001, che ormai deteriorate dagli agenti atmosferici, si sbriciolano col vento che ne diffonde ovunque i detriti più leggeri. Dalla cima della “collina” non si può non notare la presenza, immediatamente a valle, di splendidi campi coltivati a vigneti e pomodorini, alberi di albicocche e, a breve distanza, l’ufficio tecnico del Parco Nazionale del Vesuvio, che magnifico paradosso! Scendo verso le balle e m’avvio verso gli uomini che lavorano a un grosso telone di PVC, li saluto, e in effetti sembra lo stiano assemblando nelle sue varie parti o, forse riparandolo non so.
    Chiedo loro la ragione di tale operazione e mi dicono di essere una ditta pomiglianese e che devono sistemare il telone lungo tutta l’area dello stoccaggio, coprendolo ma non sanno dirmi altro, mi indicano però il guardiano (o così credo) della discarica. Costui si presta anch’egli gentilmente a rispondere alle mie domande e mi dice che lo scopo della copertura è quella di evitare che pioggia filtri tra il pattume e ne convogli a valle il percolato e che gli uccelli non ne facciano scempio. In effetti dal sito fuoriesce una grossa condotta in geperit, che conduce a due grossi serbatoi di metallo, uno di questi tracima un liquido che non so ben definire, sta di fatto che non sembra puzzare (indosso una mascherina precauzionale), ma si riversa nel suolo che lo assorbe.
    Penso che, se questa sia stata la prassi, in questi quasi tre anni di “provvisorietà”, quanto percolato debba aver assorbito il terreno e le coltivazioni circostanti in tutto questo tempo. Il fatto poi che la si copra, sembra avvalorare la mia tesi e questo con buona pace di chi, a suo tempo, “assicurando che il terreno della discarica è protetto da una geomembrana”, s’apprestava a nascondere lo scomodo fardello. Di ritorno da un luogo fin troppo ameno per quel che cela, tentiamo invano di contattare il nuovo assessore all’Ecologia e Ambiente del comune di Ercolano, Antonello Cozzolino, anche per sentire una voce ufficiale sull’argomento ma appunto niente.
    In attesa di qualche chiarimento rimane la solita domanda: ha ragione d’esistere, in un Parco Nazionale, quella che sarebbe più opportuno chiamare discarica?

    IL VIDEO

    Le FOTOGRAFIE dell’area circostante (tratte dal blog “Fairbanks 142”)

    ———–

    [La domanda con cui si chiude l’articolo è toccante perché amareggiata e legittima, ma la risposta forse è ancor più disarmante: si, ha senso che una discarica si trovi nel PNV. O, almeno, ne sono profondamente persuaso… è uno dei nodi teorici che ho maturato durante il mio soggiorno a SSV. Avrò modo di spiegarmi diffusamente in uno specifico capitolo della tesi finale.]

  2. Anche altrove sorgono “colline del disonore” e anche altri vulcani sono considerati immondezzai.
    All’inizio dell’estate è arrivata all’attenzione nazionale l’esplosiva situazione del cosiddetto “ottavo colle di Roma”, ovvero l’immensa discarica di Malagrotta (“la più grande discarica d’Europa”), la cui attività, sebbene il sito sia al collasso, è stata prorogata di ulteriori 6 mesi dalla giunta regionale: QUI. Lo scorso gennaio, però, ne parlò già “La Stampa” con un reportage da conservare.
    Oggi, dalla Sicilia, arriva invece la denuncia che sulle pendici dell’Etna le discariche crescono più della vegetazione: QUI (e più in basso).

    – – – – –

    “La Stampa”, 5 gennaio 2011, http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/382442/

    Viaggio nell’inferno di Malagrotta, discarica in proroga
    Illegale per Italia ed Europa, continua a ricevere immondizia

    di Mattia Feltri

    Il confine fra legale e illegale è notoriamente mobile, e il caso della discarica di Malagrotta illustra il concetto: illegale secondo le leggi europee, illegale secondo gli standard sanitari, la discarica continua a funzionare grazie alla proroga delle proroghe. Nel 1999, l’Unione stabilì che le discariche ospitassero solamente i rifiuti non riciclabili. L’Italia fece sua la norma nel 2003 e la applicò nel 2005. A Malagrotta finisce l’80 per cento dei rifiuti di Roma (più quelli del Vaticano, di Fiumicino e di Ciampino) e si tratta di rifiuti di ogni genere. A Roma, secondo dati ufficiali (del 2008) e tuttavia ottimistici, la raccolta differenziata non va oltre il 20 per cento. Così, ogni anno, in un righino introvabile e abilmente occultato della Finanziaria, si concedono a Malagrotta altri dodici mesi. E lo stesso fa la Regione, poiché la zona registra un clamoroso tutto esaurito. Ma un buchino nuovo per un altro carico lo si trova sempre. E intanto Comune e Regione hanno promesso di trovare un’altra area «discaricabile».

    Il mostro
    La discarica di Malagrotta è considerata la più grande d’Europa. È nel territorio comunale di Roma, a Nord Ovest, non lontano da Fiumicino, a sei chilometri in linea d’aria da San Pietro. Non si sa quanto sia estesa. Secondo qualcuno 160 ettari, per altri 240. Se gli ettari fossero 200, l’area equivarrebbe a quella occupata da circa 250 campi da calcio. Un paese da duemila abitanti. Ogni giorno, i camion della nettezza urbana scaricano fra le 4 mila 500 e le 5 mila tonnellate di rifiuti. Secondo le stime dei comitati che si battono per lachiusura della discarica, dagli anni Sessanta lì sarebbero stati riversati 60 milioni di tonnellate di rifiuti. Che cosa significa 60 milioni di tonnellate? Significa 80 milioni di utilitarie come la Fiat Uno. È l’equivalente di 750 milioni di uomini dal peso medio di 80 chili, cioè l’intera attuale popolazione europea. Oppure di 30 milioni di elefanti indiani. O ancora, di un milione e 200 mila capodogli. Ora la chiamano l’ottavo colle di Roma, sebbene secondo un’orografia variabile: il mostro si espande, si innalza, modifica l’orizzonte di giorno in giorno.

    Disastro bipartisan
    Si dice spesso che se l’avvocato Manlio Cerroni, 86 anni, titolare del capitale sociale della discarica, decidesse domattina di chiudere i cancelli di Malagrotta, in una settimana Roma surclasserebbe Napoli. Non succederà. Nel 2007, il comune ha versato a Cerroni 72 euro per ogni tonnellata di rifiuti entrata in discarica. Lui dice che è un prezzo di favore perché ama la capitale. Vero, però il mercato è tutto suo. Dai rifiuti ricava metano. Con i contributi statali ha costruito un impianto con cui produce energia elettrica, e la rivende. Il radicale Massimiliano Iervolino, che segue da anni la vicenda, parla di un «disastro bipartisan»: al Comune e alla Regione si sono alternati sindaci e governatori di destra e soprattutto di sinistra, ma la discarica continua a funzionare per mancanza di un piano alternativo e a prescindere dal colore di chi comanda. Nel 1999, venne nominato un commissario straordinario dotato di un subcommissario, di tre vicecommissari e di una commissione scientifica perché nel giro di un anno studiasse un piano per uscire dall’emergenza dei rifiuti e condurre Roma a differenziare, entro il 2003, il 35 per cento dei rifiuti prodotti. La spesa è stata di 64 milioni di euro. Il commissario, anziché un anno, ce ne ha messi nove. Ma il suo piano è inapplicato. Nel 2002, Walter Veltroni compose un gruppo di otto saggi perché individuasse il modo di differenziare il 45 per cento dei rifiuti. Il loro lavoro non è mai stato diffuso né preso in considerazione. Oggi, come accennato, Roma differenzia il 20 per cento dei rifiuti. È un dato basso anche perché il vetro, la plastica e i metalli si raccolgono in un unico cassonetto e, quando vengono pressati, il vetro rovina la plastica e la plastica rovina il vetro e si riesce a riciclare solo il metallo. Ora l’assessore Pietro Di Paolo della giunta Polverini indica nel 60% di differenziata l’obiettivo del 2011 e nel 65% quello del 2012, ma a Iervolino ha già spiegato l’ovvio: il traguardo è irraggiungibile.

    La convivenza
    Al palazzo della Regione, che in linea d’aria dista da Malagrotta un paio di chilometri, nelle giornate di vento arriva la puzza della discarica. I 50mila abitanti della zona di Malagrotta la sentono tutti i giorni, da decenni. La loro quotidianità è l’andirivieni spossante dei camion della nettezza. Nel 2007 Veltroni applicò un’ordinanza di 25 anni prima, che imponeva la copertura quotidiana dei rifiuti con la terra. Non lo si fa proprio tutti i giorni, ma in ogni caso migliaia di gabbiani si disputano la spazzatura. Sulla qualità dell’aria si litiga da anni. Su quella dell’acqua i dubbi sono risolti dall’Arpalazio, l’agenzia di protezione ambientale. A luglio ha evidenziato «un peggioramento dello stato di contaminazione del sito» rispetto ai dati del 2009. Che erano già peggiori di quelli del 2008. Il 12 novembre, a «tutela dell’incolumità pubblica», il sindaco Gianni Alemanno ha imposto che entro 30 giorni si avviassero i controlli a Malagrotta (controlli che l’Arpa cominciò a sollecitare nel 2003). I controlli non sono si sono avviati. Il 25 marzo 2005, senza che nessuno se ne accorgesse, la giunta regionale di Francesco Storace stese due ordinanze con cui consentiva l’allargamento della discarica e la costruzione di un gassificatore per la produzione dell’energia elettrica. Lo si scoprì dopo la vittoria di Piero Marrazzo, che garantì ai residenti di Malagrotta che avrebbe bloccato tutto. Ma non bloccò nulla. Il gassificatore è stato completato e si dibatte su quanto inquini e quanto sia pericoloso. Di tutto questo rimane una fantastica intervista fuori onda di Mario Di Carlo, assessore della giunta Marrazzo con delega sui rifiuti, che a Report raccontò la passione comune con Manlio Cerroni: «Andare a magna’ a coda alla vaccinara».

    ————-

    “Corriere del Mezzogiorno”, 2 settembre 2011, http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/catania/notizie/cronaca/2011/2-settembre-2011/etna-vulcano-che-vomita-rifiutile-discariche-crescono-senza-sosta-1901427213979.shtml

    Etna, il vulcano che «vomita rifiuti». Le discariche crescono senza sosta
    Il commissario del Parco: «Pronto un protocollo d’intesa per la videosorveglianza, aspettiamo l’ok dal ministero»

    di Andrea Di Grazia

    CATANIA – Con un ritmo che sembra competere con la crescita della vegetazione, crescono i cumuli di spazzatura all’ interno del Parco dell’ Etna. Si è perso il conto delle micro-discariche presenti sul vulcano più alto d’ Europa. Nell’ottobre del 2008 i responsabili provinciali di Legambiente elaborarono una sorta di «mappa dei rifiuti» inserendo foto e coordinate di tutti i siti individuati. Fu presentata una denuncia formale alla Provincia di Catania, ai comuni della fascia pedemontana, al Nucleo Ecologico dei Carabinieri ed all’Ente Parco. Ma a distanza di tre anni la situazione è addirittura peggiorata.

    RIFIUTI PERICOLOSI – Tonnellate di buste bianche, eternit, mobili, copertoni e rottami di autovetture riposano immersi nel verde e cullati dal fruscio dei castagni in fioritura. Dagli 800 ai 1.300 metri la probabilità di avvistare mute di cani intorno ai mucchi di rifiuti è altissima. Alcuni mesi addietro ci fu una misteriosa moria di randagi, uccisi col veleno proprio perché il loro numero era aumentato in maniera esponenziale. Anche le volpi si sono accorte delle ricche scorte di cibo nascoste tra le buste di plastica abbandonate. Soprattutto durante la notte è facile incrociare due o più esemplari con un triste bottino fra i denti. Tra le sciare di Ragalna prolificano colonie di «cozze d’alta quota», abbandonate dai gitanti della domenica.

    LE «ZONE CALDE» – Le aree più colpite si trovano nei versanti Sud Est e Sud Ovest: Adrano, Nicolosi, Pedara e Ragalna sono i comuni con un maggior numero di discariche. In contrada Salto del Cane, all’uscita di una piccola galleria, la carreggiata viene periodicamente sommersa dai rifiuti che i bordi della strada non riescono più a contenere. Quando piove o soffia un forte vento, il materiale più leggero scivola verso valle, quasi fosse un piccolo torrente colorato. Nel territorio di Tarderia non si contano le carcasse d’auto abbandonate tra i rovi e le ginestre. Come di consueto, non mancano i rifiuti speciali. L’eternit gareggia con i copertoni usati per la conquista del triste primato: lungo la strada provinciale 120 al posto delle pietre miliari si incontrano piccoli totem creati quasi ad arte con le ruote usate. Al chilometro 16 c’è una enorme distesa di spazzatura che, denunciano gli abitanti della zona, non è stata mai rimossa a causa del rimpallo di responsabilità tra gli enti locali.

    IL COMMISSARIO DEL PARCO – «Quello dell’inquinamento ambientale è un fatto di grandissima gravità – afferma il commissario del Parco dell’Etna, Ettore Foti – che abbiamo più volte affrontato insieme a Prefettura, polizia e amministrazioni comunali. È già pronto un protocollo d’intesa per realizzare un sistema di videosorveglianza delle zone ad alto rischio, ma siamo ancora in attesa di un responso dal ministero dell’Ambiente». Dal canto loro, gli ambientalisti sono scoraggiati, proprio perché delusi nelle loro aspettative. «Dopo il nostro censimento non è cambiato nulla – dichiara Renato De Pietro, presidente della sezione catanese di Legambiente – la quantità di rifiuti attuale è un indicatore dello stato di salute del Parco stesso».

  3. Una preziosa mappa realizzata da Ciro Teodonno sulle discariche più o meno ampie (e più o meno permanenti) sul territorio comunale di SSV.

    “Fairbanks 142”, 19 settembre 2011, http://fairbanks-142.blogspot.com/2011/09/discariche-sebastianesi.html

    Discariche sebastianesi

    vorrei chiarire brevemente i criteri utilizzati per la definizione di queste mappe (GPS>Google Earth/IGM 1/25.000).
    Innanzitutto quale residente ho potuto marcare (con i cosiddetti waypoint) quelle discariche che grazie alla conscenza del territorio ho potuto definire permanenti poiché presenti sul da almeno un anno. La sitazione più estesa è quella relativa a via Panoramica, anche se costituita in prevalenza di materiale cartaceo. Le più complesse da smaltire sono quelle di Cupa Monaco Aiello e dell’alveo Buongiovanni con la presenza di materiale edile che, nel caso di Via Buongiovanni, stanzia lì da più anni. Caso particolare Via Mercalli dove è possibile che la discarica stia in una proprietà privata. A tal proposito non ho segnalato quelle discariche, in alcuni casi ben più consistenti, limitrofe al nostro comune ma site in Ercolano e Cercola, come quelle evidenti in Via Monaco Aiello/Ammendola e Via Tufarelli/Madonnelle.
    Questo lavoro funge anche da esempio per quello che si può fare, in maniera più estesa e collaborativa in altri comuni del Vesuviano, nonché sulla rete sentieristica vesuviana
    .

  4. “Il mediano”, 4 dicembre 2012, http://www.ilmediano.it/apz/vs_art.aspx?id=3647

    LA MALEDIZIONE DI SAN VITO

    di Ciro Teodonno

    Non si tratta dell’anatema del santo né di quella di una fattucchiera vesuviana ma la reale disgrazia che pesa sugli abitanti della frazione più alta di Ercolano, limitrofa alle bombe ecologiche dell’Ammendola-Formisano e di Contrada Novelle Castelluccio.
    Quando si parla di maledizioni si parla sempre di qualcosa di oscuro, di intangibile, di non pronunciabile, come le patologie che affliggono con particolare incisività certi luoghi del nostro martoriato territorio, quei luoghi che per anni hanno patito la purtroppo reale disgrazia di essere il ricettacolo di quanto più tossico la nostra nazione potesse produrre e accogliere.
    Quando si parla delle malattie neoplastiche, i tumori per intenderci, se ne tace il nome specifico, vuoi perché sono termini troppo complessi per i comuni mortali, vuoi perché sembra quasi che la semplice pronuncia di quel nome comporti una sorta di contagio e questo a causa del subdolo e talvolta oscuro processo che porta all’infermità. Tacendone però il nome se ne nascondono spesso anche le origini, o meglio, le cause. Spesso, queste trovano ragione non solo nell’ereditarietà o in una cattiva condotta di vita ma anche e soprattutto nell’inquinamento territoriale. E in questo caso, di sicuro, il voler relegare la disgrazia dell’infermità a una non definibile cattiva, impronunciabile e oscura sorte, conviene a molti, che invece, cognizioni e colpe ne hanno e pure tante.
    La frazione di San Vito è un vero e proprio quartiere che però s’inerpica, in maniera più o meno ordinata e abusiva, sulle pendici del Vesuvio, è separata dal comune di appartenenza, Ercolano, dal limite della Benedetto Cozzolino, importante asse viario che collega l’interno del Vesuviano con la sua fascia litoranea. Il problema di questa sorta di popoloso paese nella città è che ha visto il suo sviluppo edilizio andare di pari passo con quello delle discariche illegali, e legali, che ormai costellano il nostro paesaggio.
    L’elemento che contraddistingue, non solo visivamente, il luogo è quello della cosiddetta Collina del Disonore; a chiunque la veda e non ne conosce l’origine, questa appare come una delle tante protuberanze vulcaniche che sovente appaiono attorno al Vulcano ma non tutti sanno, o non tutti vogliono sapere, che quella è una montagna di monnezza. Circa 300 metri di rifiuti non meglio identificabili e che chiamarli monnezza sembra quasi dargli un epiteto romantico. Stiamo parlando della collina di rifiuti della discarica dell’Ammendola-Formisano uno dei tanti luoghi malsani del nostro territorio, un Sito Potenzialmente Contaminato e di importanza nazionale (S.I.N. come da DM 471/1999) e disgraziatamente nel Parco Nazionale del Vesuvio.
    La sua storia, come quella di tutte le discariche vesuviane, risale molto probabilmente al dopoguerra e al progressivo cambiamento delle abitudini e delle realtà locali, un graduale e inesorabile passaggio dall’economia rurale e di sussistenza familiare all’odierno e sfrenato consumismo. La Collina del Disonore, secondo alcuni anziani, ha incominciato a crescere già verso la fine degli anni sessanta per vedere il suo apice negli anni novanta, prima della sua fittizia chiusura, e quando, è molto probabile che vi siano stati scaricati abusivamente rifiuti altamente pericolosi.
    La sua storia è piena di spazzatura come di ribellione da parte di chi ha vissuto e lavorato nelle sue vicinanze, vedendo però sempre frustrati i parziali successi ottenuti, quasi come in una fatica di Sisifo, il mitico personaggio che aveva osato sfidare gli dei e che si vedeva per questo ricadere perennemente giù il macigno che altrettanto perennemente spingeva su verso la cima di una montagna. Proprio così, sembra che questi luoghi, vocati naturalmente a un’agricoltura unica e ricercata e dal panorama meraviglioso, debbano, per una forza superiore, divenire oggetto dello stoccaggio dei veleni nostri e altrui e senza appello alcuno per chi ci vive. Le voci del territorio sostengono a voce bassa e non certo con poca circospezione che lì ci siano sotterrati automezzi carichi di sostanze radioattive, ma non solo nell’Ammendola-Formisano, c’è addirittura chi afferma che in diversi appezzamenti limitrofi alla ex-cava, vi siano altri rifiuti radioattivi, occultati ai più.
    Per chi non conoscesse la zona e la sua storia, a valle della Collina c’è un vasto incavo adibito in passato a cava e dove permangono ancora i “siti di stoccaggio provvisorio” del 2001 e 2008. Questi siti, dalla dubbia coibentazione, furono posti in essere, nel 2001, dall’allora sindaco Luisa Bossa e nel 2008, in maniera più estesa e visibile dall’alto, dall’allora amministrazione Daniele e incombono sulla prima restaurata e poi abbandonata “Stazione Cook”, emblema di un altro dei tanti progetti di riqualificazione turistica frustrati da un territorio refrattario, da una sua miope conoscenza e da chissà cos’altro ancora.
    Più a valle ancora, ma non distante dalla discarica, c’è la Contrada Novelle-Castelluccio, logica e affine propaggine di rifiuti e veleni, e motivo di un’interrogazione parlamentare la scorsa estate a causa dei continui roghi di immondizia e soprattutto di amianto, verificatisi con dolo e puntuale ripetizione ogni estate. Sembra che tale zona possa essere interessata, in un futuro non ancora ben definibile, da una bonifica regionale, a tal proposito l’assessore all’ecologia del comune di Ercolano, Antonello Cozzolino, ci ha anticipato anche un’intesa con l’ASTIR che apporterebbe una prima opera di bonifica del sito in questione e dove uno stanziamento di 100.000 € dal bilancio comunale e una disponibilità di circa 300 addetti dell’azienda regionale (in liquidazione) permetteranno la raccolta e la selezione di tutto il rifiuto riciclabile, ben diverse e complesse saranno invece le operazioni di trattamento e smaltimento dei rifiuti speciali, sicuramente presenti in zona.
    Per quel che concerne l’Ammendola-Formisano e il riassetto della Novelle-Castelluccio con i fondi PIRAP per una sua riqualificazione della strada rurale e per l’avvicinamento ai percorsi turistici principali, sempre da quanto ci dice l’assessore Cozzolino, il comune di Ercolano anticipa ogni anno, per il contenimento del percolato dei siti dell’Ammendola-Formisano, 100.000 € che il Commisariato di Governo (lo stesso che corrisponde un canone ai proprietari della cava), prima o poi, dovrebbe restituire alle casse comunali. In relazione alla Novelle Castelluccio e i fondi PIRAP, ormai approvati per la riqualificazione dell’area rurale con due progetti, questi andranno di pari passo con la suddetta bonifica.
    Questo, altrove, lascerebbe ben sperare ma conoscendo la storia locale e soprattutto l’ipocrisia che ha contraddistinto questi luoghi e chi li amministra c’è il timore che il tutto si risolva in un operazione di facciata e che quei soldi si spendano solo per non mandarli indietro e per sfruttarli opportunamente, vista la tempistica, in periodo elettorale. Il pericolo più grave è però quello che ci si dimentichi, proprio grazie a queste operazioni di facciata, del reale problema che è quello della forte incidenza delle malattie tumorali nella zona di San Vito e di quanto tali patologie stiano falcidiando la popolazione locale. Quasi tutte le famiglie del luogo sostengono di avere avuto in famiglia casi di neoplasie, spesso mortali e la zona è ormai in fermento.
    Per questo, da qualche giorno, nelle case della frazione e non solo, circola un questionario, fatto dai cittadini, per avere qualcosa di tangibile da proporre alle autorità, senza forse sapere che di indagini se ne sono già fatte in passato, ultimo lo studio SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento che riguarda l’analisi della mortalità delle popolazioni residenti in prossimità di una serie di grandi centri industriali attivi o dismessi, o di aree oggetto di smaltimento di rifiuti industriali pericolosi, che presentano un quadro di contaminazione ambientale e di rischio sanitario tale da avere determinato il riconoscimento di “siti di interesse nazionale per le bonifiche” S.I.N.) che pur non valutando l’elemento delle discariche illegali è stata comunque rilevata una sensibile incidenza delle patologie tumorali nella zona del litorale vesuviano e in particolar modo quelle relative alle vie respiratorie
    .

  5. “Il mediano”, 19 gennaio 2013, QUI

    ERCOLANO. CAVA MONTONE: IL NULLA DELLA NOSTRA STORIA
    Una passeggiata sulle Lave Novelle, per registrare quello che ancora si può tramandare alle future generazioni, nella speranza che non sia solo un ricordo ma un qualcosa di ancora concreto e vivibile.
    di Cio Teodonno

    In un paese dove non si parla altro di quanto sia ricco il proprio patrimonio artistico, vedere con ciclica frequenza il suo disfacimento, per non dire l’annientamento di un patrimonio culturale ritenuto unico solo a parole, dimostra la poca conoscenza che si ha del proprio territorio e di quanto il suo vanto non sia altro che un vuoto stereotipo, né più e né meno dissimile da quello reiterato negli altri paesi.
    Nelle nostre passeggiate vesuviane abbiamo spesso incontrato e denunciato (non solo a parole!) il degrado in cui versa il nostro Vulcano, ultimamente abbiamo avuto il coraggio, più che altro la follia, di tornare alle Lave Novelle, nel comune di Ercolano, a valle delle bombe ecologiche dell’Amendola Formisano e di Contrada Novelle Castelluccio. Un luogo in potenza bellissimo, nonostante il fatto di esser stato in passato luogo d’estrazione, dove s’è preso quel basalto che ha pavimentato le nostre strade e che ha reso più belle le nostre case, un luogo che mantiene ancora un fascino tutto suo.
    Guardando a oriente, verso il Gran Cono, si apprezza la stratigrafia delle colate laviche, succedutesi nei secoli della storia ardente di questi luoghi, in particolar modo le lave del 79 DC, poste a un livello più basso e di un colore tendente a grigio giallognolo e quelle più recenti, tendenti all’azzurro, quelle del 1872. La cava dà l’impressione d’essere un grande cratere, anche se tale non è, ma il suo aspetto spettrale è rafforzato anche dall’apparente e inusitata assenza di costruzioni, per lo meno non nella confusa logica costruttiva locale, che vuole le une addossate alle altre, in un trionfo di alluminio anodizzato e di cotto pseudo-toscano, di tettoie di plastica e di graffiato cadente, dove l’incompiuto non è certo michelangiolesco, ma sa di affrettato, di attesa, di prossima radicante e impunita superfetazione.
    La spianata di cava Montone, la nostra meta, è un settore immediatamente al di sotto della Contrada Novelle Castelluccio, ben nota alle cronache per essere un luogo di veleni, una discarica abusiva che, nonostante telecamere e promesse, continua ad essere adibita allo sfogo del nostro consumismo ipocrita. Suddetta cava si trova una ventina di metri al di sotto del livello della “Contrada” e la si può raggiungere dalla famigerata Via Benedetto Cozzolino, seguendo a monte Via Viola.
    All’apice di tale via, a compendio dell’amenità dei luoghi, ci accoglie un presidio della Benemerita, che non è certo lì per noi, poveri sfasulati, in cerca di un territorio perduto, ma a vedetta di qualcuno che ha scelto altre emozioni e altri valori.
    Prendiamo a monte il prolungamento di Via Viola, che ora assume i connotati di un’antica via di campagna, lastricata di quei basoli partoriti dalla terra che attraversa. Fermiamo l’auto presso l’ex Orfanotrofio, un relitto dal passato incerto e da un futuro ancor più tristo. La sua struttura dà ad intendere di aver avuto più usi e soprattutto vari ampliamenti, al corpo centrale, probabilmente di fine ‘800, si addossa una fabbrica che sembra più recente, forse della prima metà del secolo scorso (il ‘900) ma la parte forse più antica è quella delle cantine ormai invase dalle lave e dai flussi piroclastici delle passate eruzioni lasciando però un valido esempio di ciò che erano con la bella entrata, lastricata anch’essa in pietra lavica.
    L’ex Orfanotrofio, sembra sia stato retto da un ordine di suore francescane fino alla sua dismissione, e che avesse, nel suo ultimo periodo di attività, carattere di convitto per i bambini provenienti da famiglie meno abbienti. Pare anche, secondo testimonianze locali, che terreni ed edificio fossero stati donati alle religiose da una coppia di italo-americani ma le notizie si perdono fumose nell’oblio dei tempi.
    Dal cancello dell’antico edificio seguiamo Via Viola verso est, questa si biforca in due, sulla destra ci si inoltra brevemente nelle campagne, fino a uno spiazzo, dove uomini dallo sguardo truce e circospetto, forse gelosi del loro spazio, giocano con i loro aeromodelli, usando il piazzale come pista d’atterraggio. Io e la persona che m’accompagna, leviamo occasione, lasciamo le persone serie a giocare e prendiamo la deviazione di sinistra, per andare a perder tempo in mezzo alle sterpaglie di Cava Montone.
    Via Viola diviene ora una stradina dilavata dalla pioggia, costellata di rifiuti d’ogni genere e d’ogni età, giungiamo in una piana ampia; alle nostre spalle, a ovest, giace Partenope col suo Golfo e di fronte a noi, incorniciato in basso dalle lave, il Vesuvio; verso destra invece, sul versante meridionale, la cava prende la sua massima profondità che attende di essere riempita dagli innumerevoli camion che vi scaricano detriti d’ogni genere e che testimoniano la loro presenza col tracciato dei loro pneumatici e lo scarico dei loro putridi ventri. Vaghiamo in senso opposto, io e il mio amico, per cercare la vera ragione della nostra passeggiata, i resti di una villa romana, segnalata negli anni ottanta (9 giugno 1983) proprio in quel luogo, sembra che la costruzione di un edificio abbia rivelato l’esistenza del sito, che palo!
    Vaghiamo come due anime del purgatorio, camminando su un manto di sterpi e rovi rinsecchiti dalla stagione invernale, e che spesso celano, al di sotto del manto erboso, i residui di anni di scarichi; i miei scarponi scricchiolano sui mattoni e sui calcinacci che non vedo ma sento, spesso rischio di perdere l’equilibrio, ma non sono le cadute che temo; più in là, a una ventina di metri scorgo un ammasso di eternit. La storia continua! Ormai l’amianto qui pullula più dei funghi e delle more. Mi allontano e vedo il mio compagno d’avventura, un architetto appassionato di storia locale, che mi indica qualcosa, è in un avvallamento che sembra il cratere di un esplosione, del tipo di quelli che lasciano le bombe gettate dagli aerei, ma per fortuna gli unici aerei che sentiamo sono i modellini che ci ronzano sulla testa. Col sole del tramonto in faccia, scorgo con difficoltà ciò che resta di un’antica struttura, ma le mura in opus reticolatum mi fanno capire che eravamo nel posto giusto.
    Dall’alto del fosso ammiriamo muti il nostro passato, la nostra storia seppellita dallo sversamento delle benne e dei cassoni dei camion che seguitano a rigurgitare materiale edile sui laterizi e i tufelli di duemila anni fa; i copertoni, le lamiere, i teloni di plastica e tutto lo scibile dell’umano scarto ricoprivano ciò che solo un occhio esperto e allenato sapeva riconoscere e compiangere.
    Siamo riamasti là, senza sapere che fare, prima a discutere, poi a farfugliare e poi ammutoliti da tanto contrasto, il nulla del rifiuto e l’ancestrale presenza di quei resti, rimanemmo fin che potemmo, a pensare e ad osservare
    .

  6. Ciro ha postato una sua fotografia dei primi anni ’90 della “collina del disonore”, ovvero la discarica Ammendola-Formisano: QUI.
    Ho commentato citando un articolo molto toccante: «…E’ una tragedia privata che in Campania e a Napoli ha le dimensioni di un’epidemia dai numeri raccapriccianti. Nessuno ne parla. Nessuno lo dice. Nessuno lo certifica. Almeno una famiglia su due ha un parente con un tumore. C’è ancora chi sostiene che non esiste una correlazione tra patologie, rifiuti tossici e inquinamento…» (Arnaldo Capezzuto, “Campania, intreccio di morti silenziose”, 17 gennaio 2013, QUI).

  7. Ciro Teodonno ancora su San Vito e il sospetto aumento di ammalati della località vesuviana.

    “Il mediano”, 2 aprile 2013, QUI

    ERCOLANO. SAN VITO, TERRA MALEDETTA!
    “Non solo Cristo è stato crocifisso, il cancro crocifigge la nostra Terra”. La scorsa domenica di Pasqua, con queste parole, uno sparuto gruppo di persone ha manifestato il suo no all’inquinamento ed all’indifferenza.
    di Ciro Teodonno

    San Vito è terra di nessuno: la piccola frazione di Ercolano registra alti tassi di mortalità per malattie tumorali ma a chi ci vive, nonostante i lutti in famiglia, sembra che tutto questo gli scivoli addosso.
    Domenica mattina un gruppetto di pochi coraggiosi sfida il maltempo e l’indifferenza e manifesta il proprio dissenso verso quello che si vorrebbe far passare come un destino accanito ma dove ad accanirsi è solo l’indifferenza e il malcostume, tutto nostrano, di negare l’evidenza. Il gruppo di persone capeggiato da Mariella Cozzolino, una docente d’inglese di Massa ma originaria di quei luoghi, sosta sul sagrato della bella cappella seicentesca, unico baluardo del bello in un luogo di forte abusivismo edilizio.
    Complice la pioggia, chi transita, nello spazio antistante la chiesa, degna occhiate fugaci a quelle persone. Solo all’uscita e dopo l’incoraggiamento di don Valerio, qualcuno rompe l’indugio e s’avvicina per scambiare qualche battuta con i manifestanti. Le parole sono sempre le stesse, rassegnate e impotenti ma poi c’è chi incomincia ad aprirsi, ad ammettere che in passato c’è stato chi ha permesso che in quelle terre si scaricassero fusti di diossina e di chissà quale altra sostanza venefica. Il luogo è sempre lo stesso, l’Ammendola Formisano e zone limitrofe, ma anche via Arena a San Vito e Traversa Belsito, dove sembra imperare la leucemia.
    C’è chi parla anche di un ex sindaco, nativo di quei luoghi e che nonostante anche la sua casa abbia ricevuto la visita di questa specie di nuova pestilenza, molti lo additano come il fautore o il facilitatore dei tanti sversamenti illeciti attorno San Vito. “Nottetempo salivano ‘e camion blindati, t’arricuorde?” con queste parole ti si apre lo scenario di quello che è stato San Vito negli ultimi decenni. Non è ora il momento di puntare il dito ma è il momento di far fronte a una situazione drammatica, è il momento di bonificare quei luoghi, questa è la sintesi del pensiero di padre Valerio ed è anche il nostro.
    Non sappiamo quanto di illegale e pericoloso è sepolto lì attorno e forse mai lo sapremo, a meno che, chi lo ha fatto, si passi una mano sulla coscienza e indichi, in un modo o nell’altro, dove sono seppellite le scorie che ammazzano gli abitanti di San Vito. Nel frattempo, i fondi per la bonifica della discarica ad opera della Regione seguono il loro iter e la gente qui, in questo posto baciato dal Signore e maledetto dagli uomini, continua ad ammalarsi e purtroppo a morire
    .

  8. Pingback: Camorra e negligenza alle falde del Vesuvio: una strage imminente | Lorenzo Piersantelli

    • Il post che ha linkato questo mio articolo è scritto molto male e fornisce informazioni errate. Sono stati ampiamente estrapolati brani senza virgolettarli e, in particolare, sono stati riassemblati in una maniera che ha fatto perdere del tutto il contesto in cui erano inseriti (ma questo, in realtà, mi interessa relativamente). La questione vera è che si tratta di un articolo costruito in maniera piuttosto sciatta: vengono fornite delle opinioni azzardate (ma sono del blogger) sul lavoro della Protezione Civile (che è criticabile, ma lo si dovrebbe almeno conoscere), ma più di tutto vengono dette cose inesatte e il tutto, siccome l’argomento è serio (oserei dire: drammaticamente serio) risulta particolarmente spiacevole.

  9. “Il mediano”, 16 dicembre 2013, QUI

    SAN SEBASTIANO, LE DISCARICHE DELLE VIE NASCOSTE
    Da qualche mese il paese vesuviano sta cambiando faccia ma restano le criticità. Purtroppo restano alcune realtà periferiche dove il sacchetto selvaggio impera. Questo è quanto accade in Via Alveo Buongiovanni e in Via Flauti.
    di Ciro Teodonno

    Da un paio di mesi a San Sebastiano c’è una nuova ditta (la Sa.Gi. SRL.) che si occupa in buona parte dello spazzamento delle strade locali. Finalmente si incomincia ad avere la visone effettiva e materiale della pulizia del territorio, addirittura le caditoie di alcune strade sono state ripulite dai decennali accumuli di fanghiglia, insomma, un segnale positivo c’è. Purtroppo però esistono alcune zone del paese, per lo più periferiche, che languono nel più totale abbandono. Abbiamo già parlato dello stato infimo di Via Panoramica e probabilmente ci ritorneremo ma è questa la volta di una via sconosciuta ai più, via Alveo Buongiovanni, una viuzza di campagna e come tale nascosta, isolata, poco praticata e per cui, per molti passibile anche di scarico dei rifiuti.
    Chi avesse la bontà di percorrerla si renderà conto che quello che diciamo è cosa veritiera, altrimenti potrà percorrere le strade principali in auto e gratificarsi nella sua beata ignoranza e magari incrementare quei cumuli di cui spesso si nega l’esistenza. Per gli altri invece, quelli senza paraocchi, la stradina in questione è costellata di immondizia varia, frutto del lancio dei sacchetti, che rompendosi, lasciano il loro contenuto dappertutto. Inoltre, e questa è la cosa più grave, nelle rientranze dei cancelli privati, si depositano rifiuti ingombranti come mobili vecchi o elettrodomestici obsoleti, sfalci di giardino, il fai da te delle palme infette dal punteruolo rosso e l’immancabile materiale di risulta edilizio.
    Spesso, al su elencato rifiuto, viene dato fuoco, con grave danno per le persone e le case vicine. Inoltre, più di un mese fa, ci si accorgeva che qualcuno aveva scaricato dei grossi sacconi neri, pieni di calcinacci e ancora lì presenti nel nostro ultimo passaggio di ieri mattina. Sappiamo che esiste una determina (la n°037 del 21/11/2013) che prevede il recupero e lo smaltimento dei sacconi neri ma sottolineiamo che la situazione della viuzza, ben nascosta dai rovi, è più complessa di quel singolo scarico, attende una soluzione radicale.
    Abbiamo deciso solo ora di evidenziare tale fatto poiché, il paese, a fine ottobre, era sotto una specie di attacco vandalistico e ci sembrava quindi opportuno non gettare troppa benzina sul fuoco. Abbiamo anche parlato con un consigliere e col dirigente della nuova ditta che conoscono la realtà del posto. Valga quindi, questo nostro articolo, come un pro-memoria per i loro impegni futuri. Non vorremmo infatti che quei cumuli sparissero sotto i rovi. Non vorremmo che mentre la lenta burocrazia avanza, scomparissero per causa di un rogo nottetempo.
    Risalendo l’Alveo Buongiovanni, si svolta su Via Procolo Di Gennaro, un momento di pausa allo sversamento abusivo, forse per il fatto che risulta essere un luogo più aperto del precedente o per le telecamere delle vicine vasche dell’ARIN o semplicemente perché più abitato. Al termine della via rurale se ne incrocia un’altra ovvero Via Flauti; risalendola a destra, verso Viale della Pace, poco prima dell’incrocio con questa via, giusto di fronte alle nuove palazzine, elegante complesso sansebastianese, c’è una piccola discarica, cumuli di rifiuto eterogeneo sparsi su tutto l’appezzamento limitrofo alla masseria che prende il nome della via, frutto anche questi del lancio del sacchetto, futura disciplina olimpica per la quale potremmo partecipare con buona speranza di medaglia
    .

    [Al link originale sono disponibili anche una CARRELLATA FOTOGRAFICA e due VIDEO]

  10. “Il mediano”, 18 gennaio 2014, QUI

    AMMENDOLA FORMISANO: IL BICCHIERE MEZZO VUOTO
    Da giovedì sono stati avviati i lavori della parziale bonifica dei siti di stoccaggio provvisorio dell’Ammendola Formisano ad Ercolano, nel Parco Nazionale del Vesuvio. Una riflessione e l’intervista all’assessore all’ecologia Antonello Cozzolino.
    di Ciro Teodonno

    C’è chi vuol vederlo mezzo pieno il bicchiere, ma noi no, almeno per scaramanzia, anche perché ci resta solo quella, vogliamo vederlo mezzo vuoto. Questo però non vuol essere semplice disfattismo ma vuol far capire, a chi crede nei palliativi, che non ci accontentiamo e vorremmo di più da chi ci amministra, perché non è solo questione di buon senso ma di coscienza del fatto che quel che si sta facendo non basta per stare tranquilli in una delle zone più inquinate della provincia, ma lo dobbiamo anche e soprattutto a quella gente che sta morendo a valle di quella terribile discarica che è l’Ammendola Formisano.
    Ma andando per ordine, al di là delle imprecise affermazioni dell’assessore regionale all’Ambiente, Giovanni Romano e de
    Il Mattino di Napoli, dove il primo sosteneva che quei rifiuti erano tutti a norma per essere bruciati e il secondo annunciava una sorta di bonifica delle bonifiche, ovvero quella di tutti i siti di stoccaggio dell’Ammendola Formisano, le cose non sono in realtà così come loro le hanno raccontate. Cerchiamo quindi di capire bene in quali termini sta la situazione. In effetti, l’unico sito di stoccaggio interessato da questa “bonifica” è quello del 2003 (che altro non è che quello del 2001), e che riguarda le circa 500 tonnellate di rifiuti messe a dimora, prima dall’allora commissario di governo e poi dalla giunta Bossa.
    Noi invece, che in quei siti ci siamo stati e abbiamo messo letteralmente le mani nella monnezza, abbiamo comprovato se non altro che quei rifiuti non erano a norma e definibili in buona parte come “tal quale” e non CDR come vorrebbe farci credere l’assessore regionale. Infatti, come si potrà riscontrare anche dalle foto allegate, quelle “ecoballe”, sono costituite, non solo da plastica, ma da rifiuti che non possono essere inceneriti perché non adatti al termovalorizzatore e soprattutto altamente inquinanti. Questi rifiuti, come pneumatici, fusti di solventi, prodotti ospedalieri e dell’industria tessile, possono però essere altamente calorici e parimenti remunerativi per lucrare con i proventi del CIP6.
    Abbiamo dunque deciso di interpellare l’assessore all’ecologia del comune di Ercolano, Antonello Cozzolino, per chiedere lumi sulla trentennale questione di quei luoghi disgraziati.

    Assessore Cozzolino cosa ci può dire sulla bonifica dell’Ammendola Formisano?
    «È iniziata la bonifica con la rimozione delle ecoballe dei siti di stoccaggio messi dal commissariato di governo nel lontano 2003, un lungo lavora da parte de comune e della regione Campania; abbiamo avuto l’autorizzazione di rimuovere le ecoballe stamattina (16/01/14 ndr.) e portarle all’inceneritore di Acerra, 400 tonnellate di rifiuti messi lì nel 2003.»

    Quindi il sito di stoccaggio del 2008 rimane ancora là?
    «Quelle del 2008 non sono ecoballe! Quelle del 2003 erano state messe con ordinanza del commissariato di governo, per cui abbiamo potuto, con fondi della regione, fare questa bonifica parziale. Per gli altri due (il sito di stoccaggio del 2001, quello che doveva essere tritovagliato nel mai realizzato STIR di Boscocatena e quello del 2008, realizzato dalla giunta Daniele, ndr.), pure ci hanno autorizzato a eliminarli ma il problema è economico, dobbiamo capire chi deve pagare per questa cosa. Per la bonifica di questi altri siti parliamo di cifre più onerose.»

    Anche perché la massa di rifiuti è maggiore! E il suo contenuto è ancora umido!
    «Il sito è lì dal 2008 e quindi non parliamo più di umido, il sito è in sicurezza, quindi problemi non ce ne sono, ci sono dei costi di mantenimento, dove paghiamo il fitto dell’area e lo smaltimento del percolato, circa 50.000 euro all’anno!»

    Sì, ma c’è il percolato …
    « … sono siti in sicurezza, controllati dall’ARPAC, dalla polizia provinciale e dal comune di Ercolano, con cadenza quindicinale, quindi, tranquillamente in sicurezza. L’idea dell’amministrazione è quella di bonificare tutta l’area.»

    Bene! È questa una cosa positiva ma nei rifiuti del 2008, se c’è percolato, comunque c’è dell’umido! E sarà comunque difficile bruciarli come si farà con quelli del 2003!
    «Per quello devono ancora dirci dove dobbiamo mandarlo e il percolato dipende dall’atmosfera, dalle piogge, infatti d’estate non fa percolato, d’inverno facciamo invece un 3.000 litri ogni quindici giorni.»

    Ma c’è una ditta che lo preleva?
    «Sì, c’è una ditta che lo preleva, l’anno scorso, nel 2013, abbiamo pagato 14.000 euro per il prelievo del percolato, nel 2012, sugli 11.000 euro, dipende dalle piogge.»

    Ma voi, questa ditta la seguite? È una ditta fidata?
    «Certamente! Sono ditte autorizzate che possono fare questo, le bolle di carico e scarico sono seguite … mica possiamo andare appresso al camion?»

    Non mettiamo in dubbio la correttezza del comune ma ho avuto occasione di verificare in prima persona che il percolato tracima e va a finire nel terreno circostante!
    «Noi, quando abbiamo la comunicazione all’ufficio, immediatamente, il giorno dopo ci sta il prelievo.»

    Sì ma, a titolo informativo, almeno in un paio di occasioni, ho constatato che il percolato esce dalla cisterna e si diffonde nel terreno circostante.
    «Io posso dire solo una cosa, che dal 2008 a oggi è solo acqua, non è percolato! Perché i rifiuti, là sotto, sono andati tutti in combustione … »

    Sì ma è sempre acqua che filtra quei rifiuti …
    «Per legge è percolato ma se andiamo a vedere è tranquillamente acqua, perché nei teloni che vengono controllati di continuo, l’acqua piovana scorre tranquillamente sotto. Come la cisterna si riempie ce lo comunicano e noi interveniamo.»

    Ma chi ve lo comunica, il proprietario?
    «Sì, l’AFI, loro c’hanno il guardiano h24! Non c’è nessun interesse a farlo tracimare!»

    Allora è capitato?
    «Ma la ditta non ha nessun interesse, perché guadagna sui trasporti che fa, ha interesse pure a trasportarlo vuoto il camion!»

    Le ripeto! Le parlo di quello che ho visto!
    «Io le dico che non l’ho visto, perché non vado tutti i giorni sulla discarica.»

    Ma tornando al sito di stoccaggio del 2003, è tutto rifiuto che può essere mandato ad Acerra? Ho visto dei copertoni lì dentro e altro materiale di dubbia provenienza.
    «I copertoni vengono trattati altrove e comunque io non posso sapere quello che è stato buttato quarant’anni fa! Sicuramente c’è tanto, ma tanto da fare! Era un impegno preso e che dovevamo mantenere. Ma per bonificare l’intera discarica credo che con l’intero bilancio dello stato non ce la si può fare!»

    Un ultima cosa assessore, ma per quel che riguarda Contrada Novelle Castelluccio … si prevede qualcosa?
    «La bonifica che doveva essere fatta dalla regione Campania, con parte dei fondi del comune e con l’intervento della società in house ASTIR, non ha avuto seguito. Adesso abbiamo i fondi del progetto PIRAP che ci è stato approvato e con i quali sarà bonificato quella che sarà possibile bonificare. Purtroppo parliamo solo di risorse comunali (i PIRAP sono soldi europei, ndr)»
    .

    CARRELLATA FOTOGRAFICA

  11. AGGIORNAMENTO del 23 febbraio 2014:

    Il telegiornale regionale della Campania del 23 febbraio 2014, delle ore 19.00, ha trasmesso un servizio sulla discarica Ammendola-Formisano di Ercolano. Il video è QUI (1’14”).

    Di questa situazione ne hanno scritto anche l’Ansa e Il Mediano:

    “Ansa”, 23 febbraio, QUI

    Pecore al pascolo su discarica Ammendola – Formisano a Ercolano
    RIFIUTI: ALLARME COMITATO PARCO VESUVIO

    Rifiuti: allarme comitato parco Vesuvio (ANSA) – ERCOLANO (NAPOLI), 23 FEB – Le immagini delle pecore al pascolo che brucano l’erba sulla discarica. E ancora, pile di pneumatici, guaine d’asfalto e rifiuti ingombranti, accatastati vicino alle case proprio nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio ad Ercolano (Napoli). A lanciare l’allarme il comitato ‘Liberiamoci dal male’ nato a novembre che chiede che il territorio, per anni infestato dai veleni, venga finalmente liberato. ”L’intera zona – dicono – va tutelata dallo sversamento abusivo”.

    – – –

    “Il mediano”, 24 febbraio 2014, QUI (al link originale anche video e foto)

    LA RAI SULL’AMMENDOLA FORMISANO
    di Ciro Teodonno

    Siamo saliti sulla famigerata discarica dell’Ammendola & Formisano con la troupe del TGR Campania, per accompagnarli nella realizzazione di un servizio. Qualche riflessione a riguardo.
    Sono anni che proviamo a dar risalto alle questioni legate alla discarica dell’Ammendola & Formisano, sono anni che rimbalziamo contro quell’invisibile muro di gomma costituito da omertà e indifferenza. Sono anni che pur ricevendo attestati di stima e riscontri relativi al nostro lavoro, continuiamo a sentirci soli in quell’ardua impresa che è la messa in sicurezza dell’ex cava e delle zone ad essa limitrofe.
    I “mi piace” su facebook lasciano il tempo che trovano, sono graditi, sì ma sono una magra e fugace consolazione e non ti sostengono nel momento dello sconforto e delle difficoltà che si affrontano nella cronaca di questi luoghi. Nelle riunioni di comitato, così come nella rete, incontri chi, dall’alto della sua presunta esperienza, ti dice che è tutto inutile; talvolta con fare paternalistico, altre con sufficienza, saccenza o con disprezzo, sostiene che anche loro hanno lottato contro quel mostro di monnezza che si erge contro il Vulcano. Tutti hanno qualcosa da dire ma nessuno ha un suggerimento per fare; tutti dicono che sono troppi gli interessi, sono troppi i pericoli e che ormai quel che è fatto è fatto.
    È anche a loro che ci rivolgiamo, soprattutto a quelli che hanno visto frustrati i loro tentativi di salvaguardare l’ambiente vesuviano; chiediamo a loro di far fruttare la loro esperienza, di permetterci di far tesoro del loro patrimonio condividendolo con noi e con tutti quelli che hanno deciso di non vegetare più.
    Al cospetto di questo scenario noi non ci arrendiamo e siccome all’ombra di questi mostri, talvolta anche invisibili, ci viviamo, abbiamo deciso di seguire nella nostra lotta e continuare con i nostri mezzi per informare chi non sa ancora o chi, davanti alla realtà dei fatti, finge di non esserne a conoscenza. Siamo, tutto sommato, gente di montagna, sui generis, è vero, ma se la strada non è in salita, a noi, non piace!
    Stavolta però abbiamo avuto un valido aiuto, perché finché non lo dice la TV i fatti sembrano non concretizzarsi. Per cui sono arrivati gli inaspettati e graditi servizi del TGR Campania, tutto sommato dei bei servizi, che hanno saputo concentrare, nel breve tempo che l’edizione gli consentiva, tutto il devastante ma anche grottesco contesto davanti al quale ogni essere razionale dovrebbe quanto meno fermarsi e riflettere. La troupe RAI, benché abituata alla devastazione delle nostre terre, rimane ancora una volta sbalordita davanti a tanta assurdità.
    Veder pascolare le pecore su una discarica, per quanto posta in un parco nazionale, è cosa che dovrebbe far pensare per l’inquinamento di quel luogo, così come l’ormai abitudinaria tracimazione del percolato, quello del sito di stoccaggio del 2008. Chiunque si trovi al cospetto di tale scempio rimane senza parole, eppure, a valle di questa mostruosità, c’è ancora chi nega o fa ben poco rispetto a quanto gli compete e spetta per mandato popolare o per la semplice e umana compassione nei confronti di chi vive sotto lo spettro dell’Ammendola & Formisano.
    Qualcosa comunque si è mosso oggi e speriamo che anche dopo questo servizio le coscienze si mobilitino, per bonificare e sanare quei luoghi dalla potenziale bellezza e rinomata fertilità ma dall’effettiva ed evidente mortalità
    .

  12. “Il mediano”, 24 marzo 2014, QUI

    MA QUALE BONIFICA PER ERCOLANO?
    Manifestazione pubblica indetta dal PD cittadino per affrontare il problema delle discariche, molti dubbi e poche certezze.
    di Ciro Teodonno

    Sabato sera, a Ercolano, presso la sede della scuola primaria Rodinò il PD locale ha organizzato un incontro sulle possibili bonifiche da attuare sul suo territorio. Sono intervenuti ovviamente i rappresentanti del PD locale, rappresentati dal segretario Antonio Liberti e l’amministrazione comunale nella persona di Antonello Cozzolino, nella doppia veste vice sindaco e assessore all’ecologia ma c’era anche il responsabile del Dipartimento Ambientale della CGIL Campania Giuseppe Brancaccio e soprattutto l’onorevole Massimiliano Manfredi, relatore del Decreto Legge 136/2013, il cosiddetto decreto della Terra dei Fuochi. È presente anche l’attivismo locale col rappresentante del Comitato Civico di Bonifica Luigi Impagliazzo.
    La discussione comincia con il luogo comune, con il moderatore Adalberto Costabile, che accenna a un’inciviltà dei singoli cittadini per la responsabilità dello scempio di alcune aree del territorio; ci verrebbe da chiedere il perché, quando ti eleggono i cittadini sono bravi e quando sporcano e inquinano sono invece incivili e se ne disconosce prontamente la rappresentanza. Ma a questo risponde prontamente Luigi Impagliazzo che critica aspramente l’amministrazione. Chiamato ad aprire gli interventi l’attivista lamenta subito la poca attenzione e il possibile effetto sandwich del suo intervento, temendo un mancato diritto di replica, cosa che però non accade poiché avrà larga opportunità di controbattere e criticare le precedenti amministrazioni nonché l’attuale, senza comunque evitare di subire, in alcuni momenti, commenti poco cortesi da parte di un pubblico tutt’altro che disinteressato.
    In particolare, Impagliazzo, ci elenca, contraddicendo l’incipit del moderatore, le connivenze tra le varie amministrazioni comunali e il malaffare locale, quelle che si sono susseguite nel corso di almeno un trentennio e che hanno portato allo stato dell’arte. L’attivista incalza i presenti senza peli sulla lingua e con dovizia di particolari e, con la forza che lo contraddistingue, fa i nomi di chi in passato ha avuto a che fare con la gestione dei rifiuti nella città di Ercolano, mantenendo stretto il legame con la delinquenza organizzata. Sono i nomi dei Del Prete, Salvatore e Delfino ma anche dell’ex sindaco D’Agostino. Non ultimi sono menzionati i siti di stoccaggio “provvisori” dell’Ammendola Formisano, aperti in giunte affini a quella che oggi amministra la cittadina vesuviana.
    Qualcuno dalla sala annuisce che furono i provvedimenti prefettizi a imporre quei siti ma a onor del vero a noi, questa, risulta una verità parziale e in base a quanto segue: nel 2001 l’area Ammendola & Formisano fu individuata, assieme ad altri sette, quale sito di stoccaggio provvisorio di RR.SS.UU., dal Sindaco p.t., in forza di una nota del Prefetto di Napoli, delegato ex O.P.C.M. del 07.10.1994. Nel 2003, l’area Ammendola & Formisano, assieme all’area della ex discarica “Sari”, fu individuata come sito di stoccaggio provvisorio di balle di CDR in forza dell’Ordinanza del SubCommissario per l’Emergenza Rifiuti in Campania n. 39 del 02.05.2003. Nel 2007 l’area Ammendola & Formisano fu individuata come ulteriore stoccaggio temporaneo dei RR.SS.UU in forza dell’Ordinanza Sindacale n. 16/07 del 21.12.2007 con successiva riapertura sempre su Ordinanza Sindacale nel febbraio e nell’aprile 2008. Ovviamente a tutto ciò non va aggiunto l’obbligo morale che un sindaco dovrebbe avere rispetto a certe questioni ma questa è un’altra storia.
    Dopo un breve intervento moderatore del segretario Liberti, dove si rispolvera il mantra delle barricate, quelle che si fecero un tempo e che, aggiungiamo noi, ora che si è passati all’amministrazione, non si fanno più, interviene il vicesindaco Cozzolino. Questi ribadisce che, anche con il convegno, l’interesse dell’amministrazione per le problematiche del territorio è sempre vivo (è probabile che invece gli ultimi servizi giornalistici e una campagna elettorale ormai vicina abbiano reso necessario un interesse in precedenza assopito) sforando però su temi, tra i quali quello dell’eliminazione della linea ANM, che non capiamo cosa abbiano a che fare con l’argomento in questione.
    Ma è interessante la sua versione dei fatti sull’Ammendola & Formisano, dove dichiara come fatto in alcune interviste lasciate al nostro giornale, che il cosiddetto percolato della discarica, altro non è che acqua sporca e lo dimostrerebbero le analisi della ditta autorizzata ERMETE Srl, da lui presentate e della quale ce ne ha fornito una copia (nel referto il liquido viene definito “speciale non pericoloso”). Alle nostre domande, relative al perché quest’acqua “piovana” venisse prelevata, ci viene risposto perché è comunque sporca e lo impone la legge e allorquando gli si ribatte la tracimazione del percolato, lo stesso riduce a un caso isolato l’evento.
    I casi isolati sono almeno tre, ovvero tre i filmati che dal 2011 al 2014 siamo riusciti a registrare ma a questi aggiungiamo gli altri eventi da noi riscontrati così come da altre persone e associazioni, non dimostrabili come però non è dimostrabile la sicurezza di un contesto SIN, potenzialmente ad alto rischio e frequentato da tutti tranne da chi, nella figura del sindaco o chi ne fa le veci ha l’obbligo legislativo, se non morale, di tutelare la salute dei cittadini di Ercolano.
    È il momento di Brancaccio rappresentante della CGIL il quale sottolinea di come si affronteranno le bonifiche ovvero con i soli fondi comunitari, sottolineando il fatto che non se ne conoscano ancora l’ammontare. Inoltre critica la logica del commissariamento che toglie in pratica ogni voce in capitolo alle amministrazioni locali (e chissà perché!?). Ma soprattutto, aggiunge Brancaccio, esiste la presenza della camorra in ogni passaggio della questione rifiuti auspicando quindi che le bonifiche vengano fatte in house dalle amministrazioni regionali e provinciali per evitare quindi infiltrazioni malavitose.
    È la volta infine dell’On. Manfredi, che ci spiega la duplice strada da seguire per capire il problema della Terra dei fuochi, ovvero quella delle discariche occulte e quella dei roghi. Due strade diverse, una legata alla delinquenza organizzata di stampo mafioso e l’altra al sommerso, al lavoro nero che smaltisce illecitamente i suoi scarti di lavorazione. La mafia ha fatto il suo salto di qualità, continua l’onorevole, in un certo qual modo contraddicendo lo stesso Brancaccio che si chiedeva il perché non vi fossero slogan contro la camorra alla manifestazione del 16/11 a Napoli (in verità ce n’erano e spesso ce n’erano anche contro i politici collusi con la stessa malavita). Su tutto Manfredi sottolinea la forza del decreto Terra dei fuochi, appoggiato dall’ecobonus approvato dal Governo con il decreto legge 63/2013 che favorisce il legale smaltimento dell’amianto con un abbattimento dl 65% delle spesa in favore dei proprietari.
    Sottolinea ancora che il decreto è un punto di inizio e non di arrivo e alle critiche da parte di un’attivista presente, relative alla non partecipazione dei movimenti civici alla discussione della norma, Manfredi ammette solo una parziale e iniziale partecipazione di questi. Domande gli sono state mosse anche per quel che riguarda la zonizzazione delle aree effettivamente inquinate. Il deputato dichiara che il 2% delle aree esaminate ed effettivamente contaminate, non è poco e il lavoro da fare è ancora lungo ma soprattutto bisogna evitare la speculazione che la concorrenza settentrionale sta attuando da tempo contro i prodotti ortofrutticoli del sud.
    Così come è iniziato alla chetichella il convegno si chiude, un po’ alla taralluce e vino e un po’ perché il sabato del villaggio incombe
    .

  13. Pingback: Il pennacchio intossicato del Vesuvio | Paesaggi vulcanici

Scrivi una risposta a giogg Cancella risposta