15 thoughts on “I disastri in tribunale

  1. Un conto è la gestione dell’emergenza (lacunosa e colpevole, si presume), per cui è indagata, tra gli altri, la ex-sindaco di Genova Marta Vicenzi, ma un altro conto sono le ragioni per cui il torrente Fereggiano è uscito dagli argini in maniera distruttiva il 4 novembre 2011: mancanza di manutenzione e cementificazione selvaggia. L’inchiesta si allarga anche a questo secondo punto, a cui, a mio avviso, vanno ricondotte le responsabilità storiche più gravi.

    «Il secolo XIX», 28 luglio 2013, QUI

    ALLUVIONE, INCHIESTA SUGLI SCEMPI EDILIZI
    di Matteo Indice

    Genova – È l’inizio della fase «strutturale» nell’inchiesta sul disastro del 4 novembre 2011, quando l’esondazione del Fereggiano uccise sei persone, fra le quali due bambine. E dopo la fallimentare gestione dell’emergenza nelle fasi cruciali del nubifragio, che rischia di portare a processo l’ex sindaco Marta Vincenzi, l’ex assessore alla Protezione civile Francesco Scidone e un gruppetto di dirigenti comunali, nel mirino della Procura finiscono la cementificazione selvaggia, la mancata pulizia dei rivi e in generale le carenze nella prevenzione. Il procuratore aggiunto Vincenzo Scolastico ha aperto un nuovo fascicolo con l’ipotesi di «disastro colposo» (al momento contro ignoti) dopo aver ricevuto nelle scorse settimane l’esposto di 14 commercianti della zona. Nel documento, fra gli altri passaggi, si chiede di «valutare responsabilità penali in ordine allo stato in cui versava il rio Fereggiano, sia nel punto in cui è tracimato sia nella parte sovrastante…e la presenza di detriti o impedimenti cagionati dall’uomo, che possano aver ostacolato il deflusso delle acque». Si tratta di mancanze che potrebbero essere facilmente prescritte, poiché alcune risalenti nel tempo? Sì e no. Gli effetti si sono infatti protratti, e in molti casi si protraggono, ad oggi. Perciò un margine per renderli attuali pure sul piano giuridico esiste.
    Il punto di partenza è la maxi-consulenza redatta nell’ultimo anno e mezzo dal pool di Alfonso Bellini, geologo e docente, che ha focalizzato gli scempi a catena dai quali l’area del Fereggiano e in generale quella parte di Valbisagno sono stati sfregiati negli anni. In particolare, i consulenti hanno radiografato le situazioni di maggiore criticità per il Fereggiano stesso (a Marassi), per il San Martino, e poi per il Rovare e il Noce che scendono da San Fruttuoso. «Vi sono corsi d’acqua completamente tombinati di cui prima non si conosceva l’esistenza o non si aveva notizia delle condizioni di manutenzione – si conferma in Procura – Dopo l’indagine conoscitiva le autorità competenti (e quindi le amministrazioni, ndr) avranno a disposizione dati precisi per organizzare opportuni interventi».
    Nelle scorse settimane era stato il procuratore capo Michele Di Lecce a focalizzare tempi giudiziari “diversificati”: «Finora ci siamo concentrati sui motivi che hanno determinato la morte di sei persone, non le ragioni per cui i torrenti sono usciti dagli argini». Ovvero, non si è tenuto conto, nel formulare contestazioni penali, delle cause «pregresse». Talvolta da cercare nella notte dei tempi e però spesso più recenti di quel che si creda: alcuni permessi e autorizzazioni a costruire in zone incredibili (compreso il letto del torrente-killer) sono state concesse non proprio nel passato remoto, o comunque sono state tollerate fino alla strage
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  2. Ulteriori sviluppi nell’inchiesta sull’alluvione di Genova: manager pubblici e rappresentanti delle ditte che avevano in concessione le aree a rischio sono stati rinviati a giudizio perché non facevano manutenzione e lucravano su tale disfunzione: «I primi chiudevano un occhio e “facevano cassa”, riducendo l’incolumità pubblica a una pura questione di “introito”, i secondi pagavano le “multe”, cosa molto più conveniente della “realizzazione delle opere” di cui c’era bisogno».

    «Il secolo XIX», 30 luglio 2013, QUI

    FEREGGIANO, LA SICUREZZA BARATTATA CON GLI INDENNIZZI
    di Marco Grasso e Matteo Indice

    Genova – La pratica di pagare indennizzi invece di mettere in sicurezza i fiumi e le costruzioni abusive – qualcosa che nella vulgata comune potrebbe assomigliare a un “condono” – non era diffusa solo a Sestri. Per anni lo stesso andazzo si è ripetuto su Fereggiano e Bisagno, in punti di «riconosciuto rischio idraulico» che hanno giocato «un ruolo importante nella connotazione dell’evento esondativo».
    È con queste parole che gli inquirenti anticipano la probabile svolta delle indagini sull’alluvione del 4 novembre del 2011: in un contesto pressoché identico, il fascicolo sul disastro che aveva toccato il Ponente cittadino appena un anno prima, ha portato al rinvio a giudizio di manager pubblici e rappresentanti delle ditte che avevano in concessione le aree a rischio. I primi chiudevano un occhio e «facevano cassa», riducendo l’incolumità pubblica a una pura questione di «introito», i secondi pagavano le “multe”, cosa molto più conveniente della «realizzazione delle opere» di cui c’era bisogno.
    Ma a colpire nella vicenda del Fereggiano c’è un elemento aggiuntivo: «Sorprende che tra le pratiche assoggettate all’indennizzo annuale – si legge nella perizia affidata dalla Procura al pool di esperti coordinati dal geologo Alfonso Bellini – sia presente quella relativa alla copertura tra Brignole e Foce, realizzata nel 1928 e unanimemente riconosciuta come la causa principale delle gravi problematiche idrauliche del Bisagno». E che «ben undici delle quattordici» concessioni, siano intestate proprio a Tursi.
    Riassunto: pure il Comune, invece di mettere in sicurezza tratti a rischio, versava gli «indennizzi» alla Provincia, l’ente che avrebbe dovuto controllare che poi i lavori fossero effettivamente portati a termine. In realtà, negli atti firmati dai tecnici «non vi è traccia di verifica tecnica sull’idoneità idraulica». Ancora: «Tutto ciò poteva avere un ruolo corretto e accettabile qualora la Provincia avesse, nelle sue lettere di richiesta di indennizzo, fissato un termine. Ossia: per quest’anno pagami l’indennizzo, ma il prossimo anno mi dovrai presentare il progetto di adeguamento idraulico e l’anno successivo lo dovrai realizzare. Tutto ciò attraverso non solo un semplice invito (che, senza termine fissato, si rinnovava ogni anno), ma tramite intimazioni e ordinanze».
    Non va così, anzi. In dieci anni, la Provincia eredita questa competenza dal ministero dal Genio Civile (organo statale di controllo dei lavori pubblici) nel 2001, gli indennizzi diventano una voce sempre più consistente nel bilancio dell’ente: passano da 468.484 euro a 2.423.346,80 euro, la cifra incassata nel 2010. In mezzo c’è spazio addirittura per una legge regionale che, invece di chiedere di sanare le situazioni a rischio, aumenta le tariffe, «raddoppiate» in alcuni casi, istituendo un vero e proprio «tabellario» della (in)sicurezza
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  3. Sostanzialmente, le disfunzioni che stanno emergendo in merito all’alluvione del 4 novembre 2011 sono le stesse appurate per l’inondazione disastrosa di Sestri Levante del 4 ottobre 2010, un evento «pienamente prevedibile» per cui sono state indagate 24 persone (qui).

    «Il secolo XIX», 21 luglio 2011, QUI

    «L’ALLUVIONE DI SESTRI POTEVA ESSERE EVITATA»
    di Marco Grasso

    Genova – L’alluvione che ha messo in ginocchio Sestri era un evento «pienamente prevedibile». I milioni di euro di danni, pagati in gran parte di tasca propria dalla popolazione, «potevano essere evitati o quantomeno notevolmente limitati», se solo fossero stati «realizzati gli interventi previsti dal piano di bacino». Invece, nonostante gli enti pubblici «fossero a conoscenza» delle «gravi carenze idrauliche e di manutenzione», nessuno è mai intervenuto.
    Non solo. Ai privati la Regione ha pure concesso una sorta di “condono”, «un indennizzo» che ha permesso a chi non era in regola di posticipare gli interventi idraulici previsti per legge. Per questo nel mirino della Procura ci sono decina di enti pubblici e privati, fra cui Comune, Provincia e Regione. E, una volta riconosciute le singole responsabilità, decine di persone fra politici, tecnici e privati, potrebbero essere indagati per reati che vanno dall’omissione di atti di ufficio al disastro. È arrivata a un punto di svolta clamoroso l’inchiesta condotta dal procuratore Vincenzo Scolastico e dal pubblico ministero Francesco Pinto sulla calamità che il 4 ottobre del 2010 ha devastato Sestri. Lo scorso 6 aprile è stata depositata la consulenza tecnica richiesta dalla Procura.
    Una relazione pesantissima quella stilata dai quattro esperti che l’hanno firmata, Alfonso Bellini, Francesco Masetti, Guido Sirolli e Alfonso Siviglia. Centocinquanta pagine che sono un vero e proprio j’accuse a enti pubblici e concessionari privati. Ovvero, «coloro che dovevano garantire l’incolumità dei cittadini ed effettuare gli interventi necessari a far fronte a un evento del genere», «ampiamente ipotizzabile» e hanno permesso «interventi che hanno alterato in modo decisivo i regimi idraulici dei rivi». Sembrano lontani, lontanissimi quei giorni in cui il sindaco Marta Vincenzi parlò di catastrofe naturale impossibile da prevedere. I periti sono chiarissimi: gran parte di quei 200 milioni di euro di danni (300 se si considera tutta la Liguria), causati da esondazioni che hanno invaso 750 ettari, sono dovuti a lungo e inquietante elenco di «errori umani». Interventi «noti» e «già previsti», eppure mai realizzati.
    È un’equazione matematica quella che viene evidenziata nella consulenza tecnica: «Nei punti in cui sono state effettuate le regolarizzazioni idrauliche, seguendo le indicazioni del piano di bacino, sui torrenti Leira, San Pietro, Varenna e Polcevera, non ci sono stati danni di rilievo». Al contrario, le zone più colpite sono proprio quelle da “bollino rosso”, lungo i rivi Cantarena, Marotta, Monferrato, Ruscarolo e Molinassi. In altri termini dove esistevano «gravi carenze strutturali». A facilitare questa inerzia è una delibera della Regione, che risale al 2005 e permette a chi non è in regola di cavarsela pagando un indennizzo: «Nel tempo alcune situazioni a rischio sono state formalmente tollerate – scrivono ancora gli esperti – Ed è stato più comodo per i proprietari pagare piuttosto che affrontare le spese di adeguamento delle opere». Un’emergenza che è diventata normalità, come «il ponte sul Chiaravagna, sprovvisto di autorizzazione idraulica». E non a caso, si sottolinea nella relazione, le zone più danneggiate sono proprio quelle dove i responsabili presero la via più breve, quella del “condono”.
    A questo quadro, a dir poco desolante, si aggiungono le più ordinarie (e non meno gravi) «carenze nella manutenzione»: gli «ingombri di alghe, arricchiti da materiale solido» nei letti dei rivi e «le tombinature terminali intasate, che hanno perso la capacità di far arrivare l’acqua al mare». Una situazione esplosiva, insomma, che vede in quello che è successo una conseguenza quasi inevitabile. Ma chi ha sbagliato, e chi dovrà pagare? È durissimo il giudizio sull’operato di Comune e Provincia (ente che dal 2001 ha sostituito nella competenza di controllo il Genio Civile), istituzioni che «erano a conoscenza di questa situazione»: «Non risulta che siano mai state emesse ordinanze o diffide», ma solo generici ed eterei «avvertimenti». Il colpo della Procura interrompe un silenzio imbarazzante, che fa da sottofondo al balletto che sta andando in scena fra Genova e Roma, sui fondi non ancora sbloccati. Una prima risposta alla rabbia dei cittadini di Sestri, che suona più o meno così: quella tragedia fu dovuta a colpe umane. Per capire chi sono i responsabili, bisognerà ancora aspettare. Un’attesa che per molti sarà tutt’altro che tranquilla. E che apre nuove possibilità su possibili risarcimenti in sede civile
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  4. Il punto della situazione dei torrenti genovesi alla fine del 2012:

    «Il secolo XIX», 27 dicembre 2012, QUI

    ALLARME TORRENTI, LE BOMBE INNESCATE
    di Roberto Sculli

    Genova – Tappi e strozzature in un letto che, con la forza, lo spazio se lo prenderà comunque. Debolezze del terreno, ponti crollati, insediamenti abusivi e immobili – box, cantine e qualche abitazione – ad alto rischio crollo e allagamento. In tutto sono ventuno, concentrati nelle vallate di Bisagno, Fereggiano, compresi i loro più piccoli affluenti.
    E, per il Comune – in particolare: una relazione della direzione Manutenzioni e Infrastrutture appena compilata, e firmata dal direttore, Stefano Pinasco – sono le situazioni più a rischio in caso di piena, individuate chirurgicamente da tre gruppi di lavoro nei due bacini (lungo lo Sturla non sono stati rilevati nuovi motivi di preoccupazione ndr) interessati dall’alluvione del 4 novembre 2011.
    Quella ora affidata alla Protezione civile comunale, per eventuali provvedimenti transitori – da sgomberi e demolizioni in giù – è una sorta di nuova mappa del rischio idraulico. Ventuno spot non ancora censiti che sono come “X” luminose in quelle che già i Piani di bacino avevano classificato come zone rosse.
    Quelle stesse aree sorvolate anche dalla nuova relazione del Comune. Che, oltre a fotografare le criticità, inquadra anche i corsi d’acqua tuttora più pericolosi, sia sulla base delle loro caratteristiche, sia in relazione all’azione dell’uomo e ad eventuali recenti – eseguite, in programma o soltanto progettate – opere di messa in sicurezza.

    Fereggiano e Bisagno tutti i nodi insoluti
    Il pericolo legato al Bisagno, e all’insufficienza della sua portata rispetto a una piena molto sostenuta – duecentennale, in gergo – è cosa nota. Senza lo scolmatore, opera titanica, progettata e approvata ma avvolta nelle nebbie per la mancanza assoluta di finanziamenti – circa 230 milioni – l’acqua continuerà a non avere abbastanza respiro.
    O, per dirla con le parole della direzione Manutenzioni, la situazione di Bisagno e affluenti è ancora critica «per l’insufficienza delle sezioni» e «per la presenza di manufatti in alveo». Il rischio idraulico resta «elevatissimo», quindi non bastano le opere già effettuate, come l’adeguamento del ponte Monteverde (3 milioni di euro), e il nuovo collettore nel tratto piazza Verdi-via Diaz (4,5 milioni), oltre alla costruzione del 1° stralcio e 2° lotto della copertura del Bisagno (85,5 milioni).
    Ancora fermo il 2° lotto – 2° stralcio per la copertura nel tratto finale (35,5 milioni), stoppato a causa di un ricorso al Tar. Passando al Fereggiano, anche qui resta il rischio, nonostante ciò che è già stato fatto: il 1° e 2° lotto di sistemazione idraulica (4 milioni) e la messa in sicurezza, in corso, del versante di collina sotto alle Brignoline (1 milione il costo stimato).

    Alvei occupati e crolli tutte le emergenze
    Come tutti i nodi, anche quello di Bisagno e Fereggiano non nascono solo a valle. Come tante piccole via Giotto 15, il condominio che strozzò il Chiaravagna il 4 ottobre 2010, situazioni simili – anche se forse, per ora, meno eclatanti – sono state scovate in Valbisagno. La lista compilata dal Comune comprende 15 punti nell’area del Fereggiano e dei suoi affluenti.
    In alcuni casi si tratta della presenza di baracche in alveo: come in via Fontanarossa 11, via Portazza 111 e via Carpenara 3. In altri sono degli immobili a restringere i corsi d’acqua, come in via Pinetti 53, 85 e 87, via al Poligono 50, via Finocchiara 1A, 16, 19, 22-36 e 38, e via Casini 1, 3, 5, 12 e 14. Altri “tappi” sono stati inquadrati in via Daneo 2 e 106, in via Molinetto 13, 18 e 25b, via Motta 5, via del Brusato 24 e salita Gerbidi 4a e 10a.
    Nel mirino, ma solo perché allagabile, anche un immobile in via Ginestrato 7, alcuni fabbricati abusivi sul Ginestrato e un ponte crollato in passo Privato Olmo-Fontanile. Più remote, in genere, le località che preoccupano nel caso del Bisagno e affluenti: i civici 4 e 6 di salita Solimano, giudicati a rischio dissesto. In via Costa Maltempo e presso il “sottobacino” Prau, a Struppa, ci sono alcune baracche nel rio, mentre via Campopiano, a Staglieno, è a rischio un deposito di caravan. Una strada, invece, è stava ricavata nell’alveo del sottobacino Risecca.

    Noce, Rovare, Casaregis il pericolo sottoterra
    Tra i torrenti ancora ad «elevatissimo grado di rischio idraulico», secondo i tecnici di Tursi, figurano quelli tra la collina di San Fruttuoso e la Foce: Noce, il Rovare e il Casaregis. Questi corsi d’acqua sono quasi del tutto tombati. Addirittura, per alcuni segmenti, la posizione dei rivi è soltanto stimata. «La risoluzione definiva delle criticità – scrive il Comune – è attuabile solamente con l’avvio dei lavori dello scolmatore». Il tunnel, che partirebbe all’altezza della Sciorba per sfociare in corso Italia, intercetterebbe, infatti, questi corsi d’acqua minori. Nel frattempo, rileva Tursi, è stata ultimata la progettazione del by-pass del rio Noce, per cui è stato chiesto un finanziamento a Regione e allo Stato.

    Torrente Chiaravagna la minaccia di Sestri
    A Sestri Ponente sono Chiaravagna e il suo affluente Ruscarolo i corsi d’acqua considerati più pericolosi, a causa di «un’estrema insufficienza delle sezioni nel tratto a valle del viadotto autostradale». Qualcosa si è mosso nel 2000, quando fu ultimata la progettazione preliminare di sistemazione del tratto.
    Cinque i lotti conclusi (2 milioni per la vasca alla foce, 3,2 per le aree Ilva ed Elsag, 2,6 per i ponti ferroviari, 345 mila euro per il ponte di via Giotto sul Ruscarolo). Collaudata la demolizione del 20 di via Giotto, sono in corso i lavori di demolizione del civico 15. Molto resta da fare. Vicini ad essere appaltati i lavori per l’adeguamento del Chiaravagna in corrispondenza del ponte autostradale (1,8 milioni), il ponte di via Manara (2,4), e dell’edificio Elsag (1,5).
    Ancora in corso di approvazione i progetti nei tratti che corrispondono al ponte di via Chiaravagna (1,2), delle aree Ilva (4,75) e del piazzale Piaggio (5,5). Il Comune, infine, ha chiesto un finanziamento per il progetto preliminare approvato per la messa in sicurezza del tratto urbano del rio Ruscarolo
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  5. Le indagini giudiziarie sull’alluvione di La Faute-sur-Mer (un paese della costa atlantica della Vandea, in Francia), avvennuta nel febbraio 2010 e che causa della morte di 29 persone, hanno portato all’incriminazione di cinque amministratori locali.

    “Libération”, 29 agosto 2013, QUI

    LA TEMPETE XYNTHIA EMPORTE DES ELUS DEVANT LA JUSTICE
    par Tonino Serafini

    On connaît désormais l’identité des cinq personnes qui vont comparaître en justice pour «homicide involontaire et mise en danger de la vie d’autrui» dans le cadre de l’enquête relative à la tempête Xynthia, qui avait fait 29 morts dans la nuit du 27 au 28 février 2010 à La Faute-sur-Mer (Vendée). Toutes les victimes avaient péri dans un quartier pavillonnaire, situé dans une cuvette en contrebas d’une digue. Dans ce secteur, plusieurs projets de lotissements avaient fleuri durant les
    (L’articolo online è disponibile solo per gli abbonati al giornale)

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    “France 3”, 27 agosto 2013, QUI

    XYNTHIA : LE MAIRE DE LA FAUTE-SUR-MER RENVOYE DEVANT LE TRIBUNAL CORRECTIONNEL POUR HOMICIDES INVOLONTAIRES
    3 ans et demi pour la justice pour dire qui sera jugé suite à la tempête Xynthia. La catastrophe avait fait 29 morts dans notre région. René Marratier est renvoyé devant le tribunal correctionnel avec 4 autres personnes et deux entreprises locales.
    par José Guedes

    Les ordonnances de renvoi
    Les ordonnances de renvoi sont arrivées ce matin. Le juge d’instruction en charge de l’épais dossier « Xynthia » a finalement décidé de renvoyer 5 personnes physiques devant le tribunal.
    René Marratier, maire de la faute devra répondre d’homicides involontaires et exposition d’autrui à un risque immédiat de mort ou de blessure.
    Comme lui, deux de ses adjoints, et un promoteur immobilier devront répondre à la justice de ces chefs d’inculpation.
    Un fonctionnaire de l’ex-Direction départementale de l’équipement est poursuivi pour homicide involontaire.
    Deux personnes morales sont également renvoyées devant le tribunal correctionnel, il s’agit de deux sociétés qui ont construit les maisons dans la cuvette où ont été retrouvées la plupart des victimes
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    Non lieu partiel
    En outre, le juge d’instruction ne retient pas la prise illégale d’intérêt pour les prévenus et signe donc un non lieu partiel concernant cette partie du dossier.

    Un Procès en 2014
    Le procès très attendu par les parties civiles pourrait se tenir en Septembre 2014. Quatre des prévenus risquent des peines de prison pouvant aller jusqu’à 5 ans. Le fonctionnaire de la DDE encourt une peine de 3 ans.
    Les entreprises poursuivies pour homicides involontaires risquent une amende de 375 000 euros
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    All’indomani del disastro, Serafini (che si occupa di questioni relative alle politiche degli alloggiamenti per “Libération”) raccolse questa intervista presso i membri di un’associazione di vittime della tempesta Xynthia:

    “Libération”, 4 giugno 2010, QUI

    XYNTHIA : LA VRAI-FAUSSE VOLTE-FACE DE L’ETAT
    Zones noires . Les pouvoirs publics feront du cas par cas, sans pour autant renoncer aux expropriations.
    par Tonino Serafini

    «L’Etat renonce à tout démolir», «il n’y aura pas de destructions massives», «volte-face de l’Etat». Hier le Parisien a employé les gros titres pour annoncer un changement de cap de l’Etat à propos des «zones noires», rebaptisées plus récemment «zones de solidarité» par le gouvernement. Il s’agit de ces périmètres géographiques exposés à des risques de submersion marine, où 1 510 maisons doivent être détruites. L’Etat souhaite les racheter pour les raser suite à la tempête Xynthia, de fin février. Mais à ce jour, les zones demeurent. Les cartes ne sont pas modifiées. Peut-être, y aura-t-il quelques ajustements dans les semaines à venir : le sort de 300 maisons est indécis mais sans que l’on sache combien seront réellement épargnées. En tout état de cause, le nombre de démolitions sera supérieur à 1 200. L’Etat est bien décidé à acheter ces maisons à l’amiable et au prix du marché ou par le biais de la procédure d’expropriation qui obéit à des règles juridiques très strictes. L’idée étant de soustraire leurs habitants de zones à risque. Mais il n’a jamais été question de raser ces logements au bulldozer et tout de suite. Pour une raison simple : l’Etat n’a pas le droit d’agir de la sorte.

    L’intox des destructions «massives» et «arbitraires».
    Depuis la publication des cartes des «zones noires», des élus locaux – pas très à l’aise d’avoir urbanisé des secteurs à risque dans leurs communes – entretiennent habilement l’idée d’un Etat prêt à se livrer à la hussarde à des «destructions massives» dans ces périmètres. Ce qui alimente les angoisses au sein des associations de propriétaires légitimement inquiets, et redoutant l’arbitraire. Le droit public dit tout autre chose.

    Comment vont se dérouler les expropriations ?
    En France, le droit de propriété est un droit constitutionnel inscrit dans la Déclaration des droits de l’homme. Pour exproprier, les pouvoirs publics (Etat, région, département, commune) doivent passer obligatoirement par une DUP (déclaration d’utilité publique). Une procédure longue, qui se fait maison par maison. Elle est très cadrée juridiquement puisqu’elle est placée sous le contrôle d’un juge. Tout cela prend du temps. Et le secrétaire d’Etat au Logement, Benoist Apparu, peut à juste titre déclarer que «dans l’immédiat, aucune maison ne sera rasée sous la contrainte». Le mot «immédiat» a tout son sens. Plus tard, lorsque les DUP auront abouti, les maisons seront effectivement détruites dans les «zones noires».

    Quels recours pour les propriétaires ?
    Ceux qui veulent garder leur bien peuvent contester l’expropriation devant les tribunaux administratifs comme pour toute DUP. Ceux qui obtiendraient gain de cause en justice pourront rester dans leur maison. Mais la bâtisse sera toujours située dans une zone à risque. Ce qui veut dire qu’en cas de revente plus tard, le prix du bien en question sera sans doute déprécié. Par ailleurs, en cas de nouvelle tempête et de pertes matérielles ou humaines, l’Etat sera dégagé de toute responsabilité. Son propriétaire pourra difficilement prétendre qu’on l’a laissé dans une zone dangereuse.

    Combien d’acquisitions à l’amiable à ce jour ?
    Au total 919 maison sur les 1 510 ont déjà été visitées pour une évaluation. L’Etat a fait des propositions financières de rachat pour 246 d’entre elles. A ce jour, 67 ont été acceptées
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    Altri articoli di “Libération” sulla tempesta Xynthia del 2010 sono in questo DOSSIER.

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    Un video-documentario che ricostruisce i fatti è “Tempête Xynthia : retour en images“, su YouTube (7’54”).

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    Nel 2011 è uscito un film documentario intitolato “Tempete Xynthia – Une nuit de cauchemars” (trailer di 5’20”).
    Questo è il website ufficiale: http://www.tempete-xynthia-lefilm.fr/

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    Sulla stampa italiana (ho controllato “Repubblica”), queste le notizie dell’epoca:

    “Repubblica”, 28 febbraio 2010, QUI

    MALTEMPO, 52 MORTI IN EUROPA PER LA VIOLENTA TEMPESTA XYNTHIA
    di Redazione

    ROMA – Lo tsunami francese si chiama Xynthia. Il paese, colto forse impreparato e nel cuore della mobilitazione per le vacanze scolastiche d’inverno, è stato travolto in pieno dalla tempesta che ha investito l’Europa. Le conseguenze sono state devastanti: 45 morti (52 in tutta Europa), la Vandea spazzata dal mare, case allagate in pochi minuti. La Protezione civile procede con i soccorsi e teme che il bilancio si aggravi.
    Da venerdì sera era scattato lo stato di allerta, da giorni si sapeva che Xynthia si stava avvicinando, ma intanto tutti sono andati a dormire come sempre sulla costa atlantica francese, nei piccoli comuni sul mare come La Faute o L’Aguillon. E molti altri stavano arrivando, per le vacanze d’inverno con i bambini.
    Sono stati i rumori a svegliare quelli che si sono salvati dall’invasione delle acque spinte dalla forza del mare in Vandea e nella Charente Maritime, le due regioni più esposte alla furia dell’Atlantico. Le piccole, tipiche case a due piani, sono state invase d’acqua in pochi minuti. Mezz’ora, hanno riferito testimoni, “e l’acqua era arrivata al primo piano”. Qualcuno si è rifugiato addirittura sul tetto, dove ha aspettato ore l’intervento dei pompieri, a volte in elicottero. Subissati dalle chiamate, i vigili del fuoco hanno contato 25.000 interventi dall’inizio della tempesta.
    Trenta morti, il tributo più pesante all’ondata di maltempo, è stato pagato dalla Vandea, dove la gente è morta annegata. Impressionante l’operazione di ricognizione su alcune spiagge dove, con il ritirarsi delle acque, apparivano i cadaveri. Tanti, anche in Charente Maritime o nei Pirenei, i decessi causati dalla caduta di alberi, dal crollo di tetti, dagli oggetti che le raffiche di vento hanno trasformato in proiettili.
    I trasporti sono nel caos, molti i voli annullati, i treni soppressi, le strade interrotte. I disagi sono ancora per la prossima notte estremi per il milione di case che è rimasto senza elettricità, anche se la tempesta, ha annunciato Meteo France a fine pomeriggio, si sta spostando verso il centro Europa.
    Il presidente, Nicolas Sarkozy, sarà domani mattina in Vandea, dopo aver spedito subito il ministro dei Trasporti, Dominique Bussereau, ed aver esortato il governo ad “agire subito”. Per Francois Fillon, primo ministro che ha convocato una riunione domenicale d’emergenza a Matignon, si tratta per la Francia di una “catastrofe nazionale”.
    Xynthia, annunciata da impressionanti raffiche a 150 km orari, è la tempesta più grave in Francia dopo quella della fine di dicembre del 1999, quando si contarono alla fine 92 vittime. Prima di investire il territorio francese, Xynthia ha seminato vittime in Spagna (tre nel nord) e in Portogallo (un bambino annegato sul litorale). In serata si sposta verso Belgio, Olanda e Germania, dove già si contano le prime vittime: due tedeschi (un automobilista e una ragazza che faceva jogging, entrambi colpiti dalla caduta di alberi). Identica dinamica per la prima vittima in Belgio, un uomo che si trovava nel suo giardino a una quarantina di chilometri da Bruxelles.
    La profonda depressione sub-tropicale è partita sabato da Madeira, in Portogallo, puntando verso il Nord; in serata è entrata nel Golfo di Biscaglia, passando poi in Bretagna da dove partirà lentamente verso il Mare del Nord. La tempesta ha raffiche di vento tra i 130 e i 150 chilometri orari, ma raffiche più violente (fino a 150 km/h) sono state registrate nell’estuario della Loira, nella Gironda e sui Pirenei
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    “Repubblica”, 1 marzo 2010, QUI

    FUGGITI SUI TETTI NELLA NOTTE: L’ACQUA CI INSEGUIVA, SI E’ FERMATA A DUE GRADINI
    di g. mart.

    I pompieri continuano ad andare avanti e indietro per salvare il salvabile, alle autobotti cominciano ad affiancarsi i carri funebri: i mille abitanti de La-Faute-sur-Mer sono sbigottiti, assistono in lacrime al balletto delle auto e dei soccorsi. In questa cittadina costiera, di fronte all’isola di Ré tanto amata dai parigini, la tempesta Xynthia ha raggiunto il suo picco di violenza, lasciando dietro di sé morte e devastazione. Le case sono sommerse, di alcune si vedono solo i tetti. I sopravvissuti si chiedono dove siano amici e familiari, la conta dei dispersi fa crescere l’angoscia. Due parigini in vacanza nella casa di famiglia sono ancora sotto choc: «La casa è stata invasa dall’acqua in mezz’ora. Ci siamo rifugiati al primo piano, ma ha continuato a salire. Si è fermata ad appena due gradini da noi». Altri sono saliti sui tetti per sfuggire alla morte. La gente era andata a letto, malgrado l’allerta lanciata dai servizi meteorologici: «Nessuno si aspettava una cosa del genere». Un uomo racconta di essersi salvato grazie alla moglie: «Ha sentito un rumore e ci siamo svegliati, siamo saliti sul tetto. Di fronte a noi c’è una casa dove abitano due anziani, tutte le persiane sono chiuse, non sappiamo quel che è successo a loro». Almeno quattrocento persone sono state evacuate e ricoverate in una palestra. Sono fuggiti senza niente, a volte in pigiama: «Ho visto un bambino di sette anni andare in giro a piedi nudi», dice Philippe de Villiers, presidente del consiglio generale di Vandea. Nei dintorni, pompieri e gendarmi cercano di rafforzare le dighe, di colmarei buchi aperti dal ciclone Xynthia: cinquemila tonnellate di calcinacci sono stati trasportati d’urgenza sul posto per evitare nuovi danni. I soccorritori setacciano tutte le case alla ricerca dei dispersi, gli abitanti si riversano sul litorale: «A tratti non lo si riconosce più», dice una donna. Le strade sono sprofondate, le dighe divelte, il terreno ridotto a fanghiglia. In molte zone manca l’elettricità e François Fillon ha avvertito che ci vorrà tempo per riportare la corrente dappertutto. La rete telefonica è stata danneggiata. Gli abitanti si guardano con aria smarrita: questa stazione balneare con i suoi otto chilometri di spiaggia si è trasformata in due ore in una landa sconvolta e fangosa. Al calar della sera si cercano ancora i dispersi, si organizzano i rifugi di fortuna per chi ha perso la casa, si cerca di farsi forza. Gli elicotteri continuano a volteggiare, col buio riaffiora la paura provata nella notte precedente.

  6. “Corriere della Sera”, 19 novembre 2013, QUI

    ALLUVIONE DI CAPOTERRA, VIA AL PROCESSO A CAGLIARI
    Cinque anni fa quattro vittime per il maltempo. Oggi in aula le oltre 160 parti civili. Otto gli imputati
    di Redazione

    Era il 22 ottobre del 2008 quando una pioggia torrenziale cadde sui monti di Capoterra, grosso centro dell’hinterland di Cagliari, costruito alle falde dei monti del Sulcis che sia affacciano sul golfo degli Angeli. Una bomba d’acqua venne giù dalla montagna e neppure il mare riuscì a smaltirla, ingrossato, come lunedì, dallo scirocco, tanto che furono trovati dei pesci a centinaia di metri dalla spiaggia, nell’entroterra. In quell’occasione persero la vita Antonello Porcu e la suocera Licia Zucca, travolti dalla piena mentre scappavano con la loro auto a valle e Anna Rita Lepori, trascinata in macchina dalla furia del rio San Girolamo che si era ingrossato per le piogge. Speranza Sollai fu trovata annegata nel garage della sua abitazione. Un’altra persona, Mariano Spiga di 66 anni, morì invece nelle stessa occasione a Sestu.
    IL PROCESSO – Ironia della sorte ha voluto che proprio oggi che la Sardegna è alle prese con una nuova emergenza maltempo, per cui si contano già 14 vittime, a Cagliari si celebri il processo per le 4 vittime di Capoterra: sono oltre 160 le parti civili ammesse e otto imputati a vario titolo per omicidio colposo, inondazione colposa e rifiuto d’atti d’ufficio
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    (fonte: AdnKronos)

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    “Sardinia Post”, 19 novembre 2013, QUI

    NEL GIORNO DI CLEOPATRA, AL VIA IL PROCESSO SULL’ALLUVIONE DI CAPOTERRA: “FIUME KILLER A CAUSA DEL CEMENTO”
    di Piero Loi

    Il processo sull’alluvione di Capoterra inizia – ironia della sorte – il giorno dopo il passaggio del ciclone Cleopatra sulla Sardegna, proprio quando la conta di morti, dispersi e danni non può ancora dirsi conclusa. Dopo diversi rinvii, il processo celebrato nell’aula della Corte d’Assise del Palazzo di giustizia di Cagliari entra subito nel vivo con la presentazione delle indagini realizzate dal commissario del Corpo forestale di Cagliari Fabrizio Madeddu.
    “Quel giorno le precipitazioni furono molto intense – ha spiegato – la stazione pluviometrica di Santa Lucia rilevó 461 millimetri di acqua caduti in poche ore”. Ma secondo il commissario della Forestale a causare il disastro non fu un accrescimento costante dell’acqua, ma più ondate di piena causate da ostacoli di vario tipo incontrati dai corsi fluviali, in particolare dal Rio San Girolamo nello scorrere da monte a valle.
    Sono le 11 quando il dirigente della Forestale inizia a ricostruire i tragici eventi che il
    22 ottobre del 2008 costarono la vita a Antonello Porcu, Licia Zucca, Speranza Sollai e Anna Rita Lepori. La testimonianza finirà tre ore più tardi, dopo la proiezione di decine di foto.
    La tesi del commissario della Foresta le è chiara: complice del disastro sarebbe la mano umana, dato che “diversi ponti sono stati costruiti in zone ad elevato rischio idraulico – spiega Madeddu -. Ma un discorso analogo vale per edifici o strade realizzate sull’alveo del Rio San Girolamo”. In altri termini, imperizia e incuria avrebbero fatto precipitare una situazione già critica.
    Così è avvenuto a monte, “dove alcuni sbarramenti, in stato di abbandono dal 2003, sono collassati, generando una prima ondata di piena – ricostruisce Madeddu -. Lo scorrimento del fiume ha poi trovato un altro ostacolo nella strada che, sempre a monte, corre parallela al Rio San Girolamo. Si tratta di un rilievo stradale già oggetto di procedimento penale, perché realizzata senza autorizzazione del Genio civile”.
    È stato ricordato anche il caso di un’altra strada, che occupa 42 dei 60 metri di larghezza raggiunti dal letto del Rio San Girolamo più a valle, in prossimità di un altro ponte travolto dalla furia dell’acqua. Insomma, un percorso a ostacoli per il fiume, che in prossimità di Poggio dei pini ha trovato ulteriori barriere: prima un complesso di edifici, poi delle mura che hanno bloccato il passaggio dell’acqua, che qui ha raggiunto i 3,70 metri d’altezza. “Ed è cosi che – secondo le ricostruzioni di Madeddu – un’onda anomala si è riversata sul villaggio”.
    Le cose non sono andate meglio in prossimità della diga a terra o Lago grande, come chiamano l’invaso da 400mila metri cubi di cui oggi è concessionaria la società “Poggio dei pini”. La diga è infatti “perimetrata” da un canale di scarico che presenta delle difformità rispetto al progetto iniziale. In pratica, l’angolo retto del canale ha favorito la fuoriuscita dell’acqua, che si è aggiunta a quella tracimata dalla diga a terra. Si è creata così l’onda che ha colpito Antonello Porcu e Licia Zucca, le prime due vittime del 22 ottobre 2008. La loro macchina è stata poi trovata 400 metri più avanti. Significative le parole di Madeddu a proposito dell’invaso: “Quella che prima era una diga a servizio di un’area agricola, ora è a servizio di un complesso residenziale”.
    Nella ricostruzione di Madeddu, la conta dei ponti crollati o, più in generale, dei casi di cattiva gestione del territorio, non ha fine. Ad esempio, è stato ricordato che “a valle di Poggio dei Pini, la zona sportiva è stata costruita su un’ansa del San Girolamo e per questo colpita dal fiume in piena”. Il Rio ha poi proseguito il suo percorso fino a San Girolamo, dove si è registrata la terza vittima, Speranza Sollai, morta nel piano interrato della propria abitazione. Qui, a poche centinaia di metri dal mare, il fiume ostruito da un ponte ha infine ucciso Anna Rita Lepori, travolta da un’onda anomala mentre percorreva la 195 in direzione Pula. Il corpo della donna è poi stato ritrovata in mare da un pescatore di Sarroch.
    I reati contestati nell’ambito del processo sull’alluvione di Capoterra vanno dunque dall’omicidio colposo all’inondazione colposa, contestati ai tecnici del Genio civile, della Protezione Civile e dell’Anas, oltre che all’ex sindaco di Capoterra, Giorgio Marongiu, oggi presidente del consiglio comunale di Capoterra. In particolare sono imputati i capi compartimento Anas della Sardegna Bruno Brunelletti e Giorgio Carboni, il presidente della cooperativa Poggio dei Pini Giovanni Calvisi, un funzionario della Protezione civile Sergio Carrus, e i dirigenti del Genio, Virgilio Sergio Cocciu, Gian Battista Novelli e Antonio Deplano. La prossima udienza è stata fissata per il 3 dicembre dal giudice Claudio Gatti. Sono oltre 400 i testimoni ammessi al processo
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    • “Sardinia Post”, 12 gennaio 2014, QUI

      DOPO L’ALLUVIONE, LA PIOGGIA DEGLI AVVISI DI GARANZIA
      di Giandomenico Mele

      Una pioggia di avvisi di garanzia. Il sostituto procuratore della Repubblica di Tempio, Riccardo Rossi, titolare dell’inchiesta sull’alluvione del 18 novembre scorso, insieme al procuratore capo Domenico Fiordalisi, potrebbero definire in poche settimane, entro la fine del mese, il quadro completo dei soggetti sotto inchiesta per i reati di omicidio colposo plurimo (le vittime in Gallura furono nove) e disastro ambientale.
      Sotto la lente della magistratura, molti amministratori attualmente in carica, per una responsabilità diretta nella gestione dell’emergenza maltempo e anche politici del passato per eventuali responsabilità sulle politiche urbanistiche e sulla mancata tutela del territorio. Nomi pesanti della politica locale, politici di vertice.
      Ma la novità è che decine di cittadini (alcuni dei quali si sono riuniti in un
      Comitato per la tutela dei diritti degli alluvionati) hanno già provveduto a presentare querela contro ignoti per disastro ambientale, in maniera da garantirsi la porta aperta per la presentazione di richieste di risarcimento dei danni subiti anche all’interno degli eventuali procedimenti giudiziari aperti nei confronti dei politici coinvolti.
      Così, mentre il comune di Olbia chiede conto al governo per le mancate risposte, con il sindaco Giovanni Giovannelli che provocatoriamente ha richiamato i ministri a tornare ad Olbia per mantenere le promesse fatte nelle prime ore del post alluvione, i cittadini attaccano l’amministrazione. Non solo per i danni dell’alluvione, ma anche per quanto non è stato fatto dopo. Cioè per aver messo in campo gli strumenti necessari per venire incontro alla popolazione messa in ginocchio.
      Ma il fronte principale resta quello delle responsabilità nella catastrofe del 18 novembre. “Abbiamo già presentato denuncia contro ignoti – spiega Antonella Sanna, una delle persone colpite dal ciclone Cleopatra – perché abbiamo intenzione di costituirci parte civile una volta che si conosceranno i responsabili di questo disastro”.
      “Sono passato indenne dalle alluvioni del ’63 e del ’79 – racconta Giovanni Bonannini, titolare di una notissima vetreria di Olbia – questa volta ho perso tutto. Il sindaco Giovannelli dice che pulire i canali non era compito suo, ma io voglio giustizia – prosegue in lacrime – perché i responsabili devono essere trovati”.
      Gli amministratori, comunque, intanto vanno avanti nella protesta contro il governo. Il sindaco Giovannelli e il presidente del Consiglio comunale, Vanni Sanna, hanno confermato la convocazione di un Consiglio comunale a Roma per contestare i mancati interventi statali a favore di Olbia per il post alluvione, dalla deroga al Patto di Stabilità, allo stanziamento di fondi cospicui per la ricostruzione.
      In realtà nella maggioranza (formata da Pd e da quel che resta della civica che sostenne Giovannelli) ci sono divisioni pesanti: il deputato democratico Giampiero Scanu parrebbe non gradire una manifestazione di protesta tutta orientata contro il governo Letta. A questo si aggiungono le sue tensioni personali con Vanni Sanna, esponente della civica di Giovannelli, che ha già messo il suo sigillo sull’iniziativa romana. In definitiva, nemmeno il post alluvione ha fatto mettere da parte le tensioni politiche all’interno dell’amministrazione
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  7. Dopo la tragica alluvione che ha colpito la Sardegna il 18 e il 19 novembre 2013 (QUI il liveblogging di “SardiniaPost”), sono state aperte due inchieste giudiziarie: una a Tempio e una a Nuoro.
    Qui sotto i rispettivi articoli:

    “SardiniaPost”, 20 novembre 2013, QUI

    E ORA VIENE IL TEMPO DELLA GIUSTIZIA
    di N.B.

    “Ora è il momento della misericordia, verrà il momento della giustizia”, dice il procuratore capo di Tempio Riccardo Rossi. Arriverà, questo “momento della giustizia”, con l’apertura di un fascicolo sulla strage. Per capire se l’eccezionale evento meteorologico sia l’unica causa o e invece – come innumerevoli indizi fanno ritenere – ci siano anche responsabilità umane.
    Il bilancio delle vittime è il risultato della somma di tragedie diverse, avvenute in luoghi distanti tra loro, accomunate solo dalla “bomba” d’acqua che ha investito la Sardegna e, con particolare violenza, la Gallura. La domanda è: queste tragedie potevano essere in tutto o in parte evitate?
    Il responsabile della Protezione civile Franco Gabrielli è stato categorico su un punto: “Non c’è stato alcun ritardo né nell’allarme né nei soccorsi”. E se ci sono delle responsabilità vanno cercate altrove. Perché la struttura della Protezione civile è articolata: parte dai comuni, arriva alle province e alle Regioni, quindi al coordinamento nazionale. E’ ai “primi piani” di questa complessa impalcatura, secondo Gabrielli, che vanno cercate eventuali responsabilità. Un richiamo al tema della prevenzione, formulato con una battuta polemica rivolta agli amministratori locali: “Sarebbe sufficiente rinunciare a qualche sagra e concentrarsi sulla pianificazione territoriale”.
    Quali sono le responsabilità di chi governa i territori? La risposta a questa domanda conduce in un campo vastissimo, e chiama in causa gli amministratori in carica per l’organizzazione e il finanziamento della associazioni di volontariato, e quelli che si sono succeduti negli anni per l’approvazione di “piani di risanamento” che – come ha dichiarato a Sardinia Post il geologo Fausto Pani – hanno finito col creare un “sistema idraulico artificiale”: “Ai torrenti naturali abbiamo sostituito cemento, asfalto e mattoni e sono così diventati impermeabili”.
    Ma questi rilievi, mentre hanno grande rilevanza nel dibattito politico, possono entrare solo in modo marginale in un’ indagine penale che deve accertare la relazione diretta, il rapporto di causa-effetto, tra l’evento e i suoi responsabili. La sanzione per chi ha devastato un territorio con scelte urbanistiche dissennate è politica e non penale. Spetta agli elettori, non ai giudici.
    I quali, invece, si concentreranno su vicende specifiche: “La procura – ha infatti chiarito il procuratore Rossi – valuterà caso per caso”. E uno dei “casi” che passeranno al vaglio della magistratura sarà, per esempio, il crollo del ponte nella statale Olbia-Tempio. In un tratto di strada che dal 1986, quando l’opera fu terminata, ha dato continui problemi. Anche senza bisogno di eventi meteorologici eccezionali
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    “SardiniaPost”, 21 novembre 2013, QUI

    OMICIDIO COLPOSO E DISASTRO, DOPO LA PROCURA DI TEMPIO ANCHE QUELLA DI NUORO APRE UN FASCICOLO

    Dopo la Procura di Tempio, anche quella di Nuoro ha aperto un fascicolo sull’alluvione, sempre contro ignoti e sempre per omicidio colposo e disastro.
    Ieri nella zone colpite dalla tempesta di acqua e fango hanno fatto il sopralluogo il procuratore capo Andrea Garau e il sostituto Andrea Vacca. Il Nuorese ha contato due vittime: sulla strada tra Oliena a Dorgali ha perso la vita il poliziotto di Urzulei, Luca Tanzi, mentre a Torpè è morta Maria Frigiolini, una donna in sedia a rotelle stroncata da un infarto. E proprio oggi ci saranno i funerali dell’agente e dell’anziana.
    Il lavoro della Procura nuorese segue il solco di rito: la magistratura vuole accertare eventuali responsabilità nella gestione del territorio, ma anche nel suo sfruttamento, tanto da causare disastri come quelli seguiti al passaggio del ciclone Cleopatra.
    Al momento non hanno fatto mosse nella Procura di Oristano: anche in quella Provincia c’è stata una vittima, la prima dell’alluvione: a morire è stata una donna di Uras, Vannina Figus, di 64 anni. Ma negli uffici degli Tribunale non è stata ancora avviata alcuna inchiesta
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  8. Tra le alluvioni più gravi degli ultimi anni ci sono quelle del 2009 nel messinese. Nel 2011 è cominciato il processo per definire le responsabilità umane.

    “Lettera 43”, 11 novembre 2011, QUI

    MESSINA, 20 INDAGATI PER L’ALLUVIONE DEL 2009
    Sotto accusa amministratori e membri della Protezione civile.
    di Redazione

    La Procura di Messina ha iscritto 20 persone nel registro degli indagati tra sindaci, assessori comunali, provinciali e regionali, dirigenti locali e regionali e funzionari della Protezione civile con l’accusa di disastro colposo e omicidio colposo plurimo nell’ambito dell’indagine sull’alluvione del 2009 a Giampilieri, Scaletta e altre frazioni del capoluogo in cui morirono 37 persone. I nomi degli indagati non sono ancora stati resi noti. L’inchiesta ha preso in esame i ritardi nei soccorsi e i mancati interventi di messa in sicurezza dopo le alluvioni degli anni precedenti. La procura, durante l’indagine si è avvalsa di numerose perizie e rilievi ambientali.

  9. “La Repubblica”, 8 gennaio 2014, QUI

    L’AQUILA, LE CASETTE DEL TERREMOTO USATE COME TANGENTI
    Tra i quattro arrestati ci sono due ex assessori, indagato il vice sindaco Pd: “Estraneo a tutto”. Un sistema di mazzette descritto da un imprenditore veneto messo alle strette. Nell’inchiesta anche appalti per la ricostruzione promessi in cambio di finanziamenti elettorali al partito “La Destra”. Il sindaco Cialente: “Sorpreso e tradito”
    di Giuseppe Caporale

    L’AQUILA – All’Aquila le tangenti non si pagano più solo in contanti, ma anche con le casette del terremoto. Con i moduli abitativi provvisori. E così quei fabbricati di legno che per migliaia di aquilani, a quasi cinque anni di distanza dal sisma, ancora oggi sono luoghi del dolore, del rifugio dalla disperazione per aver perso la propria casa, invece per alcuni politici locali sono diventati tangenti, soldi sporchi.
    C’è anche questo nelle carte dell’ultimo scandalo della ricostruzione post-terremoto che questa mattina ha portato all’arresto di quattro persone, tra cui due politici: Pierluigi Tancredi, ex assessore di Forza Italia ed ex consigliere comunale Pdl alla ‘salvaguardia dei beni artistici dell’Aquila’ e Vladimiro Placidi, ex assessore comunale nominato come tecnico nella giunta di centrosinistra, delegato alla ricostruzione dei beni culturali. Gli altri due arrestati sono Daniela Sibilla, collaboratrice di Tancredi e l’imprenditore abruzzese Pasqualino Macera.
    Tra gli altri quattro indagati, invece, c’è anche il vice sindaco dell’Aquila, Roberto Riga, sospettato di aver ricevuto una tangente di 10 mila euro, nascosta dentro un pacco dono con una confezione di grappa, per la promessa di un appalto. “Un fulmine a ciel sereno su una vicenda che non conosco – ha commentato Riga -. Confido nella magistratura che faccia il suo corso, fornirò elementi per mettere in evidenza la mia piena estraneità. Per le mie azioni c’è la piena tracciabilità – aggiunge – comunque ho un’informazione di garanzia, non un rinvio a giudizio”.
    Le indagini dell’operazione ‘Do ut des’, effettuate dalla Squadra mobile dell’Aquila in collaborazione con quelle delle questure di Perugia e Teramo, sono partite dai lavori di puntellamento di Palazzo Carli, sede del Rettorato dell’Università dell’Aquila, nel centro storico della città. Oltre a Riga, sono indagati un dirigenti del Comune, un tecnico e un imprenditore, tutti sottoposti a perquisizione domiciliare e presso gli uffici di appartenenza, per gli stessi reati contestati agli arrestati: millantato credito, corruzione, falsità materiale ed ideologica, appropriazione indebita. Si tratta di G. D., direttore del settore Ricostruzione Pubblica e Patrimonio del Comune dell’Aquila, all’epoca dei fatti responsabile dell’Ufficio Ricostruzione; F.M., ingegnere, all’epoca dei fatti direttore e progettista dei lavori per le opere provvisionali di messa in sicurezza di Palazzo Carli e di D.L., imprenditore.
    Alcuni indagati si sarebbero indebitamente appropriati, previa contraffazione della documentazione contabile, di circa 1.250.000 euro, relativa al pagamento di parte dei lavori.
    A mettere tutti nei guai è stato un imprenditore veneto, Daniele Lago, amministratore delegato della Steda spa. Messo alle strette dagli agenti della squadra mobile rispetto a un presunto illecito per un valore superiore a un milione di euro (legato a un appalto), Lago ha deciso di confessare e raccontare al procuratore Fausto Cardella e ai pm David Mancini e Antonietta Picardi il sistema delle tangenti nella città del post sisma.
    “Gli indagati hanno rivelato una dedizione costante ad attività predatorie in danno della collettività, arrivando a suggerire i metodi corruttivi, a costituire società ad hoc, a rappresentare realtà fittizie, anche in momenti (il post sisma) in cui il dramma sociale e umano avrebbe suggerito onestà e trasparenza. Da ciò si ricava la certezza della reiterazione di reati della stessa specie”, scrive il gip Romano Gargarella nell’ordinanza d’arresto motivando le esigenze cautelari.
    “Tancredi anche in virtù del suo ruolo politico pubblico si è posto nel dopo-sisma, caratterizzato dalla fase dell’emergenza, come collettore di compensi di imprese in cambio di agevolazioni per il conferimento di lavori”, è scritto ancora nell’ordinanza. E sarebbe proprio Tancredi, oltre a farsi consegnare dalla Steda del denaro per il suo aiuto, a chiedere e ottenere, secondo la Procura – attraverso una società creata ad hoc per incamerare i proventi illeciti – anche cinque Map, cinque ‘Moduli abitativi provvisori’, del valore di 40 mila euro l’uno. Moduli che poi, secondo l’accusa, provvederà in parte a rivendere.
    Ma le tangenti – secondo quanto raccontato dall’imprenditore – hanno riguardato anche il vertice dell’amministrazione comunale dell’Aquila nella personan della il vice sindaco Riga. Scrive il gip Gargarella: “L’amministratore della Steda spa ha riferito che uno degli appalti che gli vennero ‘offerti’ riguardava quello relativo all’esecuzione delle opere provvisionali di messa in sicurezza di un immobile della dottoressa Sabrina Cicogna, medico presso l’ospedale dell’Aquila. Dalle dichiarazioni del Lago emerge che l’assegnazione di quell’intervento gli venne garantita oltre che da Tancredi, anche da Riga, vicesindaco de L’Aquila”.
    E per ottenere quell’appalto a Lago fu chiesto di finanziare con un contributo elettorale di 5mila euro il partito politico ‘La Destra’, di cui “la Cicogna era esponente locale”.
    Massimo Cialente, sindaco della città da due legislature, ha convocato a stretto giro una riunione della giunta comunale “per cercare di capire, analizzare fatti ed assumere le decisioni conseguenti”. “Sto malissimo – ha detto – , mi sento tradito, perché ho sempre raccomandato a tutti la massima trasparenza e il rispetto della legge. Avevo nominato Placidi per le sue capacità tecniche perché in quei drammatici momenti mi serviva un tecnico ed ho scelto lui in quanto direttore generale del Consorzio beni culturali, istituzione della quale il Comune é il maggiore azionista, ed ho pensato che fosse il tecnico più bravo. Quanto a Tancredi – ha aggiunto Cialente – avevo pensato a lui come consigliere comunale di opposizione, ma mantenne la sua delega per soli due giorni in seguito alla levata di scudi in seno alla maggioranza. Poi Tancredi si dimise perché mi disse che voleva lavorare nella ricostruzione come agente per la ricerca di appalti. Sibilla è una sua collaboratrice, gli altri non li conosco”. Cialente non ha voluto commentare la posizione del vicesindaco Riga, indagato. “La cosa drammatica è che qualsiasi ombra getta discredito sull’immagine di una città che deve essere ricostruita – ha detto Cialente -. Anche se per quanto si è potuto capire finora, pare che il tutto sia circoscritto ad un appalto per la messa in sicurezza di un palazzo. Ma qualsiasi pelo rovina l’immagine dell’Aquila”.
    Il deputato abruzzese Sel, Gianni Melilla, invoca una Commissione parlamentare: ”Ferme restando le garanzie costituzionali degli indagati”, esprime ”il più convinto sostegno all’azione degli organi preposti al controllo, alla vigilanza e alla repressione di ogni fenomeno criminale collegato alla ricostruzione”. Melilla ricorda che 3 mesi fa ha presentato in Parlamento una richiesta di Commissione di inchiesta parlamentare sui sui fenomeni di corruzione legati alla ricostruzione dell’Aquila. “Quella proposta è stata lungimirante – evidenzia – e tornerò a chiedere oggi la messa in discussione della mia proposta nell’interesse dell’Aquila e dei suoi cittadini onesti”
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  10. “Latina Today”, 25 febbraio 2014, QUI

    CROLLO A VENTOTENE, LEGAMBIENTE: “DOPO 4 ANNI UNA SENTENZA STORICA”
    Legambiente commenta la sentenza con cui sono stati condannati tutti e quattro gli imputati nell’ambito del processo per la morte delle due studentesse romane uccise da una frana sulla spiaggia di Cala Rossano
    di Redazione

    Una sentenza storica. Con queste parole Legambiente Lazio definisce la sentenza emessa ieri nell’ambito del processo per il crollo di Ventotene che nell’aprile del 2010 era costato la vita a due giovani studentesse romane in gita scolastica sull’isola pontina. Condannati tutti e quattro gli imputati, l’attuale sindaco di Ventotene, Giuseppe Assenso, l’ex primo cittadino, Vito Biondo, il responsabile del Genio Civile di Latina, Luciano Pizzuto e il capo dell’ufficio tecnico del Comune, Pasquale Romano.
    “Dopo quattro anni dalla morte di Sara e Francesca per una frana a Ventotene, una storica sentenza accerta verità e responsabilità – ha dichiarato Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio, dopo la conclusione del processo di primo grado -. Non c’è ovviamente nulla di cui gioire, ma certo la sentenza fa chiarezza e rende così un pò di giustizia alle giovani vittime, alle loro famiglie e rappresenta un monito contro l’inerzia sul rischio idrogeologico, che continua troppo spesso a mettere in pericolo la vita dei cittadini.
    La quasi totalità del territorio laziale è d’altronde a rischio idrogeologico e troppi comuni non recepiscono i Piani di Assetto Idrogeologico, non svolgono la manutenzione ordinaria e meno della metà dispone di un piano per affrontare le emergenze, che si moltiplicano anche a causa dei cambiamenti climatici. La vera soluzione sta proprio nella manutenzione e messa in sicurezza del territorio, priorità fondamentale della quale ricordarsi quando si pianificano gli investimenti per mettere così in campo misure efficaci e prevenire drammi gravi come quello di Ventotene.”
    A questo proposito, quindi, Legambiente ricorda i dati del recente “Ecosistema rischio”, l’indagine realizzata dall’associazione con la collaborazione del Dipartimento della Protezione Civile che scatta una fotografia aggiornata sul rischio idrogeologico in Italia. “Nel Lazio l’84% dei comuni conta abitazioni in aree a rischio idrogeologico, il 34% ospita interi quartieri, il 73% industrie, il 25% strutture sensibili come scuole e ospedali e strutture commerciali o ricettive. Nel 21% dei comuni si è continuato a costruire in aree a rischio idrogeologico negli ultimi 10 anni. Solo il 27% svolge un lavoro di mitigazione del rischio complessivamente positivo, il 21% ottiene un punteggio scarso e la maggior parte, il 52% insufficiente. Roma complessivamente inefficiente nella mitigazione del rischio idrogeologico, gravemente carente nell’affrontare le emergenze e sotto il peso di un’intensa urbanizzazione”
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  11. Nel novembre 2000 il paese di Ceriana, nell’estremo ponente ligure, a pochi chilometri dal confine con la Francia, all’interno di San Remo, fu sconvolto da un’alluvione che causò, tra l’altro, varie frane e ingenti danni.
    Nell’aprile 2001 il sindaco Bruna Rebaudo ha scritto una lettera alla Protezione Civile della Valbisagno per ringraziare i volontari degli aiuti prestati: QUI

    ALLUVIONE DI CERIANA – Pasqua 2001
    Cari amici, sono ormai trascorsi più di quattro mesi dall’alluvione che ha sconvolto la Liguria ed altre regioni italiane, distruggendo brutalmente il territorio e lasciando attonita e quasi incredula la sua gente. Questa alluvione ha colpito in particolar modo il nostro comune, distruggendo e modificando l’aspetto delle sue valli, tanto da essere irriconoscibile in alcuni suoi tratti e privandoci di due nostri concittadini. La gente e l’Amministrazione hanno scoperto quanto sia importante la solidarietà e l’aiuto degli altri. Siete arrivati nel nostro paese numerosissimi rimboccandoVi le maniche, Vi siete messi a spalare, a ripulire dal fango le strade, a togliere macerie, a tagliare alberi, a portare viveri di prima necessità, ad aiutare senza risparmiarVi la gente di un paese ancora sotto choc per quello che era successo. E’ stata la presenza di tutti Voi a ridarci la forza ed il coraggio per ricominciare senza mai assumere atteggiamenti vittimistici. La Vostra Associazione è stata tra quelle che sono accorse, dimostrando che la solidarietà non è astratta, ma ben tangibile: ne dobbiamo essere orgogliosi e fare in modo che le Associazioni di Volontariato vengano sempre più sostenute dalle Istituzioni. Con queste poche righe voglio ringraziarVi per quello che avete fatto per nostro paese e per la sua gente. Vi auguro Buona Pasqua e ancora un enorme GRAZIE!!!! A nome della popolazione di Ceriana, dell’Amministrazione e mio.
    Il Sindaco Bruna Rebaudo
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    Nel 2007 i documentaristi Piero Farina e Marisa Fogliarini hanno realizzato un servizio 30’46” trasmesso da Rai Tre in “Geo & Geo” il 6 aprile 2007, intitolato “Ceriana, un paese che vive”. QUI c’è una descrizione e un’ampia galleria fotografica:

    È un paese di milleduecento abitanti posto in Alta Valle Armea, nell’estremo Ponente ligure, a pochi chilometri dal confine con la Francia, caratterizzato da un’affascinante architettura che presenta alcuni splendidi edifici medievali.
    Paese sereno e tranquillo Ceriana fino al novembre del duemila, quando anche nel borgo ligure si fanno sentire le conseguenze della profonda trasformazione del clima di questi ultimi anni. Una disastrosa alluvione colpisce il paese. Due milioni di tonnellate di terra e pietrisco sconvolgono la valle producendo vittime e danni. Altre venti frane colpiscono la campagna circostante mettendo in ginocchio l’intera popolazione.
    Ma dopo molto tempo da quella tremenda calamità è ormai evidente che la capacità operativa dei cerianaschi, unita al loro forte senso di solidarietà ha reso ancor più coesa una comunità che ha dietro di sé una storia quasi millenaria.
    La forte identità culturale del paese dovuta alle quattro confraternite, già attive in epoca rinascimentale, custodi dei valori sociali e religiosi dell’intera collettività, e la presenza di cinque cori che tengono tra l’altro ben viva nel borgo la ormai secolare tradizione del canto con accompagnamento a “basso di bordone”, ha permesso ai cerianaschi di trovare la forza e la coesione per reagire alla violenza improvvida della natura.
    Ceriana, oggi, è un paese che vive
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    L’alluvione ha avuto degli strascichi giudiziari. Il 31 ottobre 2011 “Sanremo News” riportava la seguente notizia:

    SANREMO: TRUFFA E FALSO PER L’ALLUVIONE DI CERIANA, IL 23 GENNAIO LA CONCLUSIONE DELL’ISTRUTTORIA
    Stamani diverse testimonianze in aula sulle diverse fasi di intervento durante la ricostruzione
    di Redazione

    Il prossimo 23 gennaio terminerà l’istruttoria sul processo per truffa e falso a carico di due coniugi, cinque artigiani ed un geometra di Ceriana, nell’entroterra di Sanremo. Queste persone sono infatti accusate di aver percepito indebitamente diversi finanziamenti a titolo risarcitorio in seguito ai danni dell’alluvione del 2000, secondo l’accusa i danni denunciati sarebbero stati gonfiati rispetto alla portata reale.
    Oggi per contestare le accuse sono stati ricostruiti in maniera minuziosa quelli che sono stati i lavori di rifacimento del condominio e delle facciata sulla proprietà Onda. Sugli edifici si abbatté un grosso masso che segnò le strutture, oggi per confermare le diverse fasi di ricostruzione sono stati chiamati i testimoni per la difesa Spina e Congiusti,
    Nella scorsa udienza erano state molto significative le testimonianze di alcuni esponenti della Protezione Civile che quel giorno a Ceriana in corso Italia operarono all’interno della casa appartenente ad Antonio Onda ed Angela Brezzo, due degli imputati, difesi dall’avvocato Alessandro Moroni. Oltre a loro compaiono a processo Biagio Congiusti difeso dall’avvocato Claudia Rodini, Silvio Spina difeso dall’avvocato Vincenzo Icardi, Domenico ed Antonino Stellitano difesi dall’avvocato Francesco Fontana ed Agostino Priori difeso dall’avvocato Alessandro Mager.
    Agli atti ci sono anche le foto molto eloquenti dove si vede chiaramente la distruzione portata dalla frana che toccò Ceriana e proprio su quell’abitazione. A supporto le dichiarazioni dei volontari che avevano ripercorso i momenti salienti delle operazioni di rimozione di quei massi. Dal racconto era emerso come quelle rocce sventrarono la casa, quasi che fossero state scagliate contro con una catapulta. Il masso venne frantumato per toglierlo dall’abitazione e comunque servirono quattro persone per agire. Non solo, la casa era talmente devastata che per precauzione venne puntellato l’appartamento sottostante
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    Il processo, naturalmente, è andato avanti e questo è un aggiornamento, sempre di “Sanremo News” del 25 giugno 2012, QUI:

    CERIANA: DANNI GONFIATI PER L’ALLUVIONE DEL 2000, IL PM CHIEDE 2 ANNI PER OGNI IMPUTATO
    Oggi ha parlato anche la parte civile, l’avvocato Bruno Di Giovanni, per il comune di Ceriana. A luglio interverranno le difese e subito dopo il giudice si pronuncerà con la sentenza di primo grado.
    di Stefano Michero

    Andrà a sentenza a luglio il processo per truffa e falso a carico di due coniugi, cinque artigiani ed un geometra di Ceriana, nell’entroterra di Sanremo. Oggi il Pubblico Ministero al termine della propria requisitoria ha chiesto la condanna per ognuno a 2 anni di reclusione, con la concessione delle attenuasnti generiche sulle aggravanti contestate. Nel corso dell’udienza ha trovato spazio anche l’analisi dell’avvocato Bruno Di Giovanni, che tutela la parte civile, il comune di Ceriana. Il legale ha concluso concordando con le richieste di pena formulate dall’accusa e presentando una richiesta di risarcimento danni di 45mila euro per i contributi e per quanto riguarda i danni non patrimoniali da liquidarsi in separata sede con provvisionale.
    Queste persone sono accusate di aver percepito indebitamente diversi finanziamenti a titolo risarcitorio in seguito ai danni dell’alluvione del 2000, secondo l’accusa i danni denunciati sarebbero stati gonfiati rispetto alla portata reale. Sul banco degli imputati Antonio Onda ed Angela Brezzo, due degli imputati, difesi dall’avvocato Alessandro Moroni. Oltre a loro compaiono a processo Biagio Congiusti difeso dall’avvocato Claudia Rodini, Silvio Spina difeso dall’avvocato Vincenzo Icardi, Domenico ed Antonino Stellitano difesi dall’avvocato Francesco Fontana ed Agostino Priori difeso dall’avvocato Alessandro Mager.
    Adesso la parola passerà ai difensori che prenderanno la parola nel corso dell’udienza del 23 luglio. Questa sarà anche l’ultima, infatti, in quella stessa giornata il giudice Lorenzo Purpura prenderà una decisione mettendo di fatto la parola fine, per il primo grado, di questo longevo processo
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    Il 17 dicembre 2012, infine, “Punto Sanremo” spiegava che il processo sarebbe ripartito da capo perché non c’era più l’imputazione per truffa:

    Processo ai risarcimenti dell’alluvione a Ceriana
    NON C’E’ PIU’ IL REATO DI TRUFFA. IL PROCEDIMENTO RIPARTE DA CAPO
    di Redazione

    Il magistrato ha deciso di rimandare tutto il procedimento al giudizio del Tribunale Collegiale. Cio’ dipende dalla “riqualificazione ” del capo d’accusa, che rende l’attuale tipologia di giudice “non competente” in merito. Si passa da truffa all’articolo 316 ter del codice penale, ovvero “percezione indebita di fondi”. Non sono stati infatti individuati artefizi o raggiri nell’azione degli imputati tali da configurare il reato di truffa.

  12. “La Repubblica – Bologna”, 21 luglio 2014, QUI

    GLI ALBERGATORI DELLA ROMAGNA PORTANO IN TRIBUNALE I “METEO-TERRORISTI”
    Dopo le minacce, le associazioni di categoria, spalleggiate dall’assessore al Turismo dell’Emilia-Romagna, fanno causa ai siti web: “Ingenti danni economici”
    di Redazione

    RIMINI – Tanto tuonò che piovve. Era stata annunciata anche quest’anno a più riprese, ed ora a quanto pare si passa ai fatti. Le associazioni di categoria degli albergatori romagnoli, spalleggiati dall’assessore regionale al Turismo Maurizio Melucci, fanno causa ai meteorologi (nel mirino quelli dei siti commerciali). Le principali associazioni di settore della riviera romagnola di Rimini, Bellaria-Igea Marina, Cattolica, Cesenatico, Cervia, lidi ravennati, Misano e Riccione, insieme con Federalberghi Emilia-Romagna, hanno deciso sul tema di prendere “una netta posizione a favore di una corretta informazione meteo per il turista, attraverso un’azione legale”.
    Lo annunciano oggi in una nota la presidente degli albergatori Aia di Rimini, Patrizia Rinaldis, e il presidente di Federalberghi Emilia-Romagna, Alessandro Giorgetti, dando appuntamento per una conferenza stampa ad hoc mercoledì alle 11 al Grand Hotel di Rimini. Sono annunciati, oltre a Rinaldis, Giorgetti e Melucci, l’avvocato Filippo Andreini e i presidenti delle associazioni degli albergatori rivierasche.
    “Il fenomeno del cosiddetto meteo-terrorismo dei siti commerciali di previsioni atmosferiche – si legge nella nota della categoria – ha provocato agli operatori della riviera romagnola, nelle ultime stagioni turistiche, ingenti danni economici e di immagine, a causa degli scenari atmosferici previsti con eccessivo anticipo e spesso più negativi rispetto alle reali condizioni meteorologiche verificatesi”
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